[08/07/2010] News

“Assolti” con riserva gli scienziati del Climategate

FIRENZE. «Riteniamo che il rigore e l'onestà degli scienziati siano fuori di dubbio, ma riteniamo (anche) che siamo di fronte ad un significativo esempio di fallimento nel mostrare un adeguato livello di trasparenza». E', questo estratto delle dichiarazioni di Muir Russell, ex-rettore dell'università di Glasgow e coordinatore dell'inchiesta indipendente sul cosiddetto "Climategate", il fulcro delle conclusioni cui è giunta l'indagine conclusasi ieri riguardo alla vicenda delle e-mails rubate dai server della Climate research unit (Cru), centro di studio e ricerca climatologica il cui database, insieme a quello delle americane Nasa (database Giss) e Noaa (database Ncdc), è utilizzato come fonte fondamentale per il monitoraggio del trend delle temperature globali da parte della World meteorological organization (Wmo) e quindi dall'Ipcc nella stesura dei suoi Report sul clima.

Giunge così ad una - almeno parziale - conclusione una vicenda che verrà sicuramente ricordata in futuro come uno dei più grandi (e meglio strumentalizzati dai media di stampo negazionista e dai gruppi politici conservatori) equivoci mai verificatisi nel campo della politica ambientale e climatica. O meglio, più che di "equivoco strumentalizzato" occorrerebbe parlare più che altro di vero e proprio "complotto" finalizzato al fallimento della Conferenza sul clima di Copenhagen dello scorso dicembre, come conferma anche il fatto che, dopo di essa, gli aggiornamenti riguardo al Climategate sono pressoché scomparsi dalle rutilanti pagine dei media e dei blog riconducibili alla pubblicistica scettica e/o negazionista sui cambiamenti climatici.

Certo, qualche "aggiornamento" è apparso invece sui media generalisti, ma la maggior parte delle volte si trattava solo di relazioni frammentarie e finalizzate al mantenere viva la "notizia" secondo la quale "alcuni importanti ricercatori sono accusati di aver manipolato i dati sul clima": una notizia, che - non c'era bisogno dell'inchiesta per capirlo - era tecnicamente impossibile, poiché si basava sull'assunto che un singolo ricercatore potesse manipolare database climatici che invece, in ottemperanza ad un rigoroso principio di peer-reviewing, vengono invece prodotti, come detto, da più enti di ricerca situati in diverse nazioni, e che peraltro non sono tra loro sempre coincidenti nelle valutazioni.

Ma una cosa è la realtà dei fatti, e altro è ciò che si intendeva far credere all'opinione pubblica, e quindi ai media e soprattutto ai delegati che in quei giorni si stavano preparando per Copenhagen: non a caso a fine novembre scorso, nel dare la notizia (vedi primo link in fondo alla pagina) greenreport la descrisse come «un ulteriore assalto politico al principio di precauzione basato sul fatto che nessuno, al di fuori di pochi, leggerà le migliaia di mail, ma tutti "sapranno" (grazie alla campagna mediatica che è partita, e che nei prossimi giorni continuerà) che "qualcosa non va", anche se non è vero».

E, lo si può dire col senno di poi, è andata esattamente così: le e-mails trafugate dai server della Cru non sono state lette nella loro totalità forse da nessuno, ma sicuramente non sono state lette da tutti coloro che nelle pagine dei media generalisti (anche di quotidiani economico-finanziari più che autorevoli, come il "Sole" in Italia e il "Wall street journal" negli Stati uniti) hanno parlato di "prove di dati manipolati dai ricercatori", senza ovviamente verificare se le voci corrispondessero al vero.

Il "si dice" è diventato "è successo", insomma. E se queste "persone" comprendessero solo normali cittadini non sarebbe così grave: il problema è che nella categoria sono invece compresi anche alcuni tra i più influenti commentatori dell'intera società globalizzata (citiamo ad esempio Andrew C. Revkin del "Times", anche lui caduto nell'equivoco), oltre a vari gruppi politici di stampo conservatore che, sia in Italia sia negli Stati uniti hanno preso la palla al balzo per sostenere l'inutilità degli accordi per la riduzione delle emissioni, basandosi proprio - nelle loro mozioni scritte, e soprattutto nel relativo dibattito parlamentare - in grande prevalenza sul clamore annesso alla vicenda del Climategate e alle contestuali accuse di inesattezza ai Rapporti Ipcc a causa di alcuni errori.

