[28/06/2010] News

Uomini e parchi oggi (III) - Cosa occorre rivedere

(continua, vedi link a fondo pagina)
PISA. Questo modello oggi ossia nel momento in cui crisi economico-finanziaria e crisi ambientale sono e appaiono sempre più due facce della stessa medaglia occorre forse rivedere qualcosa. Il modello della 394 configura certo una prevalenza degli interessi -diciamolo così- dell'ambiente sul resto ( almeno ovviamente nei territori perimetrali a parco sebbene questa ‘prevalenza' sia prevista oggi anche in molte normative e protocolli comunitari e internazionali anche per il restante territorio). Ciò induceva e ha indotto a mettere ogni volta sul piatto della bilancia quanto potessero essere sacrificati certi interessi anche locali sull'altare della tutela.

Il caso forse più emblematico di questa contraddizione è quello dell'agricoltura considerata allora quanto di meno compatibile potesse esserci con le finalità di un parco. Basta leggere cosa a quel tempo si sostenne nelle sedi più varie e autorevoli per dimostrare che l'abbandono faceva bene all'ambiente e alla natura, ignorando sia le conseguenze più generali incluse però anche quelle ambientali come poi avremmo visto.

Per la pesca si possono fare considerazioni analoghe. Oggi nessuno se la sentirebbe di riproporre idee del genere tanto è evidente che certe politiche agricole come per la pesca sono indispensabili nella stessa misura sia per l'economia che per la tutela ambientale, della salute etc. Oggi vengono meno insomma molte delle ragioni che indussero a prevedere una doppia regia sia pure non ‘paritaria' tra gestione dell'ambiente ( il piano ambientale) e attività socio-economiche ( il piano socio-economico). Del resto i risultati confermano che qualcosa non andava tanto è vero mentre il piano ambientale sebbene non tutti molti l'hanno fatto, l'altro non l'ha fatto quasi nessuno. Una ragione deve pur esserci e non può essere attribuita semplicemente a negligenza ( che pure ci sarà anche stata).

Va aggiunto che negli ultimi anni sono state proprio le leggi ambientali più importanti -vedi la 183- ma anche il paesaggio nel momento in cui la Convenzione europea lo rilanciava come momento ‘unitario' e non più separato dalla natura, ad essere penalizzate e in qualche modo manomesse.
Insomma, mentre il contesto generale e non soltanto nazionale ci induce a riconsiderare le connessioni tra ambiente nelle sue molteplici connotazioni e profili e economia le leggi più incisivamente pianificatorie perdono i colpi e finiscono in un angolo per lasciare il posto alle più strambe ipotesi ed esercitazioni.

Emergono in sostanza due aspetti che pure già presenti nella legge 394 non hanno prodotto gli esiti previsti e cioè la costruzione di un sistema nazionale di aree protette che doveva contare su una nuova ‘classificazione' coerente anche le disposizioni comunitarie e internazionali mai affrontata seriamente per mettere in relazione più efficace i territori protetti con il restante territorio perché gli effetti innovativi delle politiche ambientali delle aree protette incidessero sul governo del territorio complessivo. Insomma avvalersi della ‘specialità' dei parchi per meglio governare il territorio nel suo insieme. A questo d'altronde dovrebbero servire i parchi come i bacini.

E si torna così alle caratteristiche peculiari del parco come soggetto istituzionale che nel bailamme di un dibattito confuso si è notevolmente appannato tanto da confondersi ed essere sovente assimilato a quei tanti organismi derivati per la gestione regionale o provinciale o locale di specifiche competenze quasi sempre settoriali che fanno capo soprattutto ma non solo alle regioni. Da qui l' auspicio, ad esempio dell'UPI che anche gli enti parco regionali siano sciolti per trasferirne le competenze alle province. Si tratta di una richiesta sorprendente oltre che velleitaria perché si dovrebbe sapere che le competenze del parco non sono ‘trasferibili' a chicchessia. E tuttavia essa conferma quanti danni abbiano fatto quelle inconsulte sortite anche a livelli ministeriali sulla necessità e possibilità di ridurre gli enti parco alla stregua di uno dei tanti organismi consortili o meno ai quali oggi viene affidata la gestione di competenze e funzioni che i titolari ritengono conveniente e più efficace gestire collegialmente. Sono in sostanza organismi ‘derivati' che nulla aggiungono alle competenze dei titolari salvo la auspicata migliore gestione anche sotto il profilo dei costi.

