[19/05/2010] News

Dal 20% al 30% di riduzione della Co2: la proposta di alzare l'obiettivo Ue manda in tilt la Marcegaglia

GROSSETO. L'intenzione annunciata dalla commissaria europea ai cambiamenti climatici Connie Hedegaard di portare alla discussione del prossimo consiglio europeo di giugno la proposta di rivedere gli obiettivi del taglio della C02- dall'attuale 20% al 30% rispetto ai livelli del 1990- ha già suscitato le reazioni dei principali interessati.

Dopo gli interventi preoccupati degli industriali europei, oggi anche la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha inviato una lettera al presidente della Commissione europea, Manuel Barroso, dove si ricorda che «gli obiettivi fissati dal pacchetto clima dell'Unione europea, adottato alla fine del 2008, rappresentino già una sfida importante per il nostro Paese» e che «l'Italia, a causa del proprio mix energetico, subirà un incremento dei costi legati alla riduzione delle emissioni di CO2 assai più sostenuto degli altri Paesi europei».

L'aumento degli obiettivi di riduzione dal 20 al 30% per i paesi europei (obiettivo che avrebbe voluto lo stesso commissario all'ambiente Dimas), nella fase di definizione del pacchetto clima-energia era stato subordinato al raggiungimento di un accordo globale vincolante al vertice Onu sul clima nel dicembre scorso a Copenhagen. E dato il risultato del vertice, l'ipotesi sembrava essere stata accantonata.

Adesso se ne torna a discutere con la proposta avanzata dalla commissaria Hedegaard (che di questo obiettivo è sempre stata un'accesa sostenitrice) sulla quale però ha già rassicurato «che nessuno prevede una decisione veloce nei prossimi mesi», ammettendo che «è un dibattito complicato». L'ipotesi si basa su un documento di cui è prevista la pubblicazione in questo mese e che la stessa commissaria ha anticipato in un convegno a Londra.

Secondo i calcoli che vi sono contenuti, l'ipotesi di aumentare dal 20 al 30% le riduzioni delle emissioni di CO2 sarebbe meno pesante economicamente rispetto alle stime fatte nel 2008, per effetto della crisi economica e del prezzo raggiunto dalla CO2, nell'ambito dello schema Ets.
In quell'occasione il commissario Connie Hedegaard aveva spiegato che la recente recessione ha reso più economico il raggiungimento degli obiettivi di taglio della Co2, sia del 20% che del 30%, rispetto ai calcoli originari del 2008.

I costi per raggiungere l'obiettivo del 20% nel 2020 è sceso, infatti, da 70 a 48 miliardi di euro e quindi portarlo al 30% costerebbe ad oggi una cifra di circa 80 miliardi, che in parte verrebbe oltretutto controbilancia dai risparmi che deriverebbero ad esempio dalla migliore qualità dell'aria, stimati tra i 6,5 e 10 miliardi.

E soprattutto l'inasprimento degli obiettivi al 30% potrebbe essere- secondo la Hedegaard- l'unico modo di far aumentare i prezzi della CO2 sul mercato a un livello tale da incentivare gli investimenti nelle tecnologie verdi.
«Con i livelli attuali e un obiettivo del 20% non vedremo un prezzo della CO2 molto più alto e questo è un problema perché abbiamo bisogno di innovare- ha detto il commissario- Se laCO2 costasse 30 euro la tonnellata la gente comincerebbe ad agire in modo diverso ma oggi il prezzo della CO2 è di 15 euro la tonnellata e difficilmente aumenterà senza l'obiettivo del 30%».

Una ipotesi, questa dell'inasprimento della riduzione delle emissioni di Co2, che ha già creato schieramenti in Ue tra favorevoli e contrari, e l'Italia, ça va sans dire, sta proprio da questa parte.

Confindustria, nella nota invita al presidente Barroso, indica che già i costi necessari per raggiungere il 20% di riduzione potrà incidere per il nostro paese per circa l'1,14% del Pil, contro una media europea di 0,6%. Cui vanno aggiunte «le pesanti ripercussioni della crisi economica e finanziaria, che sta mettendo a dura prova la competitività dell'industria europea sui mercati internazionali».

Per tali motivi Confindustria «ritiene che un incremento dal 20% al 30% potrà eventualmente avvenire solo nel momento in cui tutti gli altri Paesi industrializzati assumeranno obiettivi equivalenti a quelli della Ue e se i Paesi emergenti attueranno concrete misure di riduzione delle emissioni. Solo in questo modo si potrà ottenere un reale taglio delle emissioni globali».

Così come i colleghi europei, ovvero i gruppi di rappresentanza industriali dell'acciaio, della chimica, del settore della raffinazione, del vetro, della carta, del cemento e delle ceramiche, pur ammettendo bassi prezzi della Co2, sostengono però che il peso dei limiti alle emissioni aumenterebbe il loro svantaggio rispetto ai concorrenti di regioni meno regolamentate.

«I prezzi attualmente bassi del mercato del carbonio rispecchiano il collasso nella domanda tra i consumatori, il rallentamento dell'attività economica delle industrie manifatturiere e la conseguente riduzione nelle emissioni- hanno dichiarato in un comunicato congiunto - però, l'esposizione delle industrie dell'Unione alle economie concorrenti senza ristrettezze al carbone non è diminuita affatto, e non deve essere in nessun modo incrementata da decisioni unilaterali».

Ovvero la decisione va semmai riportata a quanto era stato concordato in sede di definizione del pacchetto clima-energia: se lo fanno tutti allora possiamo anche giocare il ruolo di primi della classe altrimenti è meglio lasciar perdere.
Quando le intenzioni del Commissario europeo per il clima non sembrano affatto sostenuti dalla voglia di eccellere quanto invece mirate a rilanciare l'economia proprio in questa fase di crisi.
Intenzioni volte a non sprecare la crisi, per dirla con Obama, ma a piegarla per indirizzare la barra del timone verso la direzione della green economy. Ma evidentemente (purtroppo) per le imprese europee questo non è ancora un argomento maturo.

 

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