[18/05/2010] News

I Parchi e la crisi istituzionale

PISA. Che i parchi oggi nel nostro paese attraversino e vivano una stagione di crisi di ruolo è innegabile ed evidente. Non lo sono  altrettanto però le cause e soprattutto i rimedi necessari.

Per venirne a capo o almeno tentare di farlo con qualche serietà bisogna innanzitutto non isolare i parchi -nazionali, regionali e tutte le altre aree protette- da un contesto istituzionale anch'esso in crisi. La crisi dei parchi -ripetiamo di ruolo e di prospettiva- pur con tutte le sue specificità di cui parleremo, vive e risente, infatti, della crisi non meno evidente delle altre istituzioni; comuni piccoli o metropolitani, province, comunità montane, regioni ordinarie e speciali e il loro rapporto con lo stato da un lato e le autonomie dall'altro. Lo stato a sua volta manifesta da anni a partire dal ministero dell'ambiente che ci interessa in maniera particolare, una crisi palese di ‘governo' ossia di capacità programmatica e non ‘burocratica' di direzione e gestione di politiche in grado di raccordarsi efficacemente anche a quelle comunitarie.

Insomma il nodo che lega oggi a filo doppio il nostro sistema istituzionale si chiama titolo V dal 2001 fermo al palo.

E se finalmente dopo prolungati silenzi e false partenze ora le cose sembrano essersi rimesse in movimento nessuno può dire siano partite con il piede giusto. Innanzitutto per il palese e talvolta sconcertante contrasto tra parole e fatti, tra solenni affermazioni di principio e meschini comportamenti che contraddicono impudicamente le più elementari regole di ragionevolezza e buonsenso. A rendere così sconclusionata e pasticciata una situazione che qualcuno ha l'ardire di definire di avvio federalistico contribuisce in primo luogo la pretesa di ancorare le riforme ad una mera esigenza di ‘rigore', di risparmio e così via che produce spesso effetti grotteschi e ridicoli. Si passa  così con disinvoltura e  monotoni  ritorni di fiamma dalla abrogazione delle province a quella delle comunità montane, ai consigli di circoscrizione per scivolare demagogicamente al taglio di un assessore qui, un membro dell'ente parco là, che guarda caso non riguardano mai chissà perché quelli designati dal ministero.  E poiché non è questo ora l'aspetto che vogliamo approfondire ci limiteremo a ricordare  che in Italia su 100 dipendenti pubblici non statali sono solo 45, mentre in Spagna sono 65, Svezia 74, Germania 90.

E per tornare ai parchi come ignorare che lo stato a parità di territorio protetto con quello  regionale interviene  finanziariamente  solo per un terzo.

Stando a quello che è stato finora scritto e detto sui parchi sul da farsi la situazione può essere riassunta così; per quelli regionali il ministro Calderoli aveva pensato  di abrogarli puramente e semplicemente anche se poi ha dovuto fare marcia indietro. L'UPI in un documento alla vigilia delle ultime elezioni regionali  ripropone invece pari pari la stessa soluzione; sciogliamoli e passiamo le funzioni alle province; evidentemente ignorando che dai parchi regionali o nazionali che siano nessuno può ereditare alcunché perché i parchi non hanno eredi. Il ministro Prestigiacomo dopo avere preannunciato a suo tempo che forse era bene studiare una forma di ‘privatizzazione' dei parchi viste le ristrettezze economico-finanziarie non è più tornata sull'argomento  forse rendendosi conto che in nessuna parte del mondo una cosa del genere viene  presa  in considerazione, ha chiesto alle regioni di fermare le macchine perché il ministero sta pensando di intervenire riducendo  il numero dei componenti degli enti parco nazionali (ma non dei rappresentanti del ministero naturalmente) che restano però uguali dalle Alpi alle piramidi, dalla Maddalena parco di un solo comune  al Cilento dove i comuni sono varie decine; quando si dice la lungimiranza! In compenso i direttori li vorrebbero nominare direttamente  senza dover scegliere più neppure tra un terna. Così i presidenti e direttori dei parchi nazionali sarebbero sempre più figure burocratiche che rispondono più che all'ente al ministero. Ente che già ora non è in grado decidere senza previa autorizzazione romana dell'acquisto di qualche sedia. Forse per scoraggiare di farne dei ‘poltronifici'. E mentre si rimuginano queste cervellotiche stramberie e si lesinano risorse mai peraltro puntuali specie alle aree protette marine che sono alla canna del gas, sullo sfondo registriamo una situazione in cui il grande tema della programmazione, del governo del territorio praticamente non fa più neppure capolino nei documenti e proposte di riforma del titolo V, tutte incentrate sui tagli, abrogazioni e sfacciati recuperi centralistici.