Tutto ciò non ha niente a che fare con l'ente parco non a caso definito dalla Corte ‘ente misto' dotato di competenze e finalità proprie e non derivate. La sua ‘specialità sta appunto in queste sue competenze sovraordinate che sono proprie e non derivate da quelle degli altri soggetti istituzionali coinvolti nella gestione. Ecco perché in caso di scioglimento dell'ente esse non sono ‘restituibili' a nessuno.

Ed è proprio in ragione di questa sua specialità che a suo tempo il parlamento a conclusione di una indagine sulla legge 183 auspicava che anche i bacini fossero affidati alla gestione di un ente dotato di poteri come quello dei parchi. Ciò non è avvenuto per i bacini e oggi non difficile coglierne anche gli effetti negativi, ma anche per i parchi le cose non sono migliorate tanto che sono cresciuti i rischi di una loro burocratizzazione e quindi depotenziamento, fino all'assurdo di una strategia nazionale per la biodiversità che, unica al mondo, non considera il ruolo specifico dei parchi nemmeno per la salvaguardia della biodiversità!

E data la fase che stiamo vivendo sul piano delle riforme istituzionali non sarà male sgombrare il campo da posizioni di cui già in passato furono artatamente e strumentalmente agitate per mettere i bastoni fra le ruote dei parchi.

Come si ricorderà tra le non poche ragioni opposte alla istituzione dei parchi nazionali ed anche regionali figurava quella assai diffusa che l'ente parco più o meno calato dall'alto specie da Roma espropriava o comunque penalizzava il ruolo dei comuni enti elettivi mentre l'ente parco non lo era sebbene qualcuno anche autorevole a suo tempo lo propose.

I fatti, specialmente in quella realtà dove il parco regionale ma anche nazionale è nato dopo una lunga e partecipata incubazione, hanno dimostrato e dimostrano senza ombra di dubbio che non solo i comuni ed anche le province non hanno subito ‘danni' ma sona notevolmente avvantaggiate di questa presenza. In particolare i piccoli comuni che hanno potuto cosi svolgere una altrimenti insperata funzione anche in territori contigui dove non avrebbe potuto assolutamente giocare alcun ruolo. Ma vale anche per quei comuni più grandi e metropolitani che con i parchi dispongono di linee guida pianificatorie più ricche e non ancora unicamente alla gestione urbanistica magari contrattata.
Ma vale anche e non di meno per le stesse regioni che hanno potuto dove hanno saputo e voluto farlo avvalersi di una competenza importante -ad esempio in riferimento al paesaggio ( ora non più !) - per le loro politiche regionali di programmazione.

D'altronde non si tratta di una coincidenza casuale che la crisi che stanno vivendo oggi i parchi nel loro complesso abbia come sfondo una crisi più generale che da anni riguarda l'assetto generale del nostro sistema istituzionale e che attualmente sembra non riuscire a trovare sbocchi e approdi seri e convincenti. Prevale tuttora un po' come per i parchi una confusa azione incentrata principalmente più su abrogazioni, contenimenti e tagli da cui non è emerso finora un convincete e condiviso disegno davvero riformatore, quella via italiana al federalismo di cui tanto si parla spesso a vanvera. Vengono talvolta riproposte vecchie ricette già a suo tempo scartate e quando -raramente- messe in pratica presto riviste e riconsiderate. Vale per le province, i comprensori, le comunità montane, i consigli di quartiere e in tempi più recenti i bacini ed anche i parchi. Anche nuovi soggetti da tempo previsti e confermati dalle leggi ormai da anni come le aree metropolitane sono rimaste al palo e molti ritengono che ci rimarranno ancora.

Il nuovo titolo V che avrebbe dovuto ridelineare un governo del territorio capace di raccordarsi meglio con l'unione europea che sottrae spazi alle decisioni nazionali degli stati i quali debbono riuscire ad avvalersi meglio di tutte le potenzialità locali per farle pesare di più e meglio nelle scelte comunitarie le proprie istanze. I parchi e le aree protette anche sotto questo profilo hanno concretamente dimostrato e con risultati apprezzabili e riconosciuti questa capacità di proiettare quanto c'è di più valido e prezioso nella dimensione locale nell'area comunitaria con un ‘ritorno' significativo. Risultati guastati purtroppo dalle troppe inadempienze e infrazioni governative costate peraltro salate al nostro paese.
(fine. 3)

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