[29/07/2010] News

Obama conferma l‘appoggio ad una legge clima-energia

LIVORNO. Secondo quanto scrive The Huffington Post, nonostante le battute d'arresto subite in Senato, il presidente Barack Obama ha detto di sostenere ancora la necessità di una legislazione su clima ed energia più ampia ed ha promesso di continuare a premere per la sua approvazione. La Casa Bianca ha espresso la speranza che Senato e Camera entro quest'anno possano trovare un accordo su un efficace energy plan.

Quello che però si vede è che in realtà i democratici in Senato hanno abbandonato l'obiettivo di Obama di un disegno di legge per limitare le emissioni di gas serra e che tentano, prima delle elezioni di mezzo termine che si annunciano molto dure, di far passare un provvedimento limitato, che risponde soprattutto allo shock avuto dall'opinione pubblica Usa con la marea nera del Golfo del Messico e che propone provvedimenti per migliorare l'efficienza energetica.

Obama, che aveva promesso ben altro al summit Unfcc di Copenhagen a dicembre, fa buon viso a cattivo gioco ma annuncia che non mollerà: «Voglio sottolineare che è solo il primo passo - ha detto in un incontro alla Casa Bianca con i leader democratici e repubblicani del Congresso - E ho intenzione di continuare premere per una riforma più ampia, compresa la legislazione sul clima».

Dopo, il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha respinto l'idea che il Climate Bill possa definitivamente essere accantonato entro il 2010. Secondo lui un progetto di legge globale potrebbe ancora essere negoziato alla Camera e al Senato, una volta che, come spera la Casa Bianca, il Senato approvasse un energy bill ridimensionato nei prossimi giorni. Questo disegno di legge dovrebbe quindi essere approvato da entrambe le Camere. Insomma, si ricomincerebbe da capo.

Nel 2009 la Camera Usa, con una solida maggioranza democratica, aveva faticosamente approvato un piano "cap and trade" con incentivi economici per ridurre le emissioni di CO2 da centrali elettriche, veicoli ed altre fonti, ma nessuno capisce come faranno i democratici a mettere insieme i voti necessari per approvare in Senato anche una versione edulcorata di questo disegno di legge, visto che i repubblicani hanno respinto la legge della Camera come una "national energy tax"  e un killer di posti di lavoro, sostenendo che i costi verrebbero trasferiti ai consumatori sotto forma di sosti più elevasti per le bollette elettriche e i carburanti e che questo costringerebbe le industrie a trasferirsi all'estero.

Il leader della maggioranza democratica in Senato, Harry Reid, sa bene che i repubblicani non voteranno mai il Climate Bill perché sono agli ordini delle Big Oil e che la sua risicata maggioranza non è in grado di contrastare l'opera dei lobbysti delle multinazionali energetiche. Obama cerca altre sponde e ha invitato il Congresso ad approvare una normativa che aiuterà piccole imprese a crescere e ha invitato i senatori repubblicani a non bloccare nuovo fondo per aiutare le piccole imprese. Ma anche l'industria automobilistica trarrebbe vantaggio dalla proposta democratica, visto che sono previsti forti incentivi per le auto elettriche e per la loro componentistica.

Il leader repubblicano in Senato, John Boehner, ha duramente criticato il piano economico di Obama anche durante l'ultimo incontro col presidente, ma quest'ultimo ha ribattuto che Boehner e i repubblicani ripropongono la stessa politica che ha portato gli Usa in recessione.

La situazione si è surriscaldata il 27 luglio, quando Reid ha presentato il progetto di legge democratico "energy and oil spill" e questo nonostante sia una ritirata rispetto al progetto clima-energia. Il problema è che la nuova legge impone alle società petrolifere di pagare tasse più alte all'interno dell'Oil Spill Liability Trust Fund e prevede di eliminare il tetto di 75 milioni di risarcimenti in caso di incidente petrolifero. Con i soldi in più pagasti dalle Big Oil si finanzierebbero i 5 miliardi del programma Star Home, che prevede sconti e incentivi ai cittadini i che investono nell'efficienza energetica e verrebbero coperti per intero i costi del Land and Water Conservation Fund.

Forse non a caso proprio mentre si discute di questo è arrivato l'annuncio della cacciata del direttore generale della Bp Tony Hayward (che diventerà direttore non-esecutivo della Joint venture russo-britannica Tnk-Bp) e della sua sostituzione con un americano, forse è per questo che è arrivato l'annuncio della presunta e miracolosa scomparsa del petrolio dalle acque del Golfo del Messico mentre la Bp ieri annunciava di aver pagato la scorsa settimana  30 milioni di dollari di risarcimenti nel Golfo del Messico e di essere pronta a pagarne altri 60 entro agosto. In tutto il gigante petrolifero avrebbe già pagato a pescatori, cittadini, imprese 117 milioni di dollari, molto più del tetto dei 75 milioni previsto attualmente dall'Oil Spill Liability Trust Fund. La Bp ha ricevuto 133.000 richieste di risarcimenti e fatto 83.000 verifiche dal 3 maggio, quando ormai era evidente la colossale catastrofe prodotta dal naufragio della Deepwater Horizon.

Una prospettiva che terrorizza l'American Petroleum Institute che si è scagliato contro l'l'eliminazione del limite massimo di responsabilità economica. Il presidente del gruppo, Jack Gerard, ha detto che questo richiederebbe «Un livello irraggiungibile di copertura assicurativa che costringerebbe le aziende americane ad abbandonare le acque statunitensi. Anche le aziende che sono auto-assicurate vedrebbero i costi salire alle stelle, dovrebbero spostare i loro investimenti fuori dagli Stati Uniti». Le stesse cose ripetute a pappagallo dai senatori repubblicani e dai governatori del partito dell'elefante come quello della Louisiana

Quello che le Big Oil sembrano temere di più è che il disegno di legge possa accelerare i procedimenti per riscuotere i risarcimenti alle persone danneggiate dagli sversamenti petroliferi e che la revisione della regolamentazione nazionale sulle trivellazioni petrolifere offshore punti a prevenire i conflitti di interessi, cioè quel gelatinoso intreccio di interessi tra petrolieri, politici,  giudici e funzionari delle agenzie federali che l'ecocidio del Golfo ha fatto emergere.

La domanda che viene spontanea è questa: come mai, davanti a questa evidente e maleodorante relazione incestuosa tra Partito Repubblicano e Big Oil sono Barack Obama e i Democratici che probabilmente perderanno le elezioni di mezzo termine a causa di un'opinione pubblica indignata per la catastrofe del Golfo del Messico?

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