[27/10/2010] News

Nestlé e Schwabe brevettano la biopirateria

LIVORNO. La Lipu chiede all'Ue di porre fine al blocco del trattato contro la bio-pirateria, «Il cosiddetto Protocollo su Access and Benefit Sharing (Abs) renderebbe finalmente possibile per i Paesi in via di sviluppo trarre benefici dai profitti che le industrie realizzano su microorganismi, animali e piante, che vivono nei propri Paesi. Sino ad ora, il settore farmaceutico in particolare, sta sfruttando queste risorse senza il loro consenso e partecipazione».

La biopirateria è l'appropriazione illegittima delle risorse genetiche o delle conoscenze tradizionali che le riguardano e prende due forme diverse. La prima si caratterizza per un comportamento contrario ai principi dalla Convention on biological diversity (Cbd) attualmente riunita a Nagoya per la sua Cop 10. La Cbd affida ad ogni Stato il controllo delle sue risorse genetiche e chiede un'equa condivisione dei vantaggi che derivano dal loro sfruttamento o dalle conoscenze tradizionali. Per questo, chi vuole accedere ad una reisorsa genetica deve prima ottenere il consenso (Prior Informed Consent) della parte "proprietaria". I vantaggi provenienti dallo sfruttamento delle risorse e delle conoscenze tradizionali devono essere condivisi in modo giusto ed equo tra le parti. Se queste regole vengono violate si parla di biopirateria.

L'altra forma di biopirateria riguarda i diritti di proprietà intellettuale. Numerose Ong indicano come biopirateria il deposito di un brevetto su una pianta (o un'animale) o su un'applicazione delle conoscenze tradizionali, senza che si abbia una qualche innovazione o attività inventiva. Secondo molte associazioni il sistema dei brevetti non dispone di misure di controllo sufficienti per poter rifiutare i brevetti illegali che gli vengono sottoposti. Una cosa conferma di tutto questo arriva dall'annullamento di diversi brevetti dopo che le Ong ricorrono alla giustizia contro multinazionali e imprese accusate di biopirateria e questo nonostante che iol caricvo delle prove ricada sulle parti lese, ciè su chi subisce questa vera e propria rapina, spesso piccole e povere comunità autoctone che non hanno i mezzi finanziario e giuridici per opporsi e per chiedere l'avvio di una procedura di riesame dei brevetti.

Alla Cop 10 Cbd di Nagoya una coalizione di Ong svizzere per lo sviluppo, la Déclaration de Berne, che si occupa proprio di tutelare i diritti dei popoli del sud del mondo contro la biopirateria industriale delle risorse genetiche has presentato due esempi recenti che coinvolgono note multinazionali

Nestlé e il rooibos. Il rooibos (Aspalathus linearis) è un cespuglio endemico del bushs sudafricano, le sue virtù alimentari e medicinali sono note, profuma di thé ed ha proprietà anti-invecchiamento. Il rooibos si può trovare anche in Europa in molti negozi biologici. «Nel 2008 - spiega Déclaration de Berne - un esportatore sudafricano ha venduto del tutto legalmente del rooibos alla Nestlé. La multinazionale ha proceduto a delle analisi genetiche in laboratori francesi e svizzeri che le hanno permesso di isolare dei geni interessanti. Nel gennaio 2010, Nestec, una filiale di Nestlé, ha depositato 5 brevetti, 4 per trattare alcune affezioni dermatologiche e capillari, una per la prevenzione di problemi infiammatori».

Eppure il Sudafrica è uno dei pochi Paesi del sud del mondo ad avere una propria legislazione Abs. Per l'Ong svizzera da questa vicenda si devono trarre delle lezioni : «E' evidente che l'amministrazione di quel Paese non è stata avvisata né della vendita, di rooibos alla Nestlé, né dei depositi dei brevetti, il che contravviene alla legge locale. Per sua difesa, Nestlé sostiene che era ben lontana dall'imaginare una commercializzazione del prodotto tratto da questi brevetti e che si tratta solo di un primo passo della ricerca. Ne prendiamo atto. Ma la multinazionale a poi preso contatto con il governo di Pretoria per arrivare ad un accordo. Quindi un ritorno tardivo alla legalità».

Schwabe e i pelargonium. E' ancora una volta una storia sudafricana che riguarda due specie di pelargonium (piante di una famiglia vicina ai gerani) Pélargonium sidoides e Pélargonium reniforme. «Queste due piante selvatiche endemiche della regione di Eastern Cape e del Lesotho sono costituite da enormi radici dalle quali si estrae un espettorante - spiega Déclaration de Berne - Gli abitanti molto poveri della regione se ne servono da sempre per curare le bronchiti. Dal 1987, la società farmaceutica tedesca Schwabe acquista delle radici dalla comunità rurale di Alice per produrre gocce e sciroppi. La commercializzazione viene fatta alla luce del sole (con un solido beneficio per il marchio) e anche la presenza della pianta naturale africana in Germania è diventata occasione di vendita».

Nel 2008 però cambia tutto : la Schwabe decide di depositare dei brevetti sui metodi di estrazione ed anche su altre proprietà delle piante, come quelle immunostimolanti che servirebbero a curare l'Aids. A Nagoya Mariam Mayet del Centre africain pour la biosécurité ha denunciato : «Ora, il brevetto fa della Schwabe la scopritrice delle virtù della pianta e il solo utilizzatore dei metodi di estrazione. Ha negato alla comunità le loro conoscenze ancestrali che hanno determinato che in decotto la radice del pelargonium era buona per curarsi».

Grazie alle pressioni delle Ong nell'aprile 2010, lìUfficio europeo dei brevetti ha revocato questo brevetto per «difetto di inventiva» e Déclaration de Berne sottolinea che «E' la prima volta degli africani vincono in una tale procedura. Per inciso, la decisione mette fione al monopolio della Schwabe sull'utilizzo dei pelargoniums. Attualmente sono in corso negoziati per creare una nuova relazione commerciale che soