[31/05/2010] News

La “sfiga di Obama”, senza un piano energetico dopo il disastro della Bp

LIVORNO. Secondo D.A. Barber, un freelance che segue la marea nera del Golfo del Messico per il The Huffington Post  «L'incapacità (o la non volontà) del presidente Obama di assumere il controllo del disastro di petrolio della costa del Golfo sembra far parte di uno schema più ampio. Molti ambientalisti dicono che si sentono traditi da un presidente che pensavano avrebbe chiuso, o fortemente limitato, con i molti orrori ambientali del passato. Obama ha promesso una politica globale sul clima e per l'energia pulita con investimenti nell'efficienza energetica e nelle energie  rinnovabili. Ma il presidente stesso aveva riconosciuto che per poter avere i 60 voti necessari per far passare l'energy bill al Senato ci vorranno significative concessioni su nucleare, "carbone pulito" e trivellazione petrolifera offshore». Gli ambientalisti più critici (in aumento) dicono che si tratta della solita politica "business as usual" di Washington.

Obama ha già fatto compromessi al ribasso sulla estensione del Production Tax Credit  per favorire le energie rinnovabili e le Big Oil, che dispongono già attualmente di concessioni "vergini" su 68.000 mila acri a terra e per oltre 40 milioni di acri per il  petrolio e il gas offshore, si sono opposte in tutti i modi all'avvio del Clean Technologies Venture Capital Fund che prevede finanziamenti per 10 miliardi dollari all'anno per cinque anni per realizzare e sviluppare nuove tecnologie di green energy. Mentre l'impegno di Obama a promulgare una tassa sugli utili eccezionali delle multinazionali petrolifere è scomparso dopo il calo dei prezzi della benzina.

Obama è anche sfortunato: ha cercato di calmare la lobby delle Big Oil, delle Big Carbon e del nucleare offrendo loro incentivi per il "carbone pulito", nuove aree per le trivellazioni offshore e finanziamenti per l'atomo,  poco dopo c'è stata la peggiore tragedia in una miniera di carbone Usa dal 1970 e poi è arrivata la più devastante marea nera della storia americana.

Come spiega l'Huffington Post, «Il 31 marzo, il presidente Obama ha annunciato un ampliamento dello sviluppo del petrolio offshore "in modo da proteggere le comunità e le coste", appena tre settimane prima che la piattaforma di perforazione Deepwater Horizon esplodesse il 20 aprile. Undici operai sono stati uccisi. Poi il 14 maggio, Obama ha annunciato una moratoria sulle perforazione di nuovi pozzi e sulla concessione di deroghe ambientali. Ma ora i rapporti indicano che dopo l'esplosione, i federal regulators hanno concesso almeno 19 deroghe ambientali ed almeno altri  17 permessi di estrazione per progetti offshore nel Golfo, molti come quello della Deepwater Horizon. Con l'elezione del presidente Obama, gli ambientalisti si aspettava di vedere la fine della "Appalachian apocalypse", il nome che danno ai depositi di carbone all'aria aperta che soffiano via la cima di intere montagne. Ma nel maggio dello scorso anno, l'amministrazione con calma prese la decisione di aprire la strada alla di rimozione di almeno altre due dozzine di cime di montagne in nome del "carbone pulito". Quasi un anno dopo, il 5 aprile, 29 minatori del carbone sono stati  uccisi nella devastante esplosione all'interno della  Massey Energy Co.'s Upper Big Branch mine, la  peggiore dal 1970».

Ora, siccome non c'è due senza tre, qualcuno teme che la "sfiga di Obama" si rifletta anche sull'industria nucleare. Infatti, nel suo discorso sullo stato dell'Unione Obama fece arrabbiare gli ambientalisti Usa tirando fuori dal cappello «Una nuova generazione di centrali nucleari sicure e pulite», poi a febbraio ha messo sul piatto 8 miliardi di dollari in garanzie di prestito per l'energia nucleare e la sua amministrazione è pronta ad annunciare altri 9 miliardi dollari per il nucleare Usa. Il Dipartimento dell'energia ha appena annunciato un prestito di 2 miliardi dollari alla francese Areva per la costruzione di un impianto di arricchimento dell'uranio in Idaho, rompendo con il divieto per investimenti privati di questo tipo che durava dagli anni ‘70.

