[06/08/2010] News

Rock, politica e marketing: similitudini, parallelismi e iperboli per l'autodifesa dei neuroni

LIVORNO. Che c'entrano i Linkin Park con la politica? Mike Shinoda, leader della rock band californiana, si candida forse alle elezioni? Nulla di tutto questo ma l'iniziativa per il lancio del nuovo disco, di cui parla oggi Il Giornale, è nei fatti l'ultima frontiera di quella che potrebbe essere lo scontro all'ultimo voto di domani. Fuori dai partiti e dalle sue vetuste regole, la parola d'ordine è ormai partecipazione. Niente di male, ovvio, fino a quando questa rappresenta un percorso alla fine del quale si fa una sintesi e si costruisce un'idea condivisa accettando il conflitto giusto e fondamentale di chi comunque non la penserà mai come te nonostante magari abbia "partecipato". Diversamente non saremmo distanti dal tanto vituperato "pensiero unico". L'importante tuttavia è avere almeno un canovaccio da proporre, una serie di punti sui quali discutere approfonditamente cosa peraltro che - sfidiamo chiunque a dire il contrario - veniva fatta assai nei partiti e almeno in quelli di sinistra.

Ma che c'entrano allora i Linkin Park? C'entrano, c'entrano, perché nonostante abbiano appena pubblicato il nuovo singolo The catalyst, hanno offerto ai fan - si legge appunto sul Giornale - «la possibilità di arrangiare a proprio piacimento le tracce audio, utilizzando i loro software musicali, e poi caricarle sulla pagina MySpace della band. Ogni nuova versione può essere votata e commentata. Il leader Mike Shinoda, uno che ha una conoscenza e una sensibilità musicale fuori dal comune, ha spiegato che ‘dare la possibilità a un fan di suonare in una delle nostre canzoni ci è sembrato il modo giusto di dimostrare il nostro affetto'».

Insomma, sostiene Paolo Giordano autore dell'articolo, «crolla un muro, quello dell'intoccabilità delle rockstar, che ha senz'altro contribuito a creare lo showbiz ma è ormai distante dalla realtà». Perché oltretutto anche «la copertina del cd A thousand suns è stata disegnata proprio grazie a chi la comprerà: chiunque volesse ha infatti potuto cliccare sul sito del gruppo e aggiungere un pixel per completarla, a dimostrazione che, volenti o nolenti, siamo definitivamente entrati in un'altra epoca. E tornare indietro, ormai, è sempre più difficile».

Ecco, il rock che da sempre è specchio dei costumi della società e le più volte ne ha precorso i tempi dettandone le mode, ha rotto un muro -  non c'è dubbio - che resisteva da anni. Ovvero quello dell'artista che propone la sua musica (in questo caso, ma vale per qualunque altra forma artistica) e poi si fa carico senza compromessi di come questa verrà accolta. C'è dietro più la voglia di far partecipare o la paura di perdere fan? C'è dentro più voglia di far partecipare o guerrilla marketing ovvero ora che la copertina l'hai disegnata come vuoi, sarà più facile venderti il disco?

Premesso che a noi i Linkin Park piacciono parecchio e non abbiamo nulla contro di loro, questa ‘deriva' mercatistica di una rock band (che ha già venduto qualcosa come cinquanta milioni di dischi) ci fa intravedere scenari poco rassicuranti sul fronte come dicevamo della ricerca del consenso politico.

Il passo tra lo scrivere un programma elettorale e il farselo riscrivere a piacimento dai "fan" che magari disegnano anche il logo del partito è brevissimo e in parte già visto, ma come si vede si può andare molto oltre. Si può non avere uno straccio di idee e inseguire allora quelle degli altri - non è un'accusa alla rock band sia ben chiaro - e sperare così di circuirli facendole proprie e rilanciandole senza neppure crederci. Insomma, senza un minimo di analisi che è la cosa più deleteria per la politica e mortale per una politica che insegua l'orizzonte dell'economia ecologica.

