[26/04/2010] News

24 anni dopo Cernobyl ancora irrisolti tutti i problemi del nucleare

GROSSETO A ventiquattro anni dalla tragedia causata dall'incidente al reattore della centrale nucleare di Cernobyl il fronte contrario al ritorno all'energia atomica si mobilita a tutto campo.
All'insegna dello slogan "Liberiamo l'Italia dal nucleare" ha iniziato già da sabato Legambiente con una serie di iniziative che fanno parte del Cernobyl day, promosso in tutto il mondo dall'associazione francese Sortir du nucléaire, per non dimenticare il terribile incidente di Cernobyl, per dire ancora una volta che il nucleare non è sicuro, non garantirà all'Italia il rispetto degli accordi internazionali sui cambiamenti climatici, non ridurrà la bolletta energetica degli italiani né le importazioni di combustibili fossili.

Lo fa oggi Greenpeace che ha organizzato una mostra fotografica portata questa mattina da dieci attivisti, in tute bianche e maschere antigas, davanti alla Camera dei Deputati a Montecitorio, che esporranno anche uno striscione con la scritta "Stop follia nucleare".
E nel pomeriggio saranno i Verdi guidati dal presidente nazionale, Angelo Bonelli, che sempre di fronte a Montecitorio simuleranno un incidente nucleare e distribuiranno un nuovo dossier.

Tutte le azioni partono dal ricordo dell'incidente alla centrale ucraina, che a 24 anni di distanza, continua a causare gravi danni alla salute e continua a rappresentare una seria minaccia ambientale su chilometri e chilometri di territorio, in particolare quello bielorusso. Ma approdano poi alle scelte di rilancio nucleare del governo, motivate dal fatto che le centrali "di ultima generazione" sono sicure, che il ricorso al nucleare abbasserà la bolletta energetica e che è necessario per rispettare gli impegni internazionali sul clima.

Tutte giustificazioni che i dossier presentati da Legambiente sugli Epr, dai Verdi sul nucleare in genere, puntano a smascherare.
Il nostro governo ha firmato più di un anno fa con quello francese un accordo per realizzare 4 reattori di tecnologia Epr, a cui se ne dovranno aggiungere altrettanti per arrivare al 25% di elettricità prodotta dall'atomo: «ma è bene sapere- sottolinea Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente- che, oltre a non essere stata ancora risolta in alcun modo la questione delle scorie, l'ordinaria attività di una centrale rilascia piccole dosi di radioattività che contaminano il terreno, l'acqua, l'aria circostante, finendo così nella catena alimentare. Il nucleare è quindi una minaccia per la sicurezza dei territori anche in assenza di incidenti».

Secondo uno studio dell'ufficio federale tedesco per la protezione dalle radiazioni, la popolazione che vive vicino alle centrali nucleari ha un maggiore rischio di contrarre malattie gravi: per i bambini che vivono entro 5 chilometri da una centrale nucleare, la possibilità di contrarre la leucemia aumenta rispetto ai coetanei che vivono a una distanza di oltre 50 chilometri.
Non solo ma la tecnologia Epr descritta nel nostro paese come un gioiello tecnologico, non ha risolto nessuno dei problemi sia in termini di sicurezza che di scorie che, infine, del combustibile.

Il progetto Epr che prevede un reattore a fissione nucleare da oltre 1.600 MWe di potenza cerca infatti di sfruttare le economie di scala, spingendo al massimo le potenzialità della tecnologia, ma questo fa aumentare inevitabilmente i rischi in caso di incidente.
La questione di costi più che lievitati sia nel primo reattore Epr in via di realizzazione ad Olkiluoto (in Finlandia) che ha accumulato oltre a 44 mesi di ritardo un aumento di 2,5 miliardi di costi rispetto alle stime iniziali, che vale anche per il reattore di Flamanville (in Francia), la cui costruzione è iniziata nel 2007 e che già registra il primo aumento dei costi dai preventivati 3 miliardi di euro ai 4 attuali.

L'Epr non ha neanche risolto l'annoso problema delle scorie, che nel caso del reattore francese hanno anche un maggior grado di radioattività (aumentato dall'ordinario 3,5% al 5%), dovuto ad un maggior arricchimento dell'uranio fissile usato come combustibile.
Così come non risolto è anche il problema dell'approvvigionamento dell'uranio e della proliferazione nucleare: nonostante infatti possa utilizzare come combustibile una miscela di ossidi di plutonio e uranio (il cosiddetto Mox) continuerà a utilizzare l'uranio, in via di esaurimento, e a produrre plutonio, materia prima per la costruzione di ordigni nucleari.

A tutto questo si aggiunge il fatto che la costruzione di reattori Epr non aiuterà nemmeno il fronte occupazionale: sono previsti un massimo di 3.000 posti di lavoro in fase di costruzione, che si ridurranno però a 300 nella fase di esercizio. Ben poca cosa se paragonati ai 250.000 stabili posti di lavoro creati nel settore delle rinnovabili, tra diretto e indotto, negli ultimi 10 anni in Germania. Con l'Epr non diversificheremo neanche le fonti energetiche. Perché se è vero che la produzione elettrica in Italia è fortemente sbilanciata sul gas, il contributo dell'atomo alla riduzione dei consumi di metano sarebbe davvero insignificante. Secondo il Cesi Ricerca, infatti, con la costruzione di 4 reattori francesi da 1.600 MW risparmieremmo a partire dal 2026 solo 9 miliardi di m3 di gas all'anno, pari al 10% dei consumi attuali e alla produzione di un rigassificatore e aiuterebbero ad evitare 17 milioni di tonnellate di CO2 all'anno, su 553 di emissioni nazionali, pari ad un misero 3% del totale.
Effetti che si manifesterebbero comunque troppo tardi (a partire dal 2026 nella migliore delle ipotesi) rispetto alle scadenze internazionali per la lotta ai cambiamenti climatici (il 2012 secondo il protocollo di Kyoto e il 2020 secondo il Pacchetto energia e clima europeo), oltre sottrarre fondi utili a promuovere la diffusione delle fonti rinnovabili e delle politiche di efficienza, uniche soluzioni già disponibili e sicure (sotto tutti i punti di vista) per ridurre in tempi brevi e con efficacia le emissioni climalteranti.

Torna all'archivio