[24/08/2009] News

Gli stormi di quelea da flagello a risorsa?

LIVORNO. Da migliaia di anni gli agricoltori africani lottano contro gli stormi di quelea dal becco rosso (quelea quelea), soprannominati "cavallette piumate" che devastano i campi coltivati attraverso il continente.

Clive Elliot, uno specialista che ha passato gran parte dei 3 suoi 31 anni di lavoro alla Fao a cercare di aiutare  i piccoli contadini africani a combattere questo flagello alato, spiega all'agenzia stampa dell'Onu Irin che «La sua principale caratteristica è di spostarsi in gran numero. Queste supercolonie nomadi possono raggiungere i milioni di uccelli, il che fa del quelea non solo la specie più numerosa del mondo, ma anche la più distruttrice».

Questi piccoli uccelli provocano danni enormi: anche se preferiscono i semi delle erbe selvatiche questi volatili rappresentano una minaccia costante per i campi di sorgo, grano, miglio e riso e mettono spesso a rischio la sussistenza di intere comunità.

Un quelea mangia in media 10 grammi di semi al giorno, più o meno la metà del suo peso, quindi una colonia di due milioni di individui può divorare fino a 20 tonnellate di semi in un solo giorno. Secondo la Fao «Essendo la popolazione adulta capace di riprodursi almeno  1,5 miliardi, le perdite agricole attribuibili al quelea sono più di 50 milioni di dollari all'anno».

In più questo terribile uccellino sembra indistruttibile: ogni anno ne vengono uccisi a milioni, ma secondo Elliot «Ridurre il loro numero è molto difficile. Sono estremamente mobili, hanno pochi predatori naturali e si riproducono in modo particolarmente veloce. L'uomo non è riuscito ad avere un impatto significativo malgrado la grande diversità delle strategie messe in atto. Una nuova popolazione  può installarsi molto rapidamente in una zona dove è stata appena eliminata una colonia... e siccome si riproducono tre volte all'anno, con una media di tre pulcini per nido, uno coppia di quelea può far nascere fino a 9 uccellini all'anno».

Questi uccelli migrano su lunghe distanze e sono presenti su una superficie enorme: oltre 10 milioni di km2 nelle regioni aride e semi-aride dell'Africa, nella brousse, nelle praterie e nelle savane. «E' un flagello che colpisce numerosi Paesi africani  - spiega Elliot - dal Sudafrica fino al nord del continente, passando da Paesi come la Tanzania, il Kenya e l'Etiopia, così come attraverso tutto il Sahel, fino alla Mauritania».

Se a farne le spese è soprattutto l'agricoltura di sussistenza che viene azzerata dal passaggio di uno stormo di quelea, la causa dell'esplosione della loro popolazione è da ricercarsi nell'agricoltura intensiva e nell'aumento della produzione cerealicola in Africa: oggi la specie sarebbe da 10 a 100 volte più numerosa della popolazione stimata negli anni '70.

Il problema nel 2009,è diventato sempre più evidente anche per le Ong umanitarie che operano in Africa, con un impatto diretto delle ondate migratorie sulla sicurezza alimentare in Paesi come il Kenya (gennaio), lo  Zimbabwe (aprile) la Tanzania (maggio), il Mozambico e di nuovo Tanzania e  Zimbabwe (giugno) e la Namibia e la Tanzania a luglio.

Per la Elliot è difficile pensare a programmi nazionali di eradicazione «perché gli uccelli non conoscono frontiere e le distruzioni sono molto localizzate, al livello di un Paese, le perdite arrivano a solo il 5% al massimo, ma questo non è un gran conforto per l'agricoltore che perde integralmente i suoi raccolti».

La tecnica più utilizzata per controllare i giganteschi stormi è quella di trattare a grande scale le zone infestate, «In generale polverizzando del Fenthion,un prodotto chimico conosciuto anche con il nome di Queletoxv - dice Elliot -nelle zone di riproduzione o nidificazione. Un'altra tecnica consiste nel mettere bombe incendiarie o della dinamite nei luoghi in cui gli uccelli sono particolarmente numerosi. In alcune regioni hanno anche tentato di bruciare i lidi con lancia-fiamme, ma questo si è rivelato poco efficace».

Secondo il Natural resources institute britannico  ogni anno nel solo Sudafrica vengono effettuate 170 operazioni di controllo che permettono di uccidere almeno 50 milioni di quelea, però l'Encyclopaedia of pest management sottolinea che «Malgrado la distruzione annuale di milioni di quelea con l'utilizzo di pesticidi, i danni continuano ad aumentare anno dopo anno».

Elliot pone un altro problema: «Oltre ad  avere solo un'efficacia marginale, i metodi moderni di controllo sono molto nefasti per l'ambiente. La maggior parte dei piccoli agricoltori, che non hanno né aerei, né combustibile, prodotti chimici, dinamite o lancia fiamme, fanno ricorso ai tradizionali metodi ancestrali che sono più efficaci e certamente più ecologici, ma che  necessitano di un tempo enorme. La principale tecnica tradizionale è quella di spaventare gli uccelli. La gente si reca nei campi quando le coltre sono vulnerabili ed utilizza tutto quel che ha a sua disposizione, dalle catapulte ai tamburi, passando per tutto quel che permette di far rumore. Questo metodo è assai efficace nella maggioranza dei casi. Una sola persona può proteggere un ettaro, ma questo rappresenta un lavoro considerevole perché le colture sono esposte dal mattino alla sera ed anno bisogno di essere sorvegliate per un mese intero».

Da qualche tempo si sta puntando al contenimento di questo flagello alato attraverso il contenimento della loro riproduzione utilizzando previsioni climatiche e meteorologiche, con forniture di migliori strumenti di dissuasioni e reti protettive, il rafforzamento delle popolazioni dei predatori naturali del quelea ed anche la creazione di virus che decimino i giganteschi stormi di questi uccelli.

Ma secondo Elliot la migliore soluzione sarebbe un'altra e probabilmente farà inorridire gli animalisti almeno quanto i cruenti metodi fino ad ora descritti: «Cacciare gli uccelli per sfruttarli come una qualsiasi altra risorsa naturale permetterebbe di prendere due piccioni con una fava. Stiamo tentando di elaborare delle strategie per intrappolare gli uccelli e farne un nuovo alimento per la popolazione, questo costituirebbe una fonte importante di proteine».

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