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Legambiente: i profughi ambientali vera emergenza umanitaria

FIRENZE. Gli eventi meteorologici estremi, sempre più frequenti ed intensi a causa dei cambiamenti climatici, condizionano la vita delle persone tanto da farle spostare. L'abbandono del territorio di origine, con forti traumi anche psicologici, a causa della desertificazione, della siccità, dello scioglimento dei ghiacciai e crescita dei livelli del mare, di alluvioni e uragani, è ormai così frequente che è stata definita una nuova categoria di persone costrette all'esodo forzato definite "profughi ambientali", che è anche il titolo del dossier con cui Legambiente ha voluto presentare il problema all'opinione pubblica.

Secondo l'Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) e l'International organization for migration (Iom), entro il 2050 si raggiungeranno i 200/250 milioni di persone coinvolte in queste migrazioni (una ogni 45 nel mondo), con una media di 6 milioni di uomini e donne costretti ogni anno a lasciare i propri territori. Per Legambiente è una vera emergenza umanitaria: se fino a qualche anno fa erano le guerre la principale causa dei grandi spostamenti di massa, oggi è il riscaldamento globale.

Nel 2008 a fronte dei 4,6 i milioni di profughi in fuga da guerre e violenze, sono state 20 milioni le persone costrette a spostarsi temporaneamente o definitivamente in seguito ad eventi estremi legati al clima. Questo fenomeno apre poi tutta una serie di criticità, oltre a quelle di carattere sociale: «dal punto di vista giuridico i profughi ambientali non esistono, non essendo stati riconosciuti come "rifugiati" dalla Convenzione di Ginevra del 1951, né dal suo Protocollo supplementare del 1967 - ha sottolineato Maurizio Gubbiotti, coordinatore della segreteria nazionale di Legambiente - La soluzione del problema dei nuovi migranti necessariamente passa dunque per il riconoscimento del loro diritto a godere del sistema di protezione internazionale accordato a profughi e richiedenti asilo».

Nel dossier di Legambiente non vengono citati solo i casi più eclatanti più o meno noti a tutti, come lo tsunami del 2004 nell'Oceano Indiano o l'uragano Katrina, ma anche i "piccoli" eventi che con progressione costante sono estremamente impattanti sulle popolazioni locali. In Marocco, Tunisia e Libia vengono perse ogni anno oltre 1.000 km quadrati di terre produttive a causa della desertificazione; in Egitto metà della terra arabile irrigata soffre di salinizzazione e in Turchia 160 mila km quadrati di terra agricola subiscono l'effetto dell'erosione. In Alaska centinaia di piccoli centri abitati sulle coste settentrionali sono a rischio di franare nel mare Artico via via che il permafrost si scioglie. Questi solo alcuni esempi degli effetti dei cambiamenti climatici indotti dagli impatti antropici, da cui non è esclusa nemmeno l'Italia. Negli ultimi 20 anni, infatti, nel nostro Paese si è triplicato l'inaridimento del suolo e si stima che il 27 % del territorio nazionale rischia di trasformarsi in deserto. Le regioni meridionali, sono quelle più esposte al fenomeno e la Puglia, con il 60% della superficie a rischio è in testa a questa classifica poco virtuosa, seguita da Basilicata (54%), Sicilia (47%) e Sardegna (31%).

«La vera urgenza consiste nel comprendere che l'emergenza va affrontata a partire da un serio impegno collettivo nella lotta ai cambiamenti climatici. Misure ancor più necessarie se si pensa che, al di là delle prospettive future, gli effetti del riscaldamento globale sono già una drammatica realtà in molti Paesi, che hanno pagato un prezzo alto per vittime e sfollati» ha concluso Gubbiotti.

 

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