[05/08/2009] News toscana

Accordo Mcdonalds-provincia di Firenze per l’occupazione: perché non renderlo più “sostenibile”?

FIRENZE. E' notizia di ieri l'accordo tra la provincia di Firenze e il gruppo Mcdonalds per l'apertura del nuovo fast-food del gruppo statunitense a Barberino di Mugello. Secondo l'accordo raggiunto i 40 posti di lavoro resi disponibili dall'apertura del nuovo ristorante andranno a cittadini selezionati dall'amministrazione provinciale tramite i propri centri per l'impiego.

Certo, si tratta di lavori a bassa qualificazione (addetti ai servizi di sala e cucina) e il modello alimentare proposto dalla multinazionale non è propriamente quello della valorizzazione della qualità e della tipicità alimentare, ma comunque la notizia è positiva e degna di nota, poiché trattasi dell'apertura di un canale di collaborazione tra Pubblico e privato che, oltre a potenziali risvolti in termini di quantità occupazionale, costituisce anche un importante precedente per evolvere le potenzialità dei centri di impiego pubblici. Inoltre, almeno secondo l'edizione online de "La Nazione", sui 30 posti attualmente disponibili (cui poi se ne sommeranno altri 10) il 40% è riservato all'occupazione femminile e i contratti saranno a tempo indeterminato, sia pure part-time.

Secondo l'Assessore provinciale a Lavoro, Formazione e Centri per l'Impiego, Elisa Simoni, «la provincia di Firenze, collaborando con un'azienda privata, è riuscita a far svolgere ai Centri per l'Impiego il loro principale compito, ovvero l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, inserendo anche alcuni lavoratori espulsi dal mercato del lavoro a causa di crisi aziendali che hanno interessato il Mugello». Chiara Vivaldi di Mcdonalds parla di «collaborazione preziosa» e prevede che «anche per le esperienze future - con l'apertura di nuovi ristoranti nel territorio fiorentino - ci avvarremo dell'importante contributo della Provincia di Firenze».

Come detto, siamo quindi di fronte ad una azione condotta dal Pubblico per orientare l'attività del privato, senza peraltro "intralciarla" minimamente ma anzi fornendole una gradita pubblicità e contemporaneamente dando un contributo mirato all'emergenza occupazionale, che colpisce anche il Mugello, e creando un nuovo canale di sbocco per l'attività dei centri impiego.

Un'azione positiva, quindi, anche davanti alla considerazione che il fast-food avrebbe aperto comunque a Barberino, e quindi tanto valeva far sì che questa apertura avvenisse nella maniera più sostenibile dal punto di vista sociale, e con il maggior contributo possibile a carico della manodopera locale, con tutti i vantaggi sociali e ambientali connessi.

Ma non è questo il punto per noi, perché l'accordo di ieri apre potenzialmente prospettive ben più ampie rispetto al "solo" ambito occupazionale: come noto, Mcdonalds fa del package con cui avvolge i suoi prodotti uno dei tratti distintivi della sua offerta commerciale. In un certo senso, il modello alimentare proposto dalla multinazionale americana ricorda la proposta commerciale che un'altra multinazionale statunitense (la Disney) fornisce all'interno dei suoi parchi tematici: come Disneyland è il regno delle luci ridondanti e della plastica che avvolge tutto, così fa Mcdonalds nei suoi ristoranti: luci a profusione, colori sgargianti, package a più non posso.

E il bello (o il tragico) è che, così come avviene a Disneyland, è molto probabilmente proprio questa atmosfera di finzione (e soprattutto di spreco energetico e materiale) a costituire la principale attrattiva del marchio Mcdonalds: sarà forse per l'atavica paura di restare senza cibo tipica di una società ancora da poco affrancatasi dalla vita contadina, o forse per l'approccio infantile, ludico che larga parte della popolazione ha nei confronti della nutrizione (probabilmente anche per una carente diffusione di una vera "cultura alimentare"), ma è comunque indubitabile un legame tra il grande successo commerciale che (soprattutto negli ultimi anni) sta avendo il modello Mcdonalds e il fatto che propone prodotti letteralmente ricoperti di imballaggi superflui, oltre a proporli in luoghi caratterizzati da luminosità innaturale, oltre che eccessiva, più adatta ad un centro commerciale che ad un ristorante.

Ora, sull'atmosfera di finzione e sui colori sgargianti di Disneyland o di un Mcdonalds si può dire poco, se non che ancora va capito - tramite studi più approfonditi - perchè molte persone (di ogni casta sociale) sono così attratte da questo tipo di offerta. Diverso è invece il discorso relativo alle luci e soprattutto al package: una volta evidenziato come sia comprensibile che Mcdonalds spinga per mantenere questo modello distributivo (essendo esso un vero e proprio "brand"), va poi comunque detto che sarà anche comprensibile, ma che detto modello è soprattutto insostenibile.

In un mondo e in una società toscana che (lentamente) stanno finalmente attuando un percorso verso la sostenibilità, appare cioè irreale il perpetuarsi di un modello alimentare basato su una più che ridondante quantità di package e di un annesso modello distributivo che si attua tramite la somministrazione in locali illuminati a giorno a qualsiasi ora, e visibili da km di distanza.

Ma apparirebbe irreale anche appellarsi alla "buona volontà" dei dirigenti della multinazionale dell'alimentare, in primis perchè sappiamo quali strade sono lastricate dalle "buone intenzioni" e soprattutto per il motivo spiegato sopra: se davvero package e luci sfavillanti costituiscono uno dei marchi distintivi e delle attrazioni dell'impresa, allora è ancora più difficile chiederle di rinunciarvi.

Cosa fare, allora? Una strada praticabile può essere quella che prevede di ampliare i tavoli di discussione, e puntare ad accordi più estesi tra Pubblico e privato. Tavoli in cui il Pubblico non limiti la sua azione alla (pur benemerita) somministrazione di posti di lavoro, ma dove detta azione giunga ad imporre (o, meglio, a concordare) l'adozione di tecniche di packaging e di illuminazione più sostenibili. E questo potrebbe anche significare di imporre al fast-food di fornire prodotti contenuti in plastica/carta riciclata e di ovviare al fabbisogno energetico tramite le rinnovabili, ma soprattutto di elaborare strategie più ampie che conducano soprattutto ad una minore illuminazione e ad un minore impacchettamento dei prodotti alimentari.

Certo, per i motivi spiegati, non si tratta di un'azione agevole da praticare, e sussiste anche il rischio che il privato rivolga altrove i suoi interessi commerciali, con le inevitabili ricadute occupazionali. Ma, anche davanti al fatto che accordi pubblico-privato per la riduzione del packaging già esistono (anche se spesso non vincolanti), e che una rete tra gli stakeholders (cioè il Pubblico e il privato, in questo caso) è già stata attivata con l'accordo di ieri, sussiste indubbiamente un'occasione che potrebbe essere sfruttata adeguatamente. Altra prospettiva, in questo senso, è la possibilità di accordi tra la catena di fast-food, il Pubblico e altri settori della filiera dell'alimentare regionale per la fornitura di prodotti locali dai banchi del Mcdonalds stesso, ma questo è un ambito più complicato che merita un approfondimento a parte. Intanto, comunque, una rete tra il pubblico e il privato è stata creata, e le agende degli interessati sono ora dotate di tutte le e-mail e i numeri di telefono necessari per giungere ad accordi più ampi.

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