[19/08/2010] News

La Cina piano piano verso il cap and trade e con qualche "trucco" sul Cdm e Hfc. Interessata anche l'Enel

LIVORNO. La Cina ha confermato di aver messo sotto esame le sue misure nazionali di emissions trading per frenare l'impennata di emissioni di CO2, ma a quanto pare l'adesione al sistema cap and trade nel suo prossimo Piano quinquennale del 2011 sarò cauta e modesta.

La Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma (il governo cinese) la scorsa settimana ha confermato che i "meccanismi di mercato" pilota per il carbonio sono stati presi in considerazione per alcune città e regioni, ma molti analisti sono convinti che il governo comunista a breve termine non si impegnerà molto nei mercati di scambio di quote di CO2.

La Cina non vuole compromettere la sua partecipazione, come Paese in via di sviluppo destinatario, ad importanti investimenti previsti da Clean development mechanism (Cdm) dell'Onu e che quindi procederà con cautela, anche perché i negoziati sul post Protocollo di Kyoto (di cui fa parte il Cdm) sembrano sempre più incerti mentre ci si avvicina al summit di Cancun.

Il governo cinese, limitandosi a regime di scambio delle emissioni in specifiche zone geografiche, cercherebbe di evitare che le iniziative di riduzione delle emissioni interferiscano con il ricco e problematico mercato del Cdm nel resto del Paese. Pechino paradossalmente assume, centralizzandolo, il modello degli Stati americani che stanchi dell'immobilismo di Bush (e poi dello stallo delle leggi di Obama) hanno istituito sistemi di scambio ambientali regionali.

Con circa il 40% di tutti i progetti in atto nei Paesi in via di sviluppo, la Cina è il principale Paese beneficiario degli investimenti Cdm per l'energia pulita, che le hanno portato dollari ed euro sonanti per sostenere il boom dell'energia eolica e di altre fonti rinnovabili e per la riduzione delle emissioni nelle sue nuove industrie. Se mettesse in atto politiche di tagli delle emissioni nazionali, questo creerebbe al suo interno problemi di additionality per le attività Cdm.

L'additionality è un "eligibility test" per i progetti che producono carbon credits all'interno del Cdm e dei programmi Joint Implementation, un altro dei meccanismi del Protocollo di Kyoto, così come di altri carbon offset schemes. Questo test impone che i progetti siano eligibili per i carbon credits solo se la riduzione di emissioni ottenuta non sarebbe avvenuta lo stesso, vale a dire se sono in aggiunta a quanto si sarebbe verificato, secoindo le norme e gli obiettivi nazionali, anche senza l'incentivo dei carbon credits.

Intanto la Cina qualche problema con i Cdm sembra averlo: un panel dell'Onu esaminerà le richieste di carbon offset di tre progetti Hfc di eliminazione di gas serra. Si tratta di alcuni dei più lucrativi progetti mai proposti all'interno del meccanismo del Protocollo di Kyoto e sono stati avanzati da Shandong Dongyuen, Zhejiang Dongyang e China Fluoro per distruggere un potente gas serra, l'idrofluocarbonio-23 per ottenere 2,7 miliardi di dollari dal Cdm ottenendo fino ad oggi 4,5 milioni di Certified emissions reductions (Cer) dall'Unfccc. Secondo i dati Onu, gli acquirenti dei Cer dei tre progetti Hfc cinesi comprendono anche l'Enel, la britannica Natsource e le giapponese Mitsubishi, Sumitomo, Mitsui & Co, Tokyo Electric e Nippon Steel.

«C'è stata una richiesta di riesame della richiesta di rilascio», ha spiegato in una e-mail una portavoce dell'Onu, in risposta ad una domanda di Point Carbon News Carbon News che a sua volta spiega: «l'avvio di questi tre progetti sarà ora probabilmente ritardato di almeno due mesi in quanto la commissione indaga su ulteriori richieste, una mossa che potrebbe restringere le forniture di Cer e far salire ulteriormente i prezzi» che il 17 agosto erano a 12,45 euro a tonnellata.

A giugno il governo cinese ha informato l' executive board del Cdm di aver istituito un fondo per il sostegno e lo sviluppo dei progetti Hfc nel Paese.

All'inizio dell'anno i progetti Hfc approvati nell'ambito del Cdm sono stati messi sotto accusa ti dagli ambientalisti perché le industrie cinesi (e non solo) aumenterebbero intenzionalmente le loro emissioni per poi abbatterle e fare incetta di Cer. Un trucco che varie indagini hanno apput rato essere vero. Tanto che a luglio l'executive board del Cdm ha chiesto al working group di investigare su altre segnalazioni di frodi.

Attualmente ci sono solo 20 progetti Hfc registrati ai sensi del Cdm, ma da soli rappresentano circa la metà dei 428,5 milioni di Cer rilasciate dall'Onu.

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