La dimostrazione di questo assunto è quanto scrive oggi Innocenzo Cipolletta sul Sole24Ore. Nel delirio di come uscire dalla crisi riducendo il disavanzo pubblico dello stato senza deprimere la crescita, niente di più gettonato è stato «ridurre gli sprechi e combattere l'evasione fiscale». In un'ipotetica riunione partecipata sulle direttive di un partito o di un movimento questo sarebbe certamente uno dei punti che una volta si sarebbero detto "programmatici" e non c'è niente di male all'apparenza se Cipolletta non disvelasse - grazie all'analisi - un particolare che smonta del tutto o in parte la cogenza di questa azione:  «Quando si parla di sprechi nella spesa pubblica si citano sempre gli stessi esempi: la pletora dei CdA delle società degli enti pubblici, la presenza di sedi all'estero, le auto blu, l'assenteismo, i falsi invalidi e poco altro. Sono esempi che attirano l'attenzione ma nel complesso incidono poco sulla spesa pubblica. Certo, vanno eliminati, ma non è questa la via per fare risparmi consistenti».

E quale sarebbe allora la strada, «tagliare alcuni servizi pubblici»? «Anche qui si sostiene che ci siano molti sprechi. Ma quelli che alcuni considerano come sprechi, spesso sono invece servizi utili per altri. Lo spreco è sempre quello che non serve a noi. Treni e autobus che viaggiano semivuoti; posti letto negli ospedali che non sono pienamente utilizzati; musei poco visitati; enti di ricerca e culturali; scuole diffuse sul territorio; eccetera (...)».

E lo stesso vale per la lotta all'evasione: «Spesso è affidata all'eliminazione di alcune deduzioni fiscali, considerate fonte di elusione, o all'inasprimento di alcuni parametri ritenuti non adeguati. Saranno anche giuste simili misure, ma alla fine sono nient'altro che un inasprimento fiscale su chi già paga adeguatamente le imposte. Mentre i troppi condoni e scudi fiscali finora fatti nel nostro paese non hanno portato alcuna riduzione dell'evasione fiscale e hanno invece premiato abbondantemente chi evadeva le tasse. E con ciò l'evasione fiscale è continuata. In effetti, l'errore principale sta proprio nel considerare la lotta all'evasione e agli sprechi come misure per fare cassa nei momenti di bisogno. Questa impostazione trasforma un'azione ordinaria che dovrebbe essere esercitata costantemente in una manovra straordinaria dettata dalla congiuntura economica. È come dire che, se non ci fosse la necessità di ridurre il disavanzo pubblico, allora non varrebbe la pena di ridurre gli sprechi e di combattere l'evasione fiscale».

Ora, ci chiediamo e vi chiediamo, possibile che sia un ex direttore di Confindustria come lo è Innocenzo Cipolletta a dire che «Purtroppo nel nostro paese ancora si insegue il mito della riduzione, a tutti i costi, della spesa pubblica, come se fosse la soluzione di tutti i mali, senza rendersi conto che la ricchezza di un paese dipende anche dalla qualità e dalla quantità di servizi che vengono offerti alla popolazione»? Anche gli amici che combattono la battaglia sull'acqua pubblica si domandino se con il referendum (strumento che noi difendiamo, ci mancherebbe) si riuscirà o no a migliorare il servizio perché è questo che davvero non funziona nella gestione della risorsa. Il nostro timore, insomma, è che la politica marketing non sappia far altro che andare a ruota di tutto ciò che si muove pur di raccogliere qualche briciola di consenso vanificando così anche le migliori intenzioni dei ‘partecipanti'.

L'economia ecologica è, secondo noi, il perno sul quale costruire un programma di governo da proporre e sul quale trovare il più largo consenso. Anche perché, giova ricordarlo, se il campo della sfida è invece quello del marketing, contro chi ha mezzi di informazione e capacità di comunicazione come li ha chi governa attualmente, lo scontro non potrà che essere un bagno di sangue. 

Torna all'archivio