E a farne le spese non a caso sono state  prima la legge 183 con la legge delega e poi la 394 con il nuovo codice dei beni culturali ossia due ‘invarianti ambientali' fondamentali  per qualsiasi politica di  pianificazione del suolo e del paesaggio azzoppate senza tanti complimenti. Lì  si è colpito insomma con interventi penalizzanti di  manomissione senza che si levassero molte voci di dissenso. Ma la goccia che fa traboccare davvero il vaso è il disegno di legge sulle aree protette marine attualmente in discussione alla commissione ambiente del senato. Che le aree protette marine siano da anni  il comparto più malmesso dei nostri parchi -qualcuno ha parlato addirittura di stato preagonico- è fuori discussione. Che  ancor più delle altre esse abbiano bisogno urgente di una cura appropriata è perciò fuori discussione. Ma dovrebbe esserlo anche il fatto che questa cura per essere efficace deve riguardare prima ancora della legge la politica nazionale e complessiva dei parchi terrestri e marini.

I francesi in una legge nazionale recente, infatti, parlano di un ‘cuore marino terrestre' per i loro parchi. Invece noi cosa abbiamo escogitato per le nostre aree protette marine che risultano ancora ‘clandestine' perché non registrate nell'anagrafe ministeriale?

A noi è venuta la brillantissima idea, mentre si sta sproloquiando sul federalismo e Barbarossa, di cancellare dalla legge 394 il riferimento per i parchi regionali ‘ai tratti di mare prospicenti'. Insomma alle regioni sarebbe preclusa qualsiasi competenza a mare in ossequio evidentemente a quella esigenza di gestione integrata delle coste a cui fanno costantemente riferimento ormai una quantità impressionante di documenti anche recenti della unione europea. Situazione che vede l'unione europea ma in particolare il nostro paese segnare il passo come documenta un recentissimo e documentatissimo studio dell'ISPRA sulle aree marino costiere e il ruolo delle aree protette.

Un tema di cui si sta discutendo in sede comunitaria dove dopo avere individuato circa 30.000 siti Natura 2000 che si sommano alle oltre 76.000 AAPP esistenti ci si chiede come sostenerne le spese. Le diverse opzioni mirano tutte comunque ad affidarne la gestione ad aree protette senza crearne di nuove ossia a quelle esistenti. Di contro il documento ministeriale sul piano della biodiversità nell'anno internazionale della biodiversità presentato dal ministero di fatto ignora e non crediamo per mera dimenticanza il ruolo dei parchi e delle aree protette e pure delle regioni.  Regioni che ha differenza del ministero hanno prodotto ben 157 leggi che citano la biodiversità nei loro testi che per la maggior parte dei casi riguardano questioni legate alle aree protette ed altri settori a conferma che per le regioni l'integrazione della biodiversità negli altri settori sta già avvenendo. 69 leggi e decreti su 77 fanno riferimento a trattati internazionali e attuazione di direttive comunitarie.

Ecco, in questa situazione il parlamento sta discutendo come estromettere del tutto le regioni da qualsiasi competenza sul mare già prevista peraltro quasi un decennio prima della legge 394 dalla legge sul mare 979 dell'82 per i piani costieri rimasti poi purtroppo lettera morta sia con il ministero della marina mercantile che con quello dell'ambiente quando ne ha ereditato la competenza ormai da un bel po' d'anni fà. Insomma si cancellano i parchi regionali marini per passare definitivamente arma e bagagli al ministero. E' la conferma di posizioni che già nel 1998 erano state riproposte dal famoso 112 che modificava anzi confermava la ‘antica' impostazione secondo la quale è riservato comunque alla Stato tutto ciò che attiene al mare.

A volte ritornano.

Questa è al momento più o meno la situazione sul piano nazionale che consente di capire perché il governo e il ministro dell'ambiente non abbiano neppure preso in considerazione -facendo il morto- la proposta avanzata non soltanto da Federparchi di una terza  conferenza nazionale. Se si tratta di passarelle come quella sulla biodiversità il ministero non disdegna, ma se si tratta di appuntamenti in cui si deve rispondere senza trucchi e senza inganni delle proprie responsabilità e inadempienze allora è meglio evidentemente svicolare. E così svicolano, ma far finta di niente è sempre più difficile specie se le istituzioni non restano naturalmente con le mani in mano.

Certo ci sono state le elezioni regionali che in qualche modo hanno favorito questo pessimo avvio alla chetichella su una matassa che di tutto necessita fuorché di distrazioni e sviste e soprattutto di impresentabili e indigeribili pasticci..