Mentre il Golfo è sconvolto da un ecocidio petrolifero che avrà conseguenze ancora imprevedibili ma comunque devastanti, gli ambientalisti chiedono ad Obama di trasformare le tragedie del petrolio e del carbone in opportunità per approvare la legge sul clima e le rinnovabili e per far uscire gli Usa dalla schiavitù del petrolio. Ma probabilmente i democratici hanno paura il nuovo energy bill possa essere presentato dai repubblicani nelle elezioni di medio termine come una "carbon tax". Secondo Barber «Sarebbe ancora più cinico di credere che, come per le guerre in Iraq e in Afghanistan,  il più a lungo durerà la fuoriuscita di petrolio, più l'opinione pubblica americana sarà "stordita"  rispetto al suo impatto».

Greenpeace ha accolto favorevolmente la moratoria di 6 mesi sulle nuove trivellazioni offshore e l'ammissione di Obama che la causa principale del disastro nel Golfo è da ricercare in un'industria petrolifera che ha con i propri controllori pubblici «Rapporti amichevoli e spesso corrotti».  Per John Hocevar, campainer oceani di Greenpeace Usa, «Finché continueremo a lasciare che le compagnie petrolifere come la Bp e la Shell e politici prepotenti scrivano le nostre leggi energetiche e corrompano i controllori, rimarremo dipendenti dai loro carburanti fossili sporchi e pericolosi. Il presidente Obama dovrebbe eliminare dal dibattito i lobbisti inquinatori,  in modo da potersi finalmente muovere verso una rivoluzione energetica pulita che sia buona per il Paese, non solo per le corporation. I 6 mesi di sospensione delle nuove perforazione del presidente sono un rinvio benvenuto per le comunità e gli animali che si basano su quelle acque incontaminate, ma abbiamo bisogno di un divieto permanente di tutte le nuove perforazioni offshore, non solo nell'Artico, ma in tutte le acque degli Usa. Un divieto su tutte le nuove trivellazioni petrolifere è l'unico modo per evitare un'altra disastrosa fuoriuscita. Gli americani resteranno indietro rispetto al resto del mondo se il presidente Obama continua a permettere alla grande industria di determinare la politica energetica di questo Paese. E' del tutto evidente che l'industria non può essere i grado di proteggerci dalle fuoriuscite di petrolio, per non parlare della protezione del nostro futuro energetico. Fino a quando il presidente Obama non andrà oltre il concetto "abbiamo bisogno del petrolio", la nazione non potrà mai superare la nostra dipendenza di combustibili fossili».

Su Time Cnn Kate Piockert invita a guardare al di la dell'emozione del disastro attuale: «La tentazione è quella di giudicare situazioni come questa secondo gli alti e bassi della politica quotidiana, ma il reale impatto della fuoriuscita di petrolio su Obama diventerà chiaro nelle settimane e nei mesi a venire. Se la perdita sarà ridotta rapidamente, se alla Bp verrà fatta pagare per intero la fattura per la pulizia e danni e  nuovi e migliori regolamenti saranno messi in atto per prevenire in futuro catastrofi simili, il danno politico potrebbe essere ridotto al minimo. Ma se il pozzo continuerà a sversare in maniera incontrollata, se continueranno le lamentele dei funzionari locali e statali a proposito degli "ostacoli" federali o, anche peggio, se si subodorasse un abbandono federale prima che gli abitanti siano ritornati al completo nella regione, Obama potrebbe soffrirne gravemente».

Torna all'archivio