[22/09/2010] News

Il colabrodo della sicurezza nucleare francese e i rapimenti di Al Qaida

LIVORNO. In Francia è allarme rosso, si temono attentati suicidi dopo che Al Qaida del Maghreb islamico (Aqmi) ha rivendicato con un messaggio ad Al Jazira il rapimento avvenuto il 16 settembre di sette tecnici, 5 cittadini francesi, un togolese e un malgascio, che lavoravano per Areva e Satom (gruppo Vinci) nelle miniere di uranio del Niger. Il messaggio rivolto al governo francese è esplicito: «I Mujahiddin   trasmetteranno ulteriormente le loro richieste legittime (!) Noi mettiamo ulteriormente in guardia contro altre stupidità», dice Al Qaida del Magreb riferendosi ad una possibile operazione militare che starebbero preparando i francesi per liberare gli ostaggi nelle mani dei terroristi islamici.

Il governo nigeriano aveva fatto sapere che «Attualmente, sulla base di indicazioni, siamo in grado di dire che il gruppo che ha proceduto a questo rapimento inaccettabile è un affiliato al gruppo di Abou Zeid che è lui stesso collegato alla nebulosa di Al Qaida», ora viene fuori che la giunta militare golpista del Niger aveva avvertito la Francia già il primo settembre e che esistevano minacce di rapimento nella regione di Arlit, esattamente dove sono stati rapiti i tecnici che ora sarebbero prigionieri in Mali. La Francia avrebbe inviato aerei militari da ricognizione per sorvolare i Paesi del Sahel nel tentativo di ritrovare gli ostaggi, ma il portavoce dell'esercito francese si è rifiutato di fornire qualsiasi informazione sulle iniziative prese per liberare io tecnici, anche se il governo ha assicurato che «Nessuna  truppa francese è stata impegnata sul terreno e non partecipa quindi all'attuale offensiva dell'esercito mauritano contro i combattenti di Al Qaida», cosa alla quale nelle ex colonie francesi zeppe di basi militari  e di contractor francesi che difendono i sacri confini delle concessioni minerarie-uranifere, non crede praticamente nessuno.

Ieri sera il presidente francese Nicolas Sarkozy ha riunito un Consiglio ristretto della difesa e della sicurezza all'Eliseo proprio per discutere della questione degli ostaggi e del terrorismo, due minacce che pesano ogni giorno di più sulla Francia e i suoi interessi all'estero che in Niger, Mali e Mauritania hanno spesso un nome ben preciso: uranio. Interessi che sono sotto attacco di un gruppo di estremisti, Aqmi, fondato nel 2007 in Algeria, che forse arriva a 300 - 400 persone che tengono in scacco interi eserciti armati da Parigi e la stessa Francia, una delle più grandi potenze militari, economiche e nucleari del pianeta.

Greenpeace France mette ulteriormente in luce una questione già più che evidente: la dipendenza energetica francese dal nucleare, e quindi dalle importazioni di uranio, sta diventando un fattore di rischio sempre più grosso per la sicurezza della Francia.

«Il nucleare mette in pericolo la sicurezza e l'indipendenza energetica francese - hanno scritto gli ambientalisti non appena si è avuta conferma del rapimento dei tecnici di Areva e Satom - il governo francese e l'industria nucleare vantano l'indipendenza e la sicurezza energetica che si suppone l'atomo apporti alla Francia, che raggiungerebbe un livello di indipendenza energetica del 50%. Questa cifra non corrisponde assolutamente alla realtà perché non tiene conto delle importazioni di uranio. Il governo utilizza queste cifre come se l'uranio fosse prodotto sul suolo francese! Anche se l'ultima miniera francese è stata chiusa 2001. Nel 2007, più di un terzo dell'uranio acquistato da Areva proveniva dal Niger, Paese molto instabile e pericoloso, come dimostra il terribile rapimento di 7 persone».

Quella del governo di Parigi è probabilmente l'inguaribile sindrome della  Françafrique, del neocolonialismo che porta la Francia a considerare i suoi ex possedimenti africani come territori semi-indipendenti, con governi imbarazzanti da controllare attraverso un misto di paternalismo, corruzione, intervento militare e sfruttamento economico intenso.

