[28/05/2010] News toscana

L’agro-silvicoltura toscana e i cambiamenti climatici di oggi e di domani

FIRENZE. Negli ultimi 50 anni, nel capoluogo toscano, le temperature medie sono aumentate di circa 1,2° C. E, se l'evoluzione del clima terrestre (e gli associati impatti sul clima italiano e toscano) dovesse percorrere la via attualmente ritenuta più probabile dalla scienza climatologica - cioè quella di un progressivo aumento che a livello globale potrebbe andare (dati Ipcc) da 1,1° a 6,4° entro il 2090-99 rispetto ai livelli del 1990 - le conseguenze sul clima toscano potrebbero manifestarsi in termini di aumento delle T medie da 1,8° a 2,3° al 2040, mentre al 2070 l'incremento termico potrebbe attestarsi in un range da 2,7° a 4,2° rispetto allo stato attuale.

Sono, quelli citati, valori ipotetici, da prendersi nella stessa ottica di incertezza con cui ci si approccia alle previsioni pluridecennali di incremento della temperatura globale. Ma comunque si tratta delle stime che, secondo Marco Bindi del dipartimento di Scienze delle produzioni vegetali, sono da ritenersi come più aderenti a ciò che, se il global warming proseguirà come atteso, dovrebbe avvenire in Toscana nei prossimi decenni.

Le analisi sullo stato attuale del clima, e le prospettive per il futuro, sono state discusse oggi a Firenze nell'ambito del convegno "Cambiamenti climatici in Toscana: segnali e prospettive" organizzato da Pro natura, Associazione nazionale forestali (Anfor) e dalla rivista "Toscana, l'uomo, l'ambiente" e tenutosi presso l'Accademia italiana di scienze forestali (Aisf). Il convegno era dedicato non tanto al cambiamento climatico in sé, ma alle sue manifestazioni concrete in termini di salubrità (e conseguentemente produttività) delle principali colture della regione, sia per il comparto alimentare (vite, olivo, frumento) sia per le agro-energie (girasole, sorgo, mais, pioppo), sia per alcune specie di interesse forestale e selvicolturale, come il faggio e il castagno.

L'incremento di temperatura, soprattutto per quanto riguarda la crescita avvenuta finora (e i suoi ritmi, sì sostenuti ma comunque non devastanti rispetto a quanto potrebbe accadere in futuro), è infatti non solo un elemento che ha conseguenze dirette, ma soprattutto che indica un mutato regime energetico all'interno del sistema terra-acqua-atmosfera, con le note conseguenze in termini soprattutto di ciclo idrologico: per la Toscana e l'Italia, a causa della loro peculiare collocazione geografica, la criticità più significativa è rappresentata dalla disposizione della fascia di alte pressioni subtropicali, situata tipicamente in un'area (pur variabile, soprattutto in termini di estensione latitudinale tra inverno ed estate) che va dal Sahara al Mediterraneo meridionale, e che durante l'estate spinge le sue propaggini (che prendono il nome di "anticiclone delle Azzorre" o del più caldo e afoso "anticiclone Africano") fino al continente europeo, investendo in pieno la penisola italiana e la Toscana.

Come greenreport ha spiegato più volte, sussiste infatti un appurato legame di causa ed effetto tra l'incremento di T su scala globale e l'estensione verso nord raggiunta dalla fascia anticiclonica: ciò per la Toscana comporta, oltre al citato aumento delle temperature, anche una diminuizione delle precipitazioni che negli ultimi 50 anni è stata di 129 mm/anno (di fronte ad una media annuale, per Firenze, di circa 850 mm), e che potrebbe ulteriormente portare ad una diminuzione di altri 9-38 mm/anno entro 10 anni e da 50 a 73 mm/anno al 2070. In termini di giorni con eventi piovosi, gli ultimi 50 anni hanno visto una diminuzione di 25 giornate piovose/anno, un trend destinato a proseguire col (più che probabile) proseguire del surriscaldamento globale.

Secondo Bindi, ciò che dobbiamo attenderci è anzitutto «una riduzione della disponibilità idrica e della produttività di vite, olivo, frumento»: ciò avverrà soprattutto in un secondo momento, mentre in una prima fase alcune colture - la vite su tutte - potranno essere avvantaggiate dal mutato contesto climatico. Ad esempio, nei prossimi 10 anni, se il gw proseguirà, le aree adatte alla coltivazione di vitigni di qualità cresceranno del 20-25%: ma in seguito, a meno di una radicale modifica delle cultivar selezionate per la coltivazione, le aree deputate alla produzione di qualità potranno diminuire del 40-60% (al 2040) e dell'80-90% al 2070. Per l'ulivo, invece, pochi saranno i vantaggi e tante le criticità, in primo luogo l'anticipo della fioritura (5 giorni in 10 anni, 10-15 giorni al 2040, 15-25 al 2070) con la conseguente esposizione alle gelate tardive, devastanti per la specie in questione e quindi per la sua produttività.

Una produttività il cui calo comunque, secondo Bindi, «è finora stato tutto sommato ridotto», attestandosi negli ultimi 57 anni su una riduzione di 0,2 tonnellate/ettaro per il frumento, e di 0,3 t/ha per il girasole. A questo riguardo sono stati presentati anche i dati relativi a due specie di interesse forestale e selvicolturale: la produttività del castagno e del faggio, infatti, espressa in termini di copertura potenziale per i popolamenti naturali (dato direttamente riportabile alla produzione legnosa e degli altri prodotti del bosco), potrebbe crescere moderatamente (fino al 4% per entrambe le specie) entro 10 anni. Poi il trend si invertirebbe, portando una riduzione di copertura potenziale fino al 4% al 2040 e fino al 10% (castagno) e al 12% (faggio) entro il 2070.

Infine, per quanto riguarda le colture energetiche (dati istituto S.Anna) è ipotizzata per il mais una immediata riduzione, cioè in 10 anni si potrà avere un calo del 30%, che poi dovrebbe mantenersi costante. In crescita invece (+35% al 2020, +20% al 2070) la produzione di girasole, mentre il sorgo dovrebbe crescere in un primo momento (+30% al 2020) ma poi tornare, al 2070, ai livelli di oggi. Per il pioppo, invece alla crescita di produttività iniziale (+15% al 2020) dovrebbe poi seguire un netto calo, fino al 12% al 2070 rispetto ad oggi. Come si nota, la gran parte dei vantaggi in termini di salubrità dei popolamenti vegetali che potrebbero essere causati dal global warming in una prima fase, verrebbe poi vanificata in seguito a causa dell'eccessiva scarsità idrica: sono parzialmente escluse da questa considerazione , per quanto attiene le agri-energie, il sorgo e soprattutto il girasole, definiti da Bindi come «le specie più adatte in questo senso, in quanto più adattabili al mutato contesto climatico».

Le azioni di mitigazione del gw praticabili su scala globale sono caratterizzate da un lungo range di tempo necessario per ottenere risultati: sono stati quindi indicati, per l'agro-silvicoltura toscana, alcuni ambiti di adattamento, dei quali alcuni (cambio delle cultivar, variazione delle pratiche agricole - es. dei tempi di semina - e del regime di irrigazione, nuove strategie per la conservazione dell'umidità e di utilizzo dei pesticidi e/o degli strumenti di lotta biologica) sono attuabili a breve termine e con costi limitati. Sul lungo termine, e con investimenti ben più ampi, le strategie suggerite vertono intorno a cambiamenti di uso del suolo su grande scala, allo sviluppo di cultivar di nuova concezione, alla sostituzione delle colture e alle tecnologie per le modifiche artificiali dei microclimi.

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