[13/08/2009] News

Il Sole (e il governo) non fanno luce sulla vera ecobolletta di Kyoto

LIVORNO. A dicembre a Copenhagen si terrà il vertice Onu per definire i prossimi accordi per contrastare il global warming attraverso un piano di tagli alle emissioni, e le diplomazie internazionali stanno lavorando per fare in modo che tutti i paesi di vecchia e nuova industrializzazione aderiscano, con meccanismi di flessibilità che saranno appunto oggetto di trattativa.

Tutti ormai consapevoli del fatto che i cambiamenti climatici sono un problema (anche il Pentagono adesso li pone tra le principali minacce da affrontare) su cui è necessario intervenire, e che i tempi per gli interventi non sono più così dilatabili, si apprestano a trovare un compromesso che possa dare risultati più soddisfacenti di quanto non sia stato con il primo trattato di Kyoto, su cui è unanime il giudizio che sia stato un punto di partenza ma che sia necessario impegnarsi di più.
Nonostante questo in Italia si continua a remare contro e a pochi giorni da ferragosto, si prova a insinuare una minaccia non tanto riguardo alle conseguenze che i cambiamenti climatici potrebbero produrre nel nostro paese (anche in termini economici) ma di quanto ci costerà l'aver ratificato il protocollo di Kyoto e il dover adempiere ai relativi impegni che la direttiva europea sull'Emission trading (Et) impone agli stati membri. Da cui si dovrebbe pensare che anche l'essere membri dell'Unione europea non sia poi così conveniente.

In prima pagina sul principale giornale economico edito nel nostro paese si titola infatti «Un'ecobolletta da 840 milioni» come costi che l'Italia dovrà sostenere per acquisire diritti di emissione da altri paesi perché non riuscirà a rispettare il piano approvato nel 2007 dall'Unione europea e che assegna all'Italia un tetto annuo di emissioni di CO2 di 201,57 milioni di tonnellate per il periodo compreso tra il 2008 e il 2012. Ma già sarebbero 550 i milioni che l'Italia dovrà spendere a partire da quest'anno perché avremo già emissioni in eccesso per 56 milioni di tonnellate, secondo quanto stimato nella relazione del Comitato di gestione per il protocollo di Kyoto del ministero dell'Ambiente e dello Sviluppo economico presieduto da Corrado Clini.
Previsioni che vengono attribuite ad un troppo virtuoso piano delle emissioni portato a termine dal precedente governo Prodi, in cui non si teneva conto-dice la relazione- della «rilevante differenza tra il fabbisogno stimato e l'assegnazione delle quote, che ha determinato e sta determinando una situazione di particolare criticità, soprattutto per quanto riguarda la riserva nuovi entranti».

Rileggendo le carte di allora si evince in realtà che il piano nazionale emissioni è derivato da un lungo braccio di ferro fra il ministero dell'Ambiente e quello dello Sviluppo economico, guidati allora da Alfonso Pecoraro Scanio e da Pierluigi Bersani. Alla fine, si era raggiunto un compromesso che aumentava il tetto delle emissioni e che era stato in prima istanza bocciato dalla Commissione europea, che invitava l'allora governo a definire tagli ulteriori per 13,64 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, ovvero del 6,3%, per poter essere in linea con il sistema Ue di scambio delle quote di CO2 che applica ai 27 paesi membri il Protocollo di Kyoto sul clima.

L'esecutivo Ue rimetteva in questione la "riserva" da 16 milioni di tonnellate di CO2 che il governo italiano aveva previsto per gli impianti di prossima apertura e chiedeva di inserire nel piano anche gli impianti di combustione (ad esempio gli impianti di cracking), come già fatto da tutti gli altri Stati membri e di porre un limite al quantitativo massimo totale dei 'crediti di emissione' concedibili in base ai cosiddetti "meccanismi flessibili" del protocollo di Kyoto.

Nel Piano poi approvato si è rispettato il tetto di 195 milioni di tonnellate di CO2 annue- come richiesto dalla commissione- a cui sono state aggiunte le quote (6,21 milioni tonnellate) dei nuovi settori assoggettati alla direttiva Et (cracking, nero fumo, ecc.).
Così come la riduzione della quota per i "nuovi entranti" scesa nel complesso di 2,61 Mton/a, da 18,26 a 15,65 Mton CO2/a.

