[12/05/2010] News

Le Big oil Usa citano l'Epa in giudizio per la norma sui consumi delle auto

LIVORNO. Sembra incredibile, ma proprio nello stesso giorno in cui il greggio della piattaforma offshore arrivava sulle coste del Golfo del Messico, e mentre il Senato Usa interrogava il capo della BP America, una coalizione di industrie dei combustibili fossili ha deciso di citare in giudizio l'Environmental protection agency statunitense (Epa) contro le nuove norme che obbligherebbero le case automobilistiche a diminuire il consumo di carburante nei loro nuovi modelli di veicoli.

 Greenpeace Usa spiega il perché le Big oil e le industrie energetiche ed energivore statunitensi si gettino in una simile battaglia legale proprio mentre l'opinione pubblica guarda inorridita alle loro malefatte e all'incapacità dimostrata nel Golfo del Messico: «E' stato dimostrato più volte che aumentando semplicemente il chilometraggio delle nostre auto fino a 40 miglia per gallone, si renderebbe tutto il petrolio "drill baby drillers" clamorosamente obsoleto. Con carburanti efficienti potemmo tutti risparmiare un sacco di soldi, potremmo evitare future catastrofi ambientali, saremmo più indipendenti energeticamente e useremmo meno petrolio. Ma è solo l'ultimo punto che conta per le industrie. Se utilizziamo meno petrolio faranno meno soldi. E nessun disastro ecologico, nessuna distruzione di comunità, e nessuna perdita di vite può distoglierle dal loro profitto».

E' proprio la Bp, la vera responsabile del disastro petrolifero del Golfo del Messico, a fare il lobbismo più duro contro il regolamento proposto dall'Epa, affermando che le compagnie petrolifere non sarebbero più in grado di lavorare sottoposte a «regolamenti estensivi e prescrittivi».

Le imprese energetiche Usa chiedono invece all'amministrazione di Barack Obama e all'opinione pubblica di continuare a fidarsi di loro perché l'incidente petrolifero sarebbe stato "virtually impossibile".

Ma non è solo la Bp ad avere un'incredibile faccia tosta a chiedere deroghe e privilegi mentre la marea nera sta invadendo le coste meridionali degli Stati Uniti, la Massey Energy, la società la cui miniera di carbone è crollata ad aprile uccidendo 29 persone, ha speso milioni di dollari per impedire l'approvazione delle nuove normative dell'Epa e il suo amministratore delegato, Don Blankenship, è arrivato addirittura a dire che il nuovo regolamento per la sicurezza delle miniere è «Sciocco come il global warming. Però non preoccupatevi: perché la sicurezza e la salute dei minatori del carbone è il mio lavoro più importante».

Mentre fa lobbyng a Washington, la Shell si prepara a trivellare i mari artici dell'Alaska con piattaforme offshore in condizioni ambientali e climatiche estreme .Gabe Wieniewski, di Greenpeace Usa, spiega che «Hanno avuto lo stesso free pass che è stato dato alla BP per il loro impianto, probabilmente perché le autorità di regolamentazione avevano assicurato che "una marea nera di grandi dimensioni, come il rilascio di petrolio greggio da un blowout, è estremamente raro e non viene considerato un impatto ragionevolmente prevedibile"».

 E Wieniewski chiede ironicamente: «Ne siete convinti?», visto che è esattamente quello che è successo nel Golfo del Messico.

«E' arrivato il tempo di smettere di trattare con i lobbisti dell'industria con mucchi di denaro come se fossero affidabili partner negoziali. Non lo sono - dice Greenpeace - Con l'odierno "lawsuit" e nel comportamento del settore dei combustibili fossili per generazioni, possiamo vedere il loro movente: puro profitto. Abbiamo il diritto di pretendere che il nostro governo faccia quello che è nel miglior interesse del nostro ambiente, delle nostre comunità, della nostra sicurezza e del nostro futuro. Non c'è alcun modo per trivellare in sicurezza il petrolio offshore».

E gli ambientalisti sottolineano che il disastro offshore ha distrutto la linea avanzata dell'offensiva propagandistica di Shell, BP ed Exxon, che però vogliono continuare a fare tutto come prima e come se non fosse successo nulla... La vera domanda che gli ambientalisti statunitensi rivolgono ora ad Obama ed alla politica Usa riecheggia un antico interrogativo leninista: «Che fare?».

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