[14/08/2009] News toscana

Quale turismo estivo per l'Abetone e la montagna pistoiese

FIRENZE. Un campo da calcio, una palestra, un palasport e un campo da golf le prime necessità, mentre tra le varie ed eventuali vengono annoverati un cinema e la realizzazione del tunnel che by-passerebbe l'abitato, da anni discusso. Stiamo parlando della regina della montagna pistoiese e toscana, almeno per quanto attiene gli sport invernali, e cioè l'Abetone (Pt), il cui nuovo sindaco Giampiero Danti ha ieri spiegato all'edizione fiorentina di "Repubblica" le infrastrutture di cui a suo parere la comunità abetonese necessita per affrontare la pesante crisi del turismo estivo, che quest'anno è sceso in termini di presenze del 35-40% («con punte del 50%») in media rispetto all'anno passato. I costi, almeno secondo il sindaco, sono limitati: l'investimento necessario per le strutture sportive dovrebbe aggirarsi sui 7-8 milioni di euro.

E' chiaro che se, come sostiene Repubblica, le dotazioni sportive dell'Abetone si riducono a «due campi di tennis, uno di calcetto, una piscina coperta e un bocciodromo», è giusto che la comunità abetonese (che conta circa 750 abitanti in tutto, ma che riceve turisti da tutta la Toscana e non solo) rivendichi il sostegno della Provincia e della Regione per attuare progetti atti a incrementare la dotazione di impianti sportivi, anche per costituire, come dice giustamente Danti, una potenziale attrazione per i ritiri estivi delle società sportive, non solo calcistiche. Questo sia per il turismo estivo, sia per la qualità di vita della comunità stessa.

Destano perplessità, comunque, le opzioni "campo di calcio" e soprattutto "campo da golf", entrambe infrastrutture la cui localizzazione nei confini comunali appare difficoltosa, per ovvi motivi legati alla struttura fisica del territorio, molto scosceso e caratterizzato dalla pressoché totale assenza di aree pianeggianti. E anche la proprietà demaniale di gran parte delle foreste del luogo non aiuterà sicuramente lo sviluppo auspicato.

Ma non è questo il punto: se l'obiettivo è tutelare il turismo estivo, appare assurdo che ancora l'Abetone (e, per estensione, la montagna pistoiese) non abbia ancora messo in atto iniziative finalizzate a valorizzare il più grande valore aggiunto del luogo, e cioè le eccezionali risorse ecologiche e naturalistiche che esso racchiude: dalla celeberrima pecceta di Campolino (una delle due uniche foreste di abete rosso spontanee presenti in Appennino) all'intera parte alta della valle del Sestaione, al sistema dei laghi glaciali, fino alle foreste demaniali secolari che caratterizzano gran parte del territorio, anche nelle zone più antropizzate.

In generale, sia per motivi storici sia per motivi soprattutto climatici la zona dell'Abetone è una vera e propria "bolla di clima alpino" rimasta intrappolata nell'alto Appennino nel corso del riscaldamento che ha fatto seguito all'ultima glaciazione, e i sistemi biologici locali rispecchiano questa eccezionalità, con biotopi e nicchie ecologiche non rintracciabili in nessun altra località montana della regione.

Ciò nonostante, nell'intera montagna pistoiese (tantomeno all'Abetone) non è presente nemmeno un "parco" propriamente detto: esistono infatti numerose "aree protette" (la riserva orientata di Campolino, ma anche varie riserve biogenetiche), oltre a varie Zcs e Sic, ma queste rappresentano solo la strategia finora attuata per la protezione delle emergenze locali, non per la loro valorizzazione.

