[06/07/2010] News

La dimensione fisica dei beni materiali

NAPOLI. Viviamo, si dice, nell'era della conoscenza e dei beni sempre più immateriali. Ma mai il traffico internazionali di beni materiali è stato così intenso come in questo momento. Nel 2005 hanno attraversato i confini e sono stati scambiati 10 miliardi di tonnellate di beni materiali. Una quantità in peso che è 3,5 volte superiore al traffico fatto registrare nel 1970.

Le dimensioni fisiche dei traffici internazionali e il loro andamento storico sono state valutate, con una metodologia innovativa, da Monika Dittrich e Stefan Bringezu, ricercatori tedeschi del Wuppertal Institute, che ne hanno reso conto di recente sulla rivista Ecological Economics.

E oltre ai valori assoluti ci dicono molto su come stanno evolvendo la società e l'economia fondate sulla conoscenza. Una società e un'economia dove il valore dei beni scambiati non è dato tanto dal valore delle materie prime e dal lavoro fisico per estrarle, trasportarle e lavorarle, ma è dato sempre più dal tasso di conoscenza aggiunto. Il computer con cui sto scrivendo questo articolo costa poco in termini di materia prima e lavoro fisico degli operai che lo hanno assemblato, il valore è determinato soprattutto dal "sapere informatico" che contiene.

Un sapere che consuma poco materia e poco energia. Ecco perché molti sostengono che l'economia della conoscenza è caratterizzata da una progressiva materializzazione e de-energizzazione dei beni di mercato.

Questo processo è reale. Se la quantità di beni scambiati a livello internazionale tra il 1970 e il 2005 è aumentata di 3,5 volte, il valore di questi beni, dicono Monika Dittrich e Stefan Bringezu, è aumentato di ben 35 volte: dieci volte tanto. In parte a causa dell'inflazione. Ma in parte a causa della qualità dei beni.

Lo dimostra un'analisi un po' più articolata. La componente dominante dei beni materiali scambiati nel 2005 nel mondo era costituita, con il 45% del totale, dai combustibili fossili. Ma nel 1970 i combustibili fossili rappresentavano il 55% del totale: il loro peso relativo negli scambi internazionali è dunque diminuito. Al secondo posto negli scambi internazionali nel 1970 venivano, con il 25% del totale, le materie prime non energetiche. Il peso relativo di questi beni è sceso al 19% nel 2005. Mentre la quantità di beni lavorati è salita dal 13% del 1970 al 24% del 2005.

Nel loro rapporto, Monika Dittrich e Stefan Bringezu spiegano come si sia modificata la "geografia" degli scambi di beni tra il 1962 e il 2005. Con molti paesi in via di sviluppo che da esportatori netti sono diventati importatoti netti di beni materiali e con un declino del "peso" dell'Europa nel mercato internazionale.

Ma i dati più significativi dal punto di vista  dell'economia ecologica a scala globale sono quelli che abbiamo visto. Il valore degli scambi è cresciuto molto più della loro dimensione fisica. E questo fenomeno è dovuto, in parte, a una certa "smaterializzatone" per unità di valore scambiato. Ma ciò non ha impedito - anzi, probabilmente ha favorito - l'aumento della dimensione fisica assoluta dei beni materiali scambiati. E, nell'ambito dell'economia ecologica, è questo il dato che conta. Perché una maggiore dimensione fisica significa maggiore depletion (esaurimento delle risorse) e anche maggiore pollution (è il caso, chiarissimo, dei combustibili fossili).

In altri termini, l'economia della conoscenza fondata sul potere pressoché assoluto del libero mercato, così come l'abbiamo conosciuta in quest'ultimo mezzo secolo, produce una diminuzione dei consumi relativi di beni materiali, ma non una diminuzione dei consumi assoluti. Dunque, sebbene abbia molte potenzialità per divenirlo, non è un'economia ecologicamente sostenibile. Occorre intervenire, per coglierne le opportunità ed eliminare gli effetti non desiderabili.

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