[17/05/2010] News

La corsa della green economy di Antonio Cianciullo e Gianni Silvestrini

La corsa della green economy a volte appare davvero impetuosa. Altre volte è quanto meno ad ostacoli. Altre ancora una sgambata tanto per sgranchire le gambe. In Italia esistono tutte e tre le fasi contemporaneamente, ma almeno non siamo più spettatori della competizione stessa alla quale sembrava non si volesse neppure partecipare. Di fondo, però, la questione è che con green economy troppo spesso si intende solo e soltanto l'energia. E segnatamente il miglioramento dell'efficienza, la diminuzione del consumo e il progressivo utilizzo di quella rinnovabile (eolico, fotovoltaico, geotermico, idroelettrico), mentre la green economy è in realtà una riconversione dell'economia tutta verso l'ecologia e dunque un orizzonte cui mirare che abbraccia tutte le attività umane e in questo senso la suddetta corsa è assai più lenta. Parliamo di mobilità sostenibile, gestione della risorsa idrica, flussi di materia, energia come detto, fino ai rifiuti e alla salvaguardia della biodiversità. La green economy dovrebbe dunque essere un/il nuovo paradigma economico, non un driver della crescita dell'attuale.

Detto questo, Cianciullo e Silvestrini nel testo in oggetto hanno il merito di aver raccolto alcune delle migliori green performance internazionali e italiane dimostrando ancora una volta che riconvertire l'economia verso l'ecologia non solo è indispensabile dal punto di vista della sostenibilità ambientale e sociale, ma lo è anche in ragione di business. Se si continuerà a ridurre le risorse di energia e di materia di questo pianeta, infatti, non saremmo in grado di sopportare l'aumento demografico dei prossimi decenni e il modello economico attuale crollerà fagocitato dalla sua stessa bramosia di crescita all'infinito. Anche gli economisti più attenti lo hanno capito e persino diverse multinazionali che addirittura hanno chiesto regole ben precise per essere protagonisti di questo cambio di scenario.

Fin qui, però, si potrebbe obiettare che per noi non c'è nulla di nuovo sotto il sole. Gli ambientalisti ripetono questo monito come un mantra ormai da anni, dunque che cosa è cambiato? Che finalmente la questione dopo una serie infinita di stop and go pare essere posta ai massimi livelli. Da sud a nord, da oriente a occidente tutti i governi sembrano essersi almeno resi conto che la sostenibilità ambientale non è un'opzione possibile, ma l'unica possibile. Certo poi quando si tratta di mettersi a un tavolo per decidere chi ‘paga' - vedi Copenhagen - e stringere un accordo vincolante, le certezze granitiche espresse in precedenza diventano neve al sole, ma più per giochi politici che per ecoscetticismo.

L'ascesa di Obama, tuttavia, è stata l'avvio ufficiale della green economy. Ricordano così i due autori che "Nell'American Recovery and Reinvestment Act sono previsti 82 miliardi di dollari nel comparto delle fonti rinnovabili, dell'efficienza energetica. Vengono inoltre raddoppiati gli stanziamenti 2010 per la ricerca nel campo del fotovoltaico e dell'efficienza energetica. Vengono previsti tre milioni di nuovi posti di lavoro nell'economia verde. Vengono lanciate decine di iniziative volte a recuperare lo spazio perso dalle industrie statunitensi nella stagione del disinteresse per l'innovazione tecnologica in campo ambientale ed energetico".

Certo, come è noto, lo stesso Obama ha poi dovuto accettare l'idea di investire nel nucleare sotto la spinta delle lobby e anche di riaprire alle trivellazioni petrolifere (progetto soltanto ora rimesso in discussione dopo il disastro del Golfo del Messico), ma lo ha fatto soprattutto per poter ottenere il via libera da parte dei repubblicani alla legge nazionale sulle emissioni di C02.

Insomma un compromesso, un accordo politico che capiremo più avanti se sarà al rialzo o a ribasso, ed è questa l'unica strada possibile per ottenere qualcosa di importante. Per una green economy che funziona, come spiegano anche i due autori, è proprio la politica che deve principalmente cambiare perché spontaneamente è assai difficile che si possa sviluppare una rivoluzione di questo genere. Tant'è che Silvestrini e Cianciullo le critiche forse più pesanti le muovono alla sinistra italiana, che in questa fase storica non è riuscita a prendere in mano questo tema fondamentale che sarebbe stato assai nelle sue corde. Tutti gli esempi portati nel testo sono frutto di buone scelte governative ben interpretate da singole città o lungimiranti imprenditori. La spinta dal basso è fondamentale ma poi per poter agire con forza e in modo concreto deve esserci una risposta e un aiuto dall'alto.

Un neo del testo, in questo senso, viene però dalla semplificazione data alla gestione integrata dei rifiuti. Questo fondamentale aspetto viene posto nel novero delle cose da fare, ma solo sotto la formula della "rigorosa raccolta differenziata dei rifiuti" dimenticando quindi i rifiuti speciali (quattro volte gli urbani) e soprattutto non parlando di cosa deve succedere dopo la raccolta e cioè l'effettivo riciclo e la reintroduzione sul mercato dei prodotti derivati, oltre alla gestione degli scarti prodotti dai processi di trattamento e "riproduzione" stessi.

La giusta enfasi data alle scelte di società come General Electric e Siemens, o alle utopie possibili della California fino anche alla (forse in modo un po' troppo generoso) Toscana Felix per poi volare a Stoccolma e Curitiba, per raccontare poi anche la bella avventura industriale della STMicroelectronics di Pasquale Pistorio, viene poi assai ridimensionata nelle conclusioni, dove emergono le falle del sistema green economy che comunque non devono mai spingere all'inazione, anzi. Innanzitutto va calcolata la forza delle lobby che si oppone a questa prospettiva: quelle legate ovviamente alle fonti fossili, ma anche quelle forze politiche che temono il futuro perché non lo capiscono e quelli che, i più giustificati di tutti, sono arrivati solo ora al banchetto del vecchio sviluppo e hanno paura di perdere gli ultimi bocconi. "E' un cartello che finora ha guidato la partita governando con sapienza i flussi di informazione in modo da seminare dubbi, creare finte alternative scientifiche, rendere appetibili i comportamenti trappola. Ma è un cartello che sta perdendo coesione, consenso e credibilità", dicono i due autori.

La green economy, viene spiegato bene dopo, "è il torrente impetuoso che conquista con facilità gli strati superiori delle acque e perde forza mano a mano che si scende. Il rimescolamento è inevitabile e l'intero fiume diventerà più veloce, ma c'è bisogno di tempo". Ecco questo è esattamente lo stato delle cose: le spinte per un'economia ecologica arrivano da più parti e corrono veloci in superficie, mentre poi - anche a causa della crisi - scendendo in basso la green economy torna ad essere semplicemente "protezione dell'ambientale" e in quanto tale d'intralcio, secondo il vetusto schema della old economy, per il progresso o in questo caso per tornare a crescere in termini di Pil. Serve tempo, appunto, ma purtroppo ce ne è poco e quindi questa corsa bisogna che sia davvero tale!

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