[14/10/2010] News

E' possibile vivere meglio con meno? Prove tecniche di un nuovo modello economico

LIVORNO. Cambiare il modello economico imperante è, almeno per greenreport che è un quotidiano per un'economia ecologica, ragione di nascita e quindi anche di vita. E proprio il nuovo modo di intendere l'economia è stato l'inizio dei lavori dell'ottavo Forum Internazionale Greenaccord per la Salvaguardia della Natura "People Building Future - Confini e Valori per un vivere sostenibile" in corso a Cuneo, dove sono intervenute due personalità di primissimo piano quali Robert Costanza (Nella foto), professore di Economia Ecologica all'università del Vermont e Friedrich Hinterberger, fondatore e presidente del Seri (Sustainable Europe Research Institute), che però a fronte di analisi sovrapponibili hanno due visioni diverse riguardo alle soluzioni.

«Dobbiamo chiederci a livello mondiale quale sia il significato dell'economia e a cosa essa debba servire», ha spiegato Costanza. «Avere di più è sempre meglio; la povertà è risolvibile solo con la crescita; l'economia può crescere all'infinito. Sono tre dogmi intoccabili - spiega sempre Costanza - dell'attuale modello di sviluppo. Ma dobbiamo abbandonarli se vogliamo costruire un nuovo paradigma economico».

Va superato dunque il mero concetto di crescita economica: «capitale umano, capitale sociale, capitale naturale. Sono tutti elementi indispensabili per determinare la qualità di vita di una popolazione. Vanno quindi considerati al pari della ricchezza materiale», ha proseguito Costanza. Ma come farlo? Serve un impegno importante delle istituzioni nazionali e mondiali per indirizzare il mercato verso scelte più sostenibili e virtuose: «Ad esempio, facendo riforme fiscali che spostino la tassazione dai beni ai danni alle risorse naturali, rimuovendo invece quei sussidi che non servono a tale obiettivo».

Friedrich Hinterberger punta invece il dito contro gli attuali sistemi di misurazione della ricchezza che, come dimostra la nota iniziativa di Sarkozy arrivata dopo anni di dibattiti, non è una novità ma che comunque vale sempre la pena di  mettere in evidenza: «L'indice Pil è ormai del tutto inadatto a rilevare le condizioni di vita nel mondo occidentale. Ci sono molti altri elementi da misurare. Alcuni oggettivi: infrastrutture, ricchezza, produttività, lavoro. E altri soggettivi, legati alla percezione del proprio livello di vita da parte dei cittadini. Solo considerando tutti questi fattori possiamo avere la fotografia reale del livello di benessere».

Tale esigenza, diffusa da decenni fra gli esponenti del mondo accademico, sta finalmente prendendo piede fra i politici. «Sia a livello internazionale, sia nazionale, la classe dirigente si sta rendendo conto che far crescere il Pil non assicura loro il consenso dei cittadini. Ecco perché stanno elaborando nuovi sistemi di misurazione. È un passo cruciale per edificare un modello di sviluppo finalmente auspicabile».

La maggiore attenzione della classe politica su tali temi è poi legata alla crescente consapevolezza di parte della popolazione occidentale che oltre alla ricchezza economica c'è altro. «Stiamo lavorando sempre di più per produrre sempre di più - dice sempre Hinterberger -. Ma questo aumenta il nostro livello di stress anziché sentirci appagati. Magari ci permette di consumare di più, ma ai consumi non corrisponde un aumento di felicità. Ed ecco che sempre più persone si domandano: come è possibile vivere meglio con meno? Se l'economia non sa rispondere a questi dilemmi, fallisce il proprio obiettivo». Hinterberger spiega poi che, come spesso anche noi abbiamo notato, «In un momento come questo avremmo potuto fare molto di più per l'ambiente, perché la rimessa in moto dell'economia per uscire dalla crisi era ed è una grande opportunità per una conversione "verde". Invece nella maggior parte dei nostri Paesi i governi non hanno colto questa opportunità: nei pacchetti di intervento a parte qualche piccola eccezione la chiamata a "un nuovo corso verde" è stata del tutto ignorata». Però ritiene che sia il singolo individuo che può fare la differenza ed è la quotidianità che dà il cambiamento effettivo. Una conclusione questa solo in parte condivisibile, nel senso che ben vangano le iniziative individuali buoni in sé e necessarie, ma che per non essere frustrate hanno bisogno di politiche economiche internazionali che almeno seguano questo nuovo orientamento. Come dimostra la crisi, è l'economia finanziaria fuori controllo che genera l'insostenibilità sociale e ambientale andando a minare l'economia reale e contro gli speculatori, per fare solo un esempio, non bastano i buoni comportamenti individuali.

