[27/08/2010] News

Senza la grande finanza la "green economy" rimane uno slogan

ROMA. In tema di sviluppo sostenibile nessuno mette in dubbio né i buoni propositi dei vari capi di stato e di governo nel delineare le opportune strategie né tantomeno i tentativi dei rispettivi cittadini (singoli o associati) nel mettere in pratica comportamenti virtuosi. Però è un dato di fatto che questo non può essere sufficiente per incidere davvero sulle dinamiche planetarie perché ecologia non può esimersi dal far rima con economia, dato che senza denari non è possibile fare gli investimenti necessari all'espansione della "green economy".

Infatti con il perdurare della recessione globale, con i continui tagli ai bilanci statali, con l'impossibilità di aumentare il debito pubblico, i governi delle nazioni hanno sempre più necessità di ricorrere alle istituzioni finanziarie ed alle grandi "corporation" per attrarre i necessari capitali utili a rilanciare la produzione industriale e la ripresa economica.

Ma come ci insegna l'economia, senza essere necessariamente allievi di Adam Smith, gli investimenti ed i flussi monetari vanno là dove c'è maggiore aspettativa di profitto e questo vale anche per la finanza verde. Questo assioma vincola pure il mercato della più grande potenza mondiale e la politica governativa statunitense.

Nonostante il presidente Obama abbia fatto della "green economy" il proprio vincente cavallo di battaglia della sua campagna elettorale e nonostante sia riuscito a far approvare dal Congresso incentivi da 20 miliardi di dollari (all'interno del suo gigantesco piano federale di rilancio dell'economia da oltre 750 miliardi), i più grandi investitori globali non lo hanno seguito su questa strada, preferendo altre aree geografiche del pianeta dove andare ad investire ingenti capitali, anche quelli destinati proprio alla "finanza verde".

Questo perché l'amministrazione Obama sembra essere troppo legata alle pressioni della "vecchia industria" e nonostante appunto qualche timido tentativo, non ha ancora attuato un'efficace politica di riduzione delle emissioni. E' quanto conferma ad un intervista alla Reuters Kevin Parker, Capo della Deutsche Bank Asset Management Division, la struttura che gestisce un portfolio di 700 miliardi di dollari di fondi gestiti, di cui una parte espressamente dedicati per investimenti nel settore della lotta ai cambiamenti climatici e efficienza energetica.

Secondo questo istituto finanziario è preferibile investire in Cina e nell'Europa occidentale, dove le prospettive più lungimiranti. Tra l'altro come dargli torto, considerato che la Cina, arrivata ad essere la seconda economia mondiale, ha recentemente approvato un piano da 738 miliardi di dollari per progetti sulle energie rinnovabili da qui a dieci anni e che nel vecchio continente, perfino l'Italia si è data ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni e sta sperimentando con successo gli incentivi all'energia solare (grazie al conto energia), tanto da aver già superato, in potenza installata, l'intera produzione fotovoltaica degli Stati Uniti (fonte: World Watch Institute).

Il fatto che il nostro Paese, in tema di green economy, sia maggiormente appetibile addirittura dell'America non deve tuttavia far cantare vittoria. La finanza internazionale è sempre molto attenta verso dove dirottare i propri fondi e nello stesso modo basta un piccolo accenno di indecisione o provare a puntare al ribasso per far scappare nuovamente i capitali verso altri lidi più sicuri e remunerativi.

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