[27/10/2010] News

La colonna vertebrale della natura è a rischio (e la salvano solo le aree protette)

LIVORNO Oggi alla decima Conferenza delle parti della Convention on biological diversity (Cop 10 Cbd), in corso a Nagoya, in Giappone, l'Iucn ha presentato lo studio più completo mai realizzato sui vertebrati di tutto il mondo che conferma la crisi dell'estinzione: «Un quinto delle specie sono minacciate. Tuttavia, la situazione sarebbe ancora peggiore se in tutto il mondo non fossero stati attuati sforzi per la salvaguardia».

Lo studio verrà pubblicato su Science e l'inchiesta sullo stato dei vertebrati del pianeta (mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci) e sulla sua evoluzione nel tempo si è basata sui dati relativi a 25.000 specie della Lista Rossa dell'Iucn delle specie minacciate. Secondo l'Iucn, «I risultati dimostrano che in media, ogni anno, 50 specie di mammiferi, di uccelli e di anfibi sono spinti un po' di più verso l'estinzione sotto l'effetto dell'espansione agricola, dello sfruttamento delle foreste, del supersfruttamento e delle specie esotiche invasive».

Uno degli autori dello studio è un notissimo biologo italiano, Luigi Boitani dell'università La Sapienza di Roma, e a Nagoya ha spiegato che «La conservazione della biodiversità è una sfida immensa che necessita di una solida base di dati scientifici e di un quadro teorico. Il partenariato per la Lista Rossa del quale la nostra università è membro è un'associazione unica tra i centri di eccellenza che condividono la responsabilità di far progredire la valutazione scientifica della biodiversità e di tenere aggiornate le informazioni sulle tendenze dello stato della biodiversità. Abbiamo la responsabilità di valutare più specie,  una responsabilità che non possiamo più rinviare a più tardi».

Lo studio sottolinea che il numero delle specie di vertebrati minacciate di estinzione va dal 13% per gli uccelli al 41% per gli anfibi. Il rapporto si concentra sui vertebrati ma menziona anche le minacce che pesano su diversi gruppi inseriti nella Lista Rossa, in particolare il 14% della vegetazione marina, il 32% dei crostacei di acqua dolce ed il 33% dei coralli delle barriere coralline. Per piante come le cycadales, il livello di minaccia è critico: il 63% sono minacciate di estinzione. Si tratta del più antico gruppo di piante con semi vivente e che è sottoposto a livelli di prelievo e commercio illegali elevatissimi e potrebbero presto subire la sorte dei dinosauri.

A spiegare cosa sta succedendo e il pericolo che corriamo è il famoso ecologista e scrittore statunitense Edward O. Wilson, dell'università di 'Harvard, «La colonna vertebrale della biodiversità è in via di erosione. Un piccolo passo sulla scala della Lista Rossa è un passo da gigante verso l'estinzione. Questa non è che una panoramica delle perdite in corso a livello mondiale»

L'area del mondo messa greggio è l'Asia meridionale che ha conosciuto recentemente le più gravi perdite di biodiversità «Causate essenzialmente dall'impianto di colture da esportazione come le palme da olio  dalle operazioni commerciali di sfruttamento delle foreste di latifoglie, dalla trasformazione delle terre in risaie e da una caccia non sostenibile». Non  va meglio in alcune regioni dell'America centrale, nelle Ande tropicali in Sudamerica e in Australia dove ci sono state perdite altrettanto gravi tra gli anfibi, dovute in particolare al chytridiomycète, un fungo mortale per rane e rospi.

Lo studio conferma alcuni rapporti precedenti che evidenziavano perdite costanti di biodiversità ma l'Iucn sottolinea che «E' il primo a presentare delle prove indiscutibili degli effetti positivi degli sforzi di conservazione in tutto il mondo. I risultati dimostrano che se non fossero state prese misure di salvaguardia, la biodiversità avrebbe subito un declino supplementare di circa il 20%».

Infatti, un altro autore dello studio, il presidente della Species survival commission dell'Iucn,  Simon Stuart, è  moderatamente ottimista: «La storia dimostra che la salvaguardia può fare l'impossibile, come ben sanno coloro che conoscono il caso del rinoceronte bianco dell'Africa del sud. Ma per la prima volta possiamo dimostrare gli effetti congiunti e positivi di questi successi sullo stato dell'ambiente».