E certo non è un caso, ma è invece da ritenersi una sostanziale (e attesa) "reazione" della comunità scientifica internazionale agli sfracelli che - dal punto di vista della comunicazione della scienza - sono stati causati dalle due vicende tra loro analoghe, il fatto che nello stesso giorno sono state pubblicate le conclusioni sia dell'inchiesta sul Climategate sia di quella relativa agli errori presenti nel quarto rapporto Ipcc (vedi secondo link in fondo alla pagina), errori che (sia per quanto riguarda il tempo di scioglimento dei ghiacci dell'Himalaya sia per altri "statement" contenuti nel 4° Rapporto) sono stati giudicati reali ma ininfluenti sul quadro complessivo.

Ma, anche se come detto è umanamente impossibile (anche se molti hanno finto che fosse invece attuabile) leggere l'intera mole delle corrispondenze trafugate dai server della Cru, comunque in questi mesi il quadro della vicenda è diventato chiaro: ai ricercatori inglesi, ed in particolare al direttore della Cru Phil Jones - che nel frattempo si è dimesso, che in questi mesi ha ricevuto svariate minacce di morte fino a confessare di aver reiteratamente pensato al suicidio e che ora verrà invece reintegrato (vedi terzo link in fondo alla pagina) - è stato contestato di aver deliberatamente respinto i tentativi di alcuni cittadini (o meglio, vogliamo dirla tutta? Di alcuni scettici tra i più petulanti e pignoli, come il temutissimo Steve Mc Intyre) finalizzati ad ottenere dati climatici globali conservati nei computer della Cru. Dati che, in un contesto di chiusura legata da una parte all'esasperazione davanti a tecniche comunicative, quelle attuate tipicamente dagli "scettici di professione", la cui pretestuosità è - oggi più che mai - nota a tutti, ma dall'altra parte legata ad un atteggiamento elitario e non trasparente da parte degli scienziati stessi, sono stati prima negati ai cittadini, e poi (almeno in parte) cancellati dagli hard-disk.

Ed è chiaro, e le conclusioni dell'inchiesta vanno ad incentrare proprio qui la loro parte critica rispetto all'atteggiamento dei ricercatori, che anche se si tratta di dati rintracciabili anche in altri database comunque l'atteggiamento degli scienziati è quanto di più lontano ci possa essere dal principio di una comunicazione scientifica ispirata alla condivisione e alla trasparenza. Comunque, in seguito alla diatriba, una notte di novembre apparve su un sito legato ad un server russo (http://eastangliaemails.com/, ancora online) un database di oltre 160 Mb di corrispondenze, che aveva il nome indicativo di "Foia", cioè Freedom information act, la legge inglese cui i cittadini che avevano visto respinta la loro richiesta di accedere ai dati si erano appellati.

E da lì si aprirono le porte dell'inferno: la conferenza di Copenhagen, già zoppicante di suo, ricevette il colpo di grazia nella sua incidenza effettiva sulla politica climatica del futuro. Phil Jones fu posto sotto inchiesta, così come un altro importante climatologo, l'americano Michael Mann dell'università della Pennsylvania, che è autore di alcuni tra i più importanti studi paleo-climatici su scala globale e che, anche in seguito a corrispondenze con lo stesso Jones, era stato accusato di aver anch'egli deliberatamente truccato file climatici tra i più noti, come il famoso grafico "Hockey stick" che era stato ripreso nel 3° Rapporto Ipcc nel 2001.

Peccato che poi sia Jones (ieri), sia Mann (già a febbraio), sia anche l'Ipcc stessa nei suoi errori significativi ma non determinanti, siano stati tutti "assolti", sia pure con il vulnus di aver agito con poca trasparenza, nel giro di pochi mesi.

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