[14/06/2010] News

Lo squilibrio di Bonn sulla corda tesa della road map verso Cancun

LIVORNO. Secondo i cinesi, che di equilibrismo se ne intendono, la parola chiave per definire il secondo round dei Climate change talks dell'Unfccc conclusisi l'11 giugno a Bonn è "squilibrio". Molte delegazioni hanno criticato senza mezzi termini la nuova road map per giungere ad un futuro trattato internazionale sul clima, tuttavia qualche spiraglio di trattativa rimane aperto per alcuni lievi progressi realizzati nei 12 giorni di trattative defatiganti e di stalli strategici da parte dei Paesi ricchi e di quelli petroliferi del Golfo persico.

Eppure, secondo il segretario uscente dell'Unfccc, Yvo de Boer «Un grande passo avanti é adesso possibile a Cancun, sottoforma di un pacchetto completo di misure operative che permetterà ai Paesi di prendere iniziative più rapide e più vigorose in tutti i settori del cambiamento climatico».

Un ottimismo a dir poco eccessivo, visto che il Climate change talks di Bonn si sono conclusi con scontri e disaccordi sul progetto di testo preparato da Margaret Mukahanana-Sangarwe, dello Zimbabwe, il presidente dell' Ad hoc working group on long-term cooperative action under the Convention (Awg-Lca). Numerosi Paesi hanno criticato e respinto le revisioni del testo reso pubblico il 10 giugno, pochi minuti prima della presentazione in aula, che dovrebbe servire ad a elaborare la road map per l'adozione di un nuovo Trattato sul clima largamente accettato. Invece la bozza è sembrata piacere, anche se da parte degli europei sono state fatte notare alcune carenze.

La verità è che la bozza taglia molte delle richieste chiave e dei progetti che stanno più a cuore ai Paesi poveri e che mette da parte i temi più controversi, dando la falsa impressione che esista un consenso,  mettendo così i paesi in via di sviluppo in grave svantaggio.

Il nuovo testo implica la fine del protocollo di Kyoto e la sua sostituzione con un nuovo accordo in cui gli obblighi di mitigazione dei paesi sviluppati e in via di sviluppo sono trattati quasi allo stesso livello. Una vera e propria bestemmia per i Paesi non industrializzati ed emergenti. I Paesi ricchi dovrebbero abbandonare il regime vincolante di riduzione delle emissioni per un sistema volontario di impegni, mentre i Paesi in via di sviluppo dovrebbero impegnarsi di più di quanto facciano già ora. Un duro colpo non solo al principio di equità ma soprattutto al mantra cinese della "responsabilità comune ma diversificata". Il tutto è avvenuto semplicemente togliendo dal testo un piccolo passo essenziale: «preceded by a paradigm for equal access to global atmospheric resources» (Preceduto da un paradigma per l'accesso equo alle risorse atmosferiche globali) e aggiungendo che bisogna raggiungere «Il picco delle emissioni globali e nazionali entro il 2020».

Questo significa che anche i Paesi in via di sviluppo dovranno ridurre le loro emissioni in termini assoluti entro il 2020, anche se i loro livelli di emissioni sono molto inferiori a quelle dei Paesi sviluppati, con enormi implicazioni economiche e per lo sviluppo.

I Paesi poveri hanno chiesto di includere un punto che vietava il protezionismo commerciale, a partire da tariffe o dazi sulle importazioni, da parte dei Paesi sviluppati a causa della lotta contro il cambiamento climatico. Ma anche questo non è stato accolto nel documento, così come è stata respinta la proposta che i Paesi sviluppati facciano un "comparable effort" per ridurre le emissioni e che contribuiscano con l'1,5% del Pil a fondi climatici per i Paesi in via di sviluppo.

Contro la presidente dello Zimbabwe si sono scagliati soprattutto i Paesi africani che hanno definito il testo "squilibrato" perché confonderebbe la riduzione volontaria di gas serra dei Paesi in via di sviluppo con la riduzione obbligatoria alla quale si devono impegnare i Paesi sviluppati. Il Sudafrica ha guidato la protesta dei Paesi preoccupati per la piega che sta prendendo la protezione delle foreste (considerata uno dei pochi dati di fatto dell'Accordo di Copenhagen), ma i Paesi in via di sviluppo temono anche per la sicurezza alimentare e per il futuro delle piccole isole, temi dei quali il testo non tiene di conto. Lo stesso capo della delegazione Cinese, Su Wei (uno dei maggiori garanti dell'Accordo di Copenhagen), ha dovuto ammettere: «Quando ho  preso conoscenza di questo testo squilibrato, sono rimasto scioccato. Essenzialmente il testo si allontana dalla road map di Bali e compromette pericolosamente il futuro del Protocollo di Kyoto. La Cina non lo può accettare».

Resta da capire allora chi ha materialmente scritto quel testo che sembra non avere genitori, visto che la presidente dell'Awg-Lca non può averlo fatto da sola, correndo il rischio di inimicare allo Zimbabwe, un Paese già ridotto alla fame, gli altri Paesi africani e tutti i suoi alleati degli altri Paesi in via di sviluppo. 

Molti delegati dei Paesi in via di sviluppo hanno chiesto alla Mukahanana di preparare un nuovo testo prima della prossima riunione che si terrà sempre a Bonn dal 2 al 6 agosto, e che questo dovrà contenere le proposte dei vari gruppi di Paesi per facilitare i prossimi Clmate change talks.

L'ottimismo di facciata dell'uscente de Boer si è incrinato, ha dovuto prendere atto della rivolta generalizzata contro il testo ed ha ammesso che «Comporta degli inconvenienti», poi ha avvertito che «i negoziati non sono completamente falliti e le Parti hanno convenuto di lavorare su un nuovo testo per i futuri negoziati. Penso che sia possibile progredire solo soddisfacendo gli interessi di tutti I Paesi in maniera equilibrate».

La costaricana Christiana Figueres, che a luglio prenderà il posto di de Boer ha detto a Xinhua: «La maratona negoziale deve tener conto dei diversi interessi dei Paesi. Generalmente il risultato  più auspicabile è quello di ottenere un documento equilibrato, il che non significa soddisfare i bisogni di ognuno Sembrerebbe una cosa difficile, visto che il G77+Cina, che riunisce i Paesi in via di sviluppo, si è detto costernato per la bozza squilibrata e che Paesi asiatici che contano, come Malaysia, Thailandia, Filippine, Singapore, India, Pakistan, Bangladesh, lo hanno giudicato inaccettabile perché imporrebbe ai Paesi in via di sviluppo "low carbon development plans", cancellando nel contempo dal testo numerose loro proposte.

Secondo il Gruppo Africa il testo non era coerente con le richieste dei Paesi in via di sviluppo perché viola il  principio di equità,favorisce le emissioni da parte dei Paesi sviluppati e minaccia di rimpiazzare il Protocollo  Kyoto.

Venezuela e Argentina hanno criticato duramente il testo, mentre il Brasile che fu protagonista a Copenhafen dell'Axccordo Usa-Basic (Brasile, Sudafrica, India, Cina) ha espresso la sua costernazione per il testo e ne ha chiesto una revisione approfondita. Il rappresentante della Bolivia, Pablo Solon, ha detto che «Il nuovo testo favorisce i Paesi sviluppati e non potrà servire come base per ulteriori negoziati».

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