[06/08/2009] News

Tagliare l’effetto serra di puro spreco (terza puntata). “Gratis, ergo me ne frego” - di M. Correggia

RIETI. Mentre continuiamo a misurarci, per un mese, i nostri consumi in tutti i campi per poi calcolare la nostra impronta climatica totale (v. "Vivere con cura" del 15 luglio),  proseguiamo la nostra caccia a come tagliare "i gas serra legati al puro spreco: cioè a tutto ciò che non dà nessun vantaggio, neppure perverso. A tutto ciò che è solo frutto di distrazione e noncuranza. Prima ancora di cambiare il modello, va eliminato lo spreco". Dopo il cibo e il carburante (v. "Vivere con cura" del 22 e 29 luglio), eccoci alle spreco di energia - diretta o incorporata nelle merci e servizi - che non ci costa nulla in soldi e sulla quale, dunque, tutti allegramente scialano. Come se il caos climatico non costasse carissimo! E' una specie di teorema: se lo spreco per me è gratis, perché dovrei non sprecare? Ma così si dà per presupposto che sprecare sia benessere. Uno dei nostri compiti di militanti ecologisti sarà dunque comunicare l'esortazione attribuita al filosofo Pitagora: "Scegliamo buone pratiche; l'abitudine ce le renderà piacevoli". 


 Il teorema dell'ufficio 
 Secondo il dettagliatissimo manuale britannico "How to live a low carbon life" ("Come vivere a basso carbonio" cioè a basse emissioni di gas serra) di Chris Goodall, l'ufficio medio non è affatto un posto "leggero". Ogni metro quadrato provoca in media l'emissione di 130 kg di anidride carbonica all'anno, per riscaldamento, raffrescamento ed elettricità. Poiché a lavoratore sono riservati in media 10 metri quadrati di spazio, ecco che ogni persona per il solo fatto di lavorare in un ufficio e indipendentemente da come si comporta a casa propria, provoca l'emissione media di 1,3-1,5 tonnellate di CO2 l'anno (ricordiamo sempre che in un mondo equo e sostenibile ogni terrestre degli oltre 6 miliardi che siamo in media non dovrebbe superare tutto compreso la tonnellata e mezza...).  Lo spreco ha diverse cause: quelle inerenti alla struttura (i famosi palazzi di vetro), quelle legate all'indifferenza dei decisori o amministratori (riscaldamento regolato a livello forno in inverno e climatizzazione regolata a livello polo Nord in estate), quelle legate alla noncuranza dei dipendenti (luci, computer, stampanti, radio lasciati accesi perfino di notte).  Consideriamo poi anche il notissimo eccesso di risme di carta da ufficio (per produrre ognuna delle quali in media si emettono 3 kg di anidride carbonica), il proliferare delle stoviglie usa e getta nelle mense e delle bottigliette di acqua e bicchierini di caffé plasticosi sulle scrivanie, gli elevati consumi di acqua e carta per usi igienici, le macchinette distributrici sempre accese. Molti cambiamenti dipendono direttamente da noi; altri- strutturali o comportamentali -  li possiamo suggerire all'amministrazione autonominandoci "lavoratori per il clima". Potremmo arrivare a far abbattere le emissioni dell'ufficio anche del 50-80%! Quindi, fino a una tonnellata in meno  per il nostro bilancio climatico personale.  Per calcoli più precisi v. le puntate successive della rubrica "Vivere con cura. Verso Copenaghen".

Il teorema del supermercato
  Supermercati e centri commerciali sono bombe climatiche: dal trasporto delle merci, ai sistemi di refrigerazione e climatizzazione, agli imballaggi "obbligatori" per ogni oggetto e alimento, alla benzina necessaria per recarvisi. Poiché non paghiamo direttamente questo peso climatico, lo  ignoriamo. Un modo per alleggerire il sistema senza gravare sulle nostre tasche è scegliere "dove" comprare e non solo cosa e se. In questo senso le bancarelle dell'usato solidale e quelle degli alimenti biologici da vendita diretta a chilometro quasi zero (cioè cibo bio-vicini venduti dal produttore) sono in cima alla graduatoria del "dove comprare".