E questa impostazione deriva in buona parte da un'imperfetta azione che è stata svolta in passato per l'assestamento delle aree protette in zona: a parte la pecceta di Campolino (i cui 98 ettari sono giustamente chiusi all'accesso privato fin dagli anni ‘70, a causa dell'estrema delicatezza di un biotopo quasi unico, e in ovvia sofferenza negli ultimi anni per motivi climatici), le limitazioni attuate sulle altre aree sono state generalmente imposte alla popolazione, senza attuare iniziative partecipative o comunque di confronto reciproco che potessero far "accettare" le politiche di protezione a una popolazione che, comunque, si vedeva dal suo punto di vista "sottrarre" risorse territoriali di cui aveva sempre usufruito liberamente.

E' stato, quello dell'Abetone, un caso emblematico di conflitto tra forti necessità di protezione del territorio e deboli (oltre che sbagliati) modi di attuare queste politiche, che hanno inteso salvaguardare un territorio senza però fornire alla popolazione locale il giusto coinvolgimento nelle politiche di assestamento, le necessarie informazioni, e anche senza fornire al territorio reali "risarcimenti" dei beni che venivano sottratti al godimento pubblico in via totale o parziale.

Un caso emblematico, appunto, degli errori da non fare nella politica delle aree protette, che deve agire secondo un crisma prima "scientifico" e solo dopo "sociale", ma che non può neanche prescindere dalle modalità (per esempio la partecipazione all'assestamento, o il coinvolgimento della popolazione nella gestione delle aree protette, sia pure con i limiti in questo senso posti dalla legge 394) con cui fare accettare dal territorio i limiti imposti da esso.

E queste politiche hanno avuto, come primo effetto, quello di rinfocolare la (già cronica) ostilità alle istanze di protezione della popolazione locale, tipica di qualsiasi comunità che viva in montagna, al punto che, quando negli scorsi anni (per esempio nel 1997, ma la vicenda va avanti da anni) la provincia di Pistoia ha cercato di attuare un progetto per l'istituzione di un parco, è stata sfiorata la rivolta popolare.

Il fatto è che il territorio abetonese è in gran parte "protetto", ma la protezione, attuata senza una strategia unificante e prospettica e senza strategie per la valorizzazione del territorio che si sommassero e integrassero con essa, si è rivelata solo una serie di vincoli, con il risultato di una diffusa ostilità da parte della popolazione, che a sua volta vanifica potenzialmente l'effettività delle politiche di protezione.

In chiusura, ciò che serve per incentivare il turismo estivo all'Abetone sembra essere (oltre effettivamente ad alcune attrezzature sportive, anche se forse non tutte quelle citate sono compatibili col luogo) la realizzazione di un vero "parco", che riunisca le varie zone di protezione e possa attivare politiche di sistema, necessarie per ottenere finanziamenti, visibilità, supporto logistico. Naturalmente non è qui proposta l'istituzione di nuovi vincoli, e nemmeno la loro diminuzione, ma semplicemente la loro ri-discussione finalizzata a creare un parco nazionale o regionale, o magari ad aprire la montagna pistoiese al parco dell'appennino Tosco-Emiliano, situato sulle vicine alpi Apuane.

Ma attenzione: ciò può avvenire solo attraverso un necessario confronto e un auspicabile percorso di partecipazione, altrimenti chi conosce il luogo sa bene che la popolazione locale non accetterà questa evoluzione nella locale politica delle aree protette, che per ora ha portato - ai loro occhi, per i motivi spiegati - solo una forte sensazione di estraniamento dal proprio territorio a vantaggio di "quelli della pianura". E invece l'obiettivo deve necessariamente quello di unire, ad una imprescindibile politica di protezione delle (reali) emergenze naturalistiche locali e dell'eccezionalità del territorio, un'azione di loro valorizzazione, da attuarsi in maniera il più possibile partecipata. Questa sembra essere una reale possibilità di sviluppare il turismo estivo sulla montagna pistoiese: peraltro, secondo dati Irpet, è proprio la provincia di Pistoia ad avere, oltre che una minore superficie globale di aree protette (18,4 kmq), anche la minore densità di esse rispetto a tutte le altre province toscane.

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