Intanto perché al contesto nazionale a cui abbiamo fatto un sommario accenno occorre e presto aggiungere quello regionale non meno interessato a quel che sta accadendo e si sta malamente preparando. Le regioni sono e non poco interessate, infatti, a quel che si sta preparando anche per i parchi nazionali e per le aree protette marine. Se qualcuno lo avesse dimenticato sono le regioni che debbono approvare i piani dei parchi nazionali e concorrere alla loro concreta gestione specie in quelle realtà dove operano parchi interregionali sulle alpi come in Appennino. E le regioni sono non di meno interessate alla gestione delle aree protette marine dove già da anni sono tenute in scarsissima considerazione come si vide già a Portofino e si vede in maniera ancor più scandalosa con la legge in discussione che gli sottrarrebbe anche le aree protette marine istituite autonomamente come a Portovene o Villa Hambury dalla regione Liguria o come ha in animo di fare la regione Calabria. Nel testo in discussione  addirittura si ipotizza che anche nel caso in cui l'area a mare ‘antistante  ai parchi nazionali sarà loro affidata ciò non riguarderebbe la pianificazione alla quale vi provvederebbe direttamente il ministero. Insomma il parco nazionale dovrebbe pensare solo al disbrigo degli affari correnti e amministrativi perché al resto ci penserebbe Roma. Come spiegare che una simile enormità  possa essere finita in un disegno di legge mentre si arranca sul federalismo?

Ma le regioni non sono soltanto e fortemente interessate a fermare questo scempio, lo sono anche perché una politica nazionale di sistema delle aree protette -perché questo delineava e intendeva perseguire  chiaramente la legge quadro- in grado di coinvolgere anche i parchi regionali. Per questo non basta la Conferenza stato-regioni che con i suoi pareri specifici poco può come l'esperienza di questi anni dimostra e conferma.

Altre, infatti,  dovevano e debbono essere le sedi e gli strumenti per costruire e gestire questo sistema di cui non troviamo traccia non soltanto nel testo citato.

Qui credo si debba e possa parlare di vero e proprio scandalo che non salva nessuno. E' sicuramente scandaloso che una norma della legge Bassanini di oltre un decennio fa che prescriveva di ‘riordinare' il ministero dell'ambiente di cui era stato azzerato l'assetto previsto dalla 394 perché considerato inadeguato alla bisogna, sia stata assolutamente e totalmente ignorata al punto che oggi il ministero è privo di qualsiasi strumento e sede idonei a programmare gli interventi, a raccordarli con regioni, enti locali e parchi, avvalersi di organismi tecnico-scientifici come la Consulta sparite nel nulla e cosi via. E non è meno sorprendente che di tutto ciò, di queste plateali inadempienze non si trovi traccia neppure in sede parlamentare. Come non si trova traccia di quelle politiche di cui parla la legge 426. C'è qualcuno che ha notizie della Convenzione alpina, di APE, dei piani costieri, del santuario dei cetacei? C'è qualcuno che a notizie di quelle relazioni annuali che il ministero dovrebbe presentare regolarmente al Parlamento? Gli unici segni di vita di abbiamo registrati e li registriamo quando si tratta di nominare un commissario per tenercelo il più a lungo possibile a prescindere dalla sua competenza.

Questo non è però un campo di gioco riservato unicamente al ministero e al centro che pretende di giocarci senza regole soltanto le partite che gli interessano.

Ecco perché bisogna uscire dalla clandestinità, da queste manfrine a cui nottetempo si è messo mano senza neppure tentare di coinvolgere i molti protagonisti  non solo istituzionali.

Ora che le assemblee regionali e le rispettive giunte sono insediate nessuno  può far finta di niente. Le regioni in particolare debbono, infatti, non dimenticare che esse entrarono in partita con la legge 394 solo all'ultimo giro perché  fino all'ultimo rischiarono di rimanerne fuori. Ebbene dopo 20 anni esse rischiano nuovamente una estromissione; meglio che si diano una mossa.

A  conclusione di queste considerazioni va aggiunta una notazione finale sul tipo di federalismo ossia di rapporto tra stato e regioni di cui si sta parlando. In questi ultimi anni era prevalso ‘il principio di prevalenza' per cui quando le competenza regionale toccava o si intrecciava con  quella dello stato  era quest'ultimo appunto che ‘prevaleva' . La giurisprudenza ha chiarito che più che di incroci di materia si deve parlare di ‘concorso di materie' per cui stato e regioni debbono concorrere su un piano di pari dignità alle intese indispensabili senza ‘prevalenze'.E' bene ricordare questo aspetto perché quando il presidente Formigoni chiede in nome del federalismo differenziato maggiori competenze per la sua regione deve essere chiaro che una serie di competenze e i parchi tra questi se non sono concepibili senza regioni non lo sono nemmeno senza stato specie quando un parco o un bacino riguardano anche territori di altre regioni. Serve insomma in ogni caso il concorso e non la separazione.

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