Il teorema del bagno pubblico
 Pochi anni or sono la vostra interlocutrice, frequentando bisettimanalmente per sei mesi una libreria con bar e bagno al centro di una grande città, fu in grado di compilare una statistica deprimente che trovava e trova conferma nelle sue esperienze precedenti e successive. Ovvero: su decine e decine di persone monitorate in quei sei mesi (bastano pochi secondi a persona)  solo una aveva spento la luce uscendo dal bagno...e quando l'interlocutrice le si rivolse per i complimenti, risultò non italiana. Rilevante anche il consumo di carta, acqua ed energia per gli odiosissimi phon asciugamani. La cosa non cambiò quando su richiesta, la direttrice della libreria fece appendere un cartello sul grande specchio, in cui si pregava di spegnere la luce, non sprecare acqua né carta e tenere pulito il tutto. (E quando poi il bagno fu disattivato e chiuso a chiave per qualche ragione, dal buco della serratura risultava che la luce all'interno era sempre accesa. Quel che succedeva nella libreria è una spia di quello che succede in un luogo in cui nessuno può vedere il frequentatore e in cui eventuali sprechi non sono dunque né sanzionati né pagati: il bagno pubblico(in stazioni, bar, uffici, scuole, ospedali ecc.).  Si noti che una lampadina da 100 watt  accesa per 12 ore comporta, per il mix di produzione di energia tipico dell'Italia (quasi tutto fossile), l'emissione di 150 kg di anidride carbonica l'anno. E che potabilizzare un metro cubo di acqua - anche se poi finisce nel water - in Italia può richiedere mezzo kilowattora, e dunque comportare l'emissione di 250 grammi di CO2. Quanto alla carta igienica, produrne un kg richiede l'emissione di centinaia di grammi di CO2 (meno se è riciclata). Moltiplichiamo tutto ciò per il numero di bagni pubblici e avremo delle sorprese. Ergo: impegniamoci a far diventare ecologico (e non solo pulito) il bagno pubblico che frequentiamo. E sconteremo decine di kg di CO2 dal nostro conto sprechi (e da quello di tutti)!  E quanto all'asciugatura mani ricordiamo anche il suggerimento del giornalista inglese esperto di consumi Leo Hickman: non è chiaro se è meno ecologico usare il phon o un pezzo di carta o il rotolone di tessuto che poi va lavato, dunque nel dubbio, sventoliamo un attimo le mani (o portiamo con noi un piccolo asciugamano).


 Il teorema degli usa e getta, avvelenato regalo
 Gli imballaggi non costano niente direttamente ed è un peccato. Così si incentiva l'usa e getta di lattine, bottigliette, vassoi, buste e tutto il plasticume, l'alluminiume e il vetrume a perdere che nella maggiore delle ipotesi è riciclato, ma certo non recuperando tutta l'energia e la materia perse nella sua produzione originaria. Alcuni calcoli li faremo nelle rubriche seguenti, altri sono nelle precedenti rubriche Verso Copenaghen. Evitare il più possibile, dunque! E che dire degli altri "regali", come i giornali gratuiti (prendere solo quelli che hanno notizie e poi avviarli alla racconta differenziata), la pubblicità cartacea (da rifiutare in tutti i modi, è spreco puro), le riviste patinate pesantissime allegate a certi quotidiani (occorrerebbe una campagna per lasciarli all'edicolante: ognuno di loro è colpevole di centinaia di grammi di anidride carbonica, abbinata all'energia necessaria a produrre la carta, stamparla, trasportare ecc.).  Infine, attenti ai quasi regali: tutti i prodotti che in sé non sarebbero usa e getta ma lo diventano perché di cattiva qualità (i "millelire" in tutti i campi...) e quelli che hanno alternative non usa e getta (pile, rasoi, piatti, tovaglioli,  ecc). Evviva la durata!

 

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