Il dibattito è proseguito con altri interessanti interventi.

Andrea Masullo, professore di Sostenibilità ambientale all'università di Camerino, ha detto che «L'integrità della natura e degli stessi esseri umani sono sacrificate all'imperativo di produrre il più possibile, nel minor tempo possibile, sino a compromettere funzioni vitali come la regolazione del clima. Tale produzione spasmodica risponde a una cultura consumistica che associa la felicità non tanto alla soddisfazione dei bisogni ma piuttosto alla costante crescita della quantità e della intensità dei desideri».

«La crescita illimitata perseguita per troppi anni ci ha ormai condotto a un paradosso: non avere più limiti produce impoverimento», ha osserva invece Gary Gardner, direttore di ricerca al Worldwatch Institute. «Impoverimento materiale perché le risorse naturali sono agli sgoccioli. Impoverimento ecologico, perché produciamo un depauperamento della biodiversità. E impoverimento morale, che ci fa tollerare disuguaglianze intollerabili e non ci fa intervenire a favore di chi sta male: l'anno scorso abbiamo speso 17 miliardi di dollari in cibo per cani e appena due in più in lotta alla denutrizione».

Una valutazione condivisa anche da Eric Assadourian, direttore del Rapporto "State of the World" per il Worldwatch Institute, che ha previsto: «Stiamo facendo la fine degli abitanti dell'isola di Pasqua, che a forza di consumare risorse si sono estinti».

Naturalmente, dalla denuncia si passa ancora alle possibili soluzioni, che passano per una maggiore morigeratezza dei consumi, una più equa ripartizione delle risorse, un'adesione a stili di vita più compatibili con l'ecosistema. «Siamo a un punto di svolta - ha detto ancora Andrea Masullo -. Dobbiamo rifondare l'economia secondo il principio dell'equità distributiva dei beni della Terra, e secondo il principio di responsabilità verso le generazioni future, passando dall'opportunismo competitivo alla collaborazione e alla solidarietà».

Il nuovo approccio - ha proposto Assadourian - si può diffondere grazie a "pionieri culturali". Persone che, prima di altri, hanno compreso l'ineluttabilità di questo passaggio. «In questo senso, i giornalisti possono diventare una parte della soluzione se sapranno diffondere gli esempi virtuosi piuttosto che perdurare nella pubblicizzazione di modelli sbagliati. Devono cioè farsi portatori di nuovi modelli, che sappiano rispondere alle sfide del lungo periodo».

Propone invece un'alleanza tra i sostenitori della decrescita economica nel Nord del mondo e le organizzazioni per la giustizia ambientale dei Paesi in via di sviluppo Joan Martinez-Allier, economista dell'Universitat Autonoma de Barcelona: «I primi propongono un tipo di progresso che punti a vivere bene ma con meno. Sostengono programmi di co-housing, di riduzione dei rifiuti, di riciclo e riuso, di utilizzo delle energie alternative. I secondi, riuniti in rete, si battono contro gli abusi nello sfruttamento delle risorse e nello smaltimento dei rifiuti provocato dall'intervento dei Paesi ricchi nei loro territori. Un'alleanza tra questi due movimenti è logica e naturale. Un'alleanza che non deve basarsi sull'idea che la crescita economica debba fermarsi ovunque. Ma deve proporre una prospettiva comune contro l'egemonia dell'economico in favore di un pluralismo di valori».

Aggiungiamo infine che questo tipo di discussioni e confronto avvengano all'interno di un'iniziativa di un'associazione che non nasconde le sue radici cristiane è comunque il segnale di quanto ormai economia, ecologia e dottrina sociale della Chiesa si intreccino con la modernità della discussione su crescita e sviluppo, uscendo dal classico discorso cattolico dell'uomo custode del creato per gettare il cristiano nel mare aperto della discussione del futuro comune e intrecciato dell'uomo e del vivente.

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