[28/04/2010] News

Come prima, più di prima, fallirò

LIVORNO. Come prima più di prima fallirò. E a certificarlo sarà sempre e comunque Standard & Poor's, of course. Oggi tocca alla Grecia, domani al Portogallo poi forse l'Irlanda e magari poi... all'Italia. Servivano regole stingenti e globali per porre rimedio alla crisi ed evitare quelle future, lo sostenevano tutti, si è risposto con una valanga di chiacchiere (specialmente da parte di chi la crisi l'ha causata) e iniziative sparse (da Obama all'Europa) con risultati nulli allo stato delle cose.

Nel frattempo non si accenna a fermare l'emorragia di posti di lavoro e quando va bene la ripresa è infatti jobless. Gli speculatori sono più forti di prima e massimizzare i profitti socializzando le perdite resta un must a tutti i livelli. E quello che è stato detto e scritto essere il male oscuro della finanza è oggi alla luce del sole accettato quasi come inevitabile.

Sostiene Martin Wolf sul Sole24Ore di oggi che: «Il problema non è tanto prevenire cose non consentite, il problema sono le cose che sono consentite. Non voglio dire che dietro alla crisi finanziaria non ci sia una dose consistenti di comportamenti fraudolenti. Come scriveva John Kenneth Galbraith, la pianta del peculato fiorisce sempre in tempi di vacche grasse. Ma la vera catastrofe, come ho scritto la settimana scorsa, sono i rischi che prendono quei giocatori d'azzardo che lavorano legalmente dentro il sistema».

Non solo, aggiunge Wolf che: «Il ruolo dei grandi istituti di credito costituisce chiaramente un problema: sono al tempo stesso il banco, quelli che puntano più forte al tavolo da gioco, gli agenti di altri giocatori e, se tutto va male, i beneficiari di responsabilità limitate e salvataggi pubblici impliciti ed espliciti. Questa è la ricetta sicura per una nuova catastrofe». E la soluzione sarebbe: «cercare di rendere sicuro il sistema, che attualmente va più o meno a ruota libera. Per fare ciò, bisogna rendere più solide le banche e le connessioni fra le banche, migliorare la qualità dell'informazione e incentivare gli operatori a fare più attenzione ai rischi». Ma chi sta portando avanti questa idea, sempre che sia quella giusta? Ci pare nessuno.

Non solo, nonostante come ricordi Paul Krugman (Repubblica pagina 28) relativamente alle "colpe della crisi): «le agenzie di rating hanno rivestito un ruolo rilevante in questa corruzione", concetto ribadito anche da Fitoussi (sempre Repubblica pagina 7): « Standard & Poor's e Moddy's portano sulle loro spalle la responsabilità del collasso della finanza che è stato l'inizio e la causa di tutta la crisi», ad esse comunque si continua a ricorrere senza aver cambiato alcunché nei meccanismi di valutazioni che dopo aver inguaiato i cittadini di mezzo mondo ora inguaiano Stati interi.

Siamo nel bel mezzo di una nongovernace mondiale e ognuno pensa per sé, Europa compresa. Tutto questo picchia duro sull'economia reale come detto, ma anche sulla sostenibilità ambientale. Perché come ricorda oggi Rossanda Rossanda intervistata dall'Unità: «Il mercato è per sua natura "sistemico". Esso non ha né compiti né doveri sociali, scambia merci e tende a ridurre tutto a merci».

E merci significa materie prime. Quelle che sono ora alle porte di nuove bolle speculative proprio quando invece - data la crisi ecologica - dovrebbero essere pesantemente tenute sotto controllo per evitare che degradino sempre di più sotto i colpi di un'economia mai sazia e fuori controllo. Misura necessaria, quanto impraticabile nella situazione data come ben spiega quanto scrive oggi sul tema il Sole24Ore: « Il rischio, notano i purchasing manager, è ingigantito dai massicci e deleteri interventi operati sui mercati delle materie prime da parte di grandi operatori finanziari. Le loro mosse speculative minacciano di stravolgere in modo schizofrenico un mercato dove il confronto tra produzione e consumi è sempre meno influente».

Non bisogna essere economisti, come infatti non lo siamo noi, per capire che questo modello economico oggettivamente insostenibile socialmente e ambientalmente è da cambiare, ma nessuna forza politica lo vuole davvero cambiare e l'unico che in qualche misura ha cercato di metterlo almeno in discussione resta il sempre più isolato (e immalinconito) Obama che però non pare avere la forza per portare avanti più di tanto il discorso, anche perché resta pur sempre il presidente degli Usa.

Torna all'archivio