Lo studio mette in evidenza che per 64 mammiferi, uccelli e anfibi lo stato di conservazione è migliorato grazie a delle iniziative di salvaguardia che hanno avuto successo: «Questo gruppo comprende tre specie che erano estinte allo stato selvatico e che sono state reintrodotte in natura: il condor della California, (Gymnogyps californianus) e il furetto dai piedi neri (Mustela nigripes), negli Stati Uniti, e il cavallo di Przewalski (Equus feru), in Mongolia. Gli sforzi conservazionistici sono stati particolarmente efficaci nella lotta contro le specie esotiche invasive sulle isole. La popolazione mondiale di merlo-gazza delle Seychelles (Copsychus sechellarum - shama) è passata da meno di 15 uccelli nel 1965 a 180 nel 2006 grazie alle misure di lotta contro i predatori introdotti, come il surmolotto Rattus norvegicus, e a dei programmi di allevamento in cattività e di reintroduzione. A Mauritius, lo status di 6 specie di uccelli è migliorato, soprattutto quello del gheppio di Mauritius (Falco punctatus), la cui popolazione è passata da 4 uccelli nel 1974 a circa 1.000».

Anche nell'America del Sud le aree protette e l'azione congiunta della Convention on international trade in endangered species (Cites) e della Vicuña Convention hanno permesso la ricostituzione di popolazioni di vigogna (Vicugna vicugna). Nel mondo la moratoria e le leggi che proibiscono la caccia commerciale delle belane hanno permesso di far passare la Megattera (Megaptera novaeangliae) dalla categoria "vulnerabile" della Lista Rossa a quella a "preoccupazione minore".

Ci sono invece molti problemi per gli anfibi: pochissime specie hanno mostrato fino ad ora segni di ripresa, ma quest'anno si sono rafforzate le campagne internazionali per salvarli, come il programma di reintroduzione in natura del crapaud Nectophrynoides asperginis in Tanzania.

Gli autori dello studio avvertono che «Rappresenta solo una stima minima degli effetti reali delle misure di conservazione. Le popolazioni di circa il 9% delle specie minacciate sono aumentate. I risultati provano che con le risorse e l'impegno richiesto, la conservazione è efficace. Dimostrano anche che le misure prese a livello mondiale dovranno essere considerevolmente rafforzate perché attualmente sono largamente compensate dalla vastità delle minacce. In questo contesto, i decisori che partecipano alla riunione della Cbd a Nagoya hanno chiesto un aumento molto sostanzioso delle risorse, in rapporto ai livelli attuali che sono estremamente bassi, perché gli obiettivi della Convenzione siano realizzati».

Speriamo che tra questi ci sia anche l'Italia che si presenta a Nagoya con 100 milioni di euro per il Redd+ per le foreste tropicali e con un taglio della metà dei già miseri finanziamenti ai suoi parchi nazionali.

Lo studio The Economics of Ecosystems and Biodiversity (Teeb) ha valutato il costo della perdita di natura in  2,5 migliaia di miliardi di dollari all'anno, soprattutto nelle regioni più povere del mondo. Un altro studio recente ha rivelato che un quinto delle oltre 5.000 specie d'acqua dolce dell'Africa è minacciato di estinzione e che questo mette in pericolo i mezzi di sussistenza di milioni di persone che dipendono da queste risorse vitali e dai loro servizi ecosistemici. Commentando il rapporto la direttrice generale dell'Iucn, Julia Marton-Lefèvre, ha sottolineato che «Questo dimostra, evidentemente, che dobbiamo assolutamente partire da Nagoya con un Piano d'azione strategico per guidare i nostri sforzi a favore della biodiversità nel decennio a venire. E' una chiamata di allarme per tutti noi, governi, imprese, cittadini, a mobilitare le risorse per le azioni necessarie. La salvaguardia paga, ma ha bisogno del nostro sostegno e velocemente!»

E lo studio presentato a Nagoya conclude: «Non essere riusciti a rispettare l'obiettivo del 2010 di riduzione della perdita di biodiversità, che era stato adottato a livello internazionale, non significa che gli sforzi di conservazione siano stati attuati invano. Tuttavia, l'erosione della biodiversità ha raggiunto dei livelli così pericolosi che non possiamo permetterci un altro fallimento. Occorrono degli obiettivi ambiziosi per il 2020 e, per rispettarli, bisogna agire urgentissimamente e in maniera concertata su una scala considerevolmente allargata. E' tempo che i governi di questo mondo, riuniti a Nagoya, rilevino efficacemente questa sfida di dimensione mondiale».

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