Nel piano attuale, le assegnazioni per gli impianti termoelettrici esistenti scendono di 9,5 Mton CO2/anno mentre sono esclusi dalla riduzione gli impianti Cip6, quelli di cogenerazione e di teleriscaldamento. Si riducono di 1 Mton CO2/a le assegnazioni per il comparto raffinazione e di 1,72 Mton quelle per il settore acciaio, ma solo per gli impianti di produzione di energia elettrica asserviti alle acciaierie e alimentati da gas siderurgici.
Rispetto al piano per il periodo 2005-2007, varato dall'allora governo Berlusconi, quello relativo al periodo 2008-2012, in cui diventa efficace il Protocollo di Kyoto, porta quindi il tetto di emissioni da 223,11 milioni di tonnellate di CO2 a 201,57.

Il Piano non prevede l'assegnazione di quote a titolo oneroso per salvaguardare la competitività delle aziende e resta il limite del ricorso ai meccanismi flessibili per una quota non superiore al 15% del tetto assegnato, che il Comitato ETS potrà stabilire in percentuali differenziate per i singoli settori.

Un piano che venne criticato da parte ambientalista per essere troppo permissivo, fortemente indirizzato dalla Commissione europea che di fronte a una situazione di evidente difficoltà a soddisfare gli obbiettivi del protocollo di Kyoto per la latitanza di alcuni paesi, ha usato la direttiva Et come strumento disponibile a livello centrale per orientare/condizionare le politiche nazionali.
Una direttiva nata nell'ottica di incidere sulla riduzione di una quota rilevante delle emissioni totali dell'Unione (circa il 40%) e per stimolare indirettamente azioni più decise sugli altri versanti come l'efficienza energetica, le fonti rinnovabili, i trasporti.
Per rispettare la direttiva ogni Paese doveva definire dei tetti massimi di emissione (per il periodo 2008-2012) e gli eventuali sforamenti dovevano essere pagati con sanzioni salate (100 €/t CO2, cioè oltre 6 volte il costo dei crediti di emissioni attualmente quotati in circa 15 euro a tonnellata).
Nel primo periodo di prova (2005-2007) molti Governi (tra cui quello italiano) erano stati molto generosi nell'allocazione delle quote alle proprie industrie, con il risultato di far crollare le quotazioni del mercato del carbonio (vista la scarsa domanda, le transazioni erano scese fino a 0,3 €/t CO2) rischiando di far saltare l'intero meccanismo.

Pertanto nel periodo 2008-2012, che coincide con quello in cui il Protocollo di Kyoto assume valore giuridico, la Commissione ha analizzato con maggiore severità i piani presentati per rendere più cogente l'impegno assunto a livello internazionale.

Il nostro è quindi un paese che ha pagato l'inerzia del periodo in cui si pensava che Kyoto non sarebbe mai decollato con un conseguente rallentamento complessivo delle politiche volte alla riduzione delle emissioni e agli interventi per aumentare l'efficienza. Una posizione tutta sulla difensiva, che l'attuale governo vorrebbe continuare a tenere, provando anzi a tornare addirittura indietro (come ha provato a fare a dicembre scorso in sede comunitaria) come sembra intenzionato a fare tuttora, con una totale incapacità di cogliere le opportunità della rivoluzione energetica che era già iniziata allora e che sta assumendo adesso i connotati giusti anche come soluzione di una crisi economica. Un'accelerazione delle politiche di implementazione delle fonti rinnovabili e dell'efficienza, non faciliterebbe infatti solo il raggiungimento dei tetti previsti dalla direttiva Et o i nuovi obiettivi della direttiva 20-20-20, ma aprirebbe anche nuovi scenari di sviluppo economico.

Oltre a non far incorrere il nostro paese - e questa è purtroppo invece una certezza, ormai - nella multa europea per il mancato rispetto del protocollo di Kyoto. Questa a differenza dei crediti di emissione che si dovranno accollare le aziende che non sono riuscite a rispettare il tetto ( gli 840 milioni previsti al 2012) la pagheremo noi. E secondo il contatore in tempo reale che si può consultare dal sito del Kyoto club ammonta già ad oltre 2miliardi e 142 milioni di euro, che aumentano al ritmo vertiginoso di 42 centesimi al secondo.

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