In questo senso le attività di Areva in Niger sono un vero e proprio caso di studio: «Da più di 40 anni - spiega Greenpeace France - in Niger Areva sfrutta l'uranio in due giacimenti situati nelle regioni di Arlit e Akokan (nord). Queste due miniere producono ogni anno 3.000 tonnellate di uranio. Entro il 2012 Areva dovrebbe aprire in Niger una terza miniera che produrrà 5.000 tonnellate di minerale all'anno. A questa data Areva conta quindi di tirare fuori la sua produzione di uranio dalle sue miniere nigerine. Oggi, l'uranio del Niger permette di fabbricare il combustibile necessario per far carburare una ventina dei 58 reattori nucleari francesi. Una cifra che dovrà essere quindi rivista al rialzo, aumentando considerevolmente la dipendenza della Francia riguardo a quel Paese molto instabile che è il Niger».

Ma il problema per Areva ha anche un altro nome: giustizia sociale (e ambientale). La ricchezza del suo sottosuolo non ha portato nulla al Niger che è uno dei 4 Paesi più poveri del mondo e si piazza in fondo alla classifica dello sviluppo umano. Più del 40% dei bambini del Niger presenta un'insufficienza ponderale, nel Paese manca l'acqua, i tre quarti della popolazione è analfabeta, i cambiamenti climatici stanno devastando il Paese, portandosi dietro malattie, fame, disperazione, un brodo di coltura eccezionale per l'integralismo islamico e le sue frange terroristiche. A tutti in Niger è evidente una cosa : «Lo sfruttamento delle miniere di uranio non ha portato niente alla popolazione», se non l'inquinamento radioattivo di suolo, aria ed acqua che Greenpeace ha rilevato nelle città minerarie di Arlit ed Akokan, dive sopravvivono 80.000 persone.

Nel rapporto «Abandonnés dans la poussière» (Abbandonati nella polvere) pubblicato a marzo, Greenpeace evidenzia concentrazioni anormali di uranio nel suolo e di radon nell'aria, ma anche la presenza di oggetti radioattivi provenienti dalle miniere in vendita nei mercati e almeno 4 campioni d'acqua con concentrazioni di uranio ben più alte di quelle raccomandate dall'Organizzazione mondiale della sanità.

E' qui che si infila Al Qaida del Magreb, sostituendo la guerriglia tuareg che aveva reso per anni a rischio l'attività di Areva in Niger, almeno fino al 2007, quando una vera e propria guerra non dichiarata per lo sfruttamento delle miniere di uranio aveva opposto l'industria francese al governo del Niger, un conflitto poi finito con l'accordo di Sarkozy con l'uomo forte di turno (defenestrato nel 2009 da un golpe militare) che prevede il raddoppio del prezzo di favore che Areva pagava per l'uranio del Niger e qualche concessione alla ribellione tuareg abbondantemente pilotata da Areva quando serve.

D'altronde le alternative non sono certamente più presentabili e sicure: «Il secondo più grosso fornitore di Areva e della Francia di uranio è il Kazakistan (obiettivo di produzione di 4.000 tonnellate all'anno), un Paese a regime presidenziale autoritario che si può difficilmente considerare un modello di democrazia»,   sottolinea Greenpeace France.  In Kazakistan, la situazione ecologica, ambientale e sanitaria è altrettanto critica di quella del Niger, come si può leggere sul sito del ministero degli esteri francese «Un recente rapporto scientifico indica che le regioni orientali e occidentali del Kazakistan sono considerate come in stato di disastro ecologico, in particolare a causa dell'inquinamento radioattivo e chimico. Inoltre, la radioattività presente ad Alma Ata e nella sua regione è largamente superiore al normale e sarebbe la principale spiegazione per i numerosi casi di cancro censiti».

Non c'è che dire, come sicurezza interna ed esterna il nucleare francese sembra un vero e proprio colabrodo radioattivo, per la gioia di Al Qaida e delle altre bande di tagliagole di ogni genere che ora hanno trovato un altro facile e incontrollabile obiettivo: l'uranio.

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