[01/06/2010] News

Stare in salute fa bene all'economia (e all'ecologia)

GROSSETO. Mens sana in corpore sano è una massima con cui già ai tempi dei romani Giovenale aveva riassunto gli elementi essenziali del benessere; a questo si aggiunge - in tempi moderni - anche la consapevolezza che l'ottenimento di questi obiettivi è utile anche per l'economia.

La conferma - se mai ve ne fosse ancora bisogno- arriva dal quarto rapporto "Sistema sanitario in controluce" realizzato dalla fondazione Farmafactoring assieme a Censis, Cer e Cergas, che invita la politica a prendere in considerazione queste evidenze e a cambiare quindi l'approccio che interpreta la spesa sanitaria per lo più come fonte di "spesa corrente" e quindi di deficit che non d'investimento per garantire sviluppo economico. Tra l'altro un sano sviluppo economico.

Un buono stato di salute aumenta, infatti, il tempo disponibile per lavoro e la produttività. Può far aumentare le aspettative di vita, e permettere quindi di poter accrescere i livelli di istruzione della popolazione, facendo così aumentare lo stock di capitale umano disponibile. Un buon livello di salute - investendo sulla prevenzione- fa diminuire le spese sanitarie per le cure, portando il bilancio in positivo.

Vi sono poi gli aspetti legati al ruolo che in tal senso ricopre il comparto della ricerca, settore riconosciuto a livello unanime come basilare per l'economia e la competitività di un paese e un importante volano per l'occupazione. Così come - nel breve periodo e in particolari regioni - per le opportunità di lavoro che offre e come strumento di stabilizzazione del reddito può esser considerata anche la stessa spesa sanitaria, in quanto ad essa è legato un vasto indotto di piccole imprese, che spesso rappresentano una delle poche opportunità di lavoro nelle comunità locali.

E del resto c'è anche da considerare l'aspetto che una economia in buono stato di salute permette di avere maggiori risorse a disposizione per migliorare lo stato di salute della popolazione.

Questo è quanto si legge nel rapporto che cerca «di offrire una visione multidisciplinare ed integrata delle relazioni che esistono tra spesa sanitaria, innovazione ed adozione delle tecnologie, stato di salute della popolazione, crescita economica e benessere».

Per analizzare questi aspetti sono stati utilizzati il canale delle aziende sanitarie ed ospedaliere e quello dei singoli decision makers che operano all'interno delle aziende, per capire se e fino a che punto il modello culturale di riferimento e la struttura di incentivi (impliciti ed espliciti) utilizzata sono utili ad avere un approccio verso la spesa sanitaria non come un deficit ma come una spesa per investimento.

Il rapporto investiga anche l'aspetto più macroeconomico della questione , ovvero l'impatto che la spesa sanitaria pubblica ha avuto in passato e potrebbe avere in futuro sul livello del Pil del paese. Le stime per il futuro ottenute dal rapporto indicano una elasticità di lungo periodo pari a 0,26, ovvero se aumenta di un punto percentuale la spesa sanitaria in termini reali, il Pil cresce di 0,26 punti percentuali, un valore che viene considerato in linea con quelli già trovati in altri paesi del gruppo Ocse.

Non solo, considerando il settore dei pazienti affetti da patologie croniche si evidenzia come una buona risposta del sistema sanitario nel suo complesso (farmaci e non solo) può far ridurre sensibilmente il numero di giornate di lavoro perse a causa della malattia, con notevoli risparmi in termini economici. Nel caso particolare dell'utilizzo di farmaci, le stime condotte nel rapporto dimostrano che ridurre del 10% il numero di pazienti cronici affetti da patologie cardiovascolari, respiratorie, psichiche e neurodegenerative- che ammettono di non far uso di terapie farmacologiche- potrebbe permettere una diminuzione dei costi per il sistema economico di oltre 150 milioni di euro all'anno.
L'analisi a livello di aziende sanitarie e ospedaliere, ha inoltre mostrato come i livelli decisionali regionali possano influire positivamente nello sviluppo sociale, sanitario ed economico locale, che è frutto di un intreccio di attività produttive che vanno ben oltre gli ospedali, le aziende sanitarie, i dottori e le farmacie e che viene etichettato come l'industria della salute e che comprende un sistema complesso di attività interconnesse tra di loro.

Il risultato interessante che emerge dal rapporto è quindi che il sistema della sanità rappresenta un valido volano per la crescita economica, ma il dato che deve far riflettere è che questa visione risulta essere, invece, ancora sostanzialmente estranea al pensiero di molti decisori politici, che invece continuano ad interpretare la spesa sanitaria più come "spesa corrente" (e quindi causa di potenziali deficit) che come spesa per investimento capace di generare sviluppo economico.

Questo aspetto- si legge nel rapporto «lo si evince facilmente confrontando i dati delle stime econometriche sul ruolo che la spesa sanitaria ha sul Pil con il sistema di azioni e comportamenti messi in atto a livello delle singole regioni e, più in basso, nei singoli territori; anche a dispetto spesso dell'impegno profuso da tanti direttori generali di strutture sanitarie nel rendere più evidente il nesso sanità-crescita economica».

 

Torna all'archivio