[07/07/2010] News

Il Parlamento Ue ha votato la direttiva sulle emissioni inquinanti che piace poco a Legambiente

FIRENZE. E' stata votata oggi in seconda lettura dal Parlamento europeo la direttiva sulle emissioni inquinanti. La norma cerca di colmare le gravi lacune presenti nell'attuale legislazione comunitaria sulle emissioni degli impianti industriali, rilevate dalla Commissione europea nell'applicazione delle migliori tecniche disponibili (Bat- Best available techniques) a causa della mancanza di disposizioni comprensibili in materia, del ruolo poco chiaro dei documenti di riferimento (Bref - Reference documents on best available techniques) e della possibilità concessa alle autorità nazionali di non attenersi a tali disposizioni nella procedura di autorizzazione.

L' intervento "riparatore" oltreché tardivo ancora non è esaustivo nel merito almeno secondo Legambiente: «la nuova direttiva colma solo in parte le gravi lacune della legislazione vigente sulle emissioni degli impianti industriali. Ancora una volta sono consentite deroghe all'adeguamento alle migliori tecniche disponibili per gli impianti più vecchi e inquinanti- ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente- Nonostante la nuova direttiva limiti in parte le possibilità di deroga, gli impianti industriali e le centrali a carbone che finora hanno potuto inquinare senza adeguarsi alle Bat potranno continuare a farlo per almeno un altro decennio, mentre i cittadini italiani dovranno continuare a pagare i costi ambientali e sanitari provocati dall'attività inquinante di questi impianti. Nella nuova direttiva inoltre- ha continuato Ciafani-  i criteri di applicazione delle Bat continuano a mantenere la forma di ‘linee guida' e non di criteri legalmente vincolanti, lasciando spazio a possibili abusi da parte degli Stati membri e rendendo più difficile la funzione di controllo della Commissione».

Infatti, la nuova direttiva prevede la possibilità per gli Stati membri di concedere agli operatori di grandi impianti di combustione deroghe sull'applicazione delle Bat fino al 30 giugno 2020 attraverso la redazione di Piani nazionali da inviare entro la fine del 2013 alla Commissione per la loro verifica ed eventuale approvazione. Si tratta in particolare - spiegano da Legambiente- delle vecchie centrali a carbone responsabili di circa il 90% delle emissioni industriali di anidride solforosa (SO2) e ossidi di azoto (NOx) con un forte impatto sulla qualità dell'aria e la salute dei cittadini europei. Inoltre potranno usufruire di deroghe anche gli impianti che non rientrano nei Piani nazionali approvati dalla Commissione. Infatti, agli impianti di combustione che a partire dal 1 gennaio 2016,  come richiesto dalla normativa, non si adeguano ai limiti previsti dalle Bat è concessa la possibilità di poter continuare ad operare per un ammontare complessivo di 17.500 ore e non oltre il 31 dicembre 2023, quando gli impianti dovranno essere chiusi definitivamente.

Insomma pare che anche la nuova norma europea guardi più agli interessi della grande industria che all'ambiente e alla salute dei cittadini.

Per quanto riguarda l'Italia sono presenti grandi impianti industriali e centrali a carbone già oggi in notevole ritardo rispetto ai limiti meno rigorosi previsti dalla normativa vigente, che ora potranno rimandare ulteriormente il loro adeguamento.

In base ai dati 2008 E-Prtr (European pollutant release and transfer register) sui vari inquinanti, elaborati da Legambiente, l'Ilva di Taranto risulta in testa alla classifica poco virtuosa dei peggiori impianti industriali per inquinamento atmosferico con 248.000 tonnellate di monossido di carbonio, 12.500 tonnellate di ossidi di azoto (NOx), 12.700  tonnellate di ossidi di zolfo (SOx), 11,2 tonnellate di piombo, 105 kg di mercurio e i 97 grammi di diossine e furani. Ma l'Ilva di Taranto si colloca ai primi posti anche per il rilascio di metalli pesanti nelle acque come cromo (4,63 t), nickel (9,04 t) arsenico (740 kg) e piombo (926 kg). Tornando alle emissioni in aria significative sono anche le 16,6 tonnellate di benzene emesse dall'impianto Italiana Coke di Savona o l'1,8 tonnellate di nichel emesse dallo stabilimento Enipower S.P.A di Ferrera - Erbognone.

Per quanto attiene le centrali a carbone, su 287 impianti italiani che nel 2007 hanno dichiarato le emissioni di NOx, la centrale termoelettrica Federico II di Brindisi Sud si colloca al terzo posto con 9.090 t e al quarto posto sui 101 impianti dichiaranti le emissioni di SOx. Se poi si considerano soltanto le emissioni delle 12 centrali a carbone, la Federico II  svetta al primo posto sia per il maggior rilascio di NOx che di SOx, seguita al secondo posto dalla centrale di Monfalcone (GO) per le emissioni di ossidi di azoto (4.470 t) e di zolfo (9.490 t) e al terzo posto dalla centrale termoelettrica di Genova per le emissioni di SOx (8.280 t) e da quella di Fiume Santo (SS) per il rilascio di NOx (3.580 t).

«Facciamo presente che questi dati riguardanti i siti produttivi che più contribuiscono nel nostro Paese ad inquinare l'atmosfera o le acque, relativi al 2008, imperdonabilmente non sono ancora stati validati nel nostro Paese dall'Ispra» concludono da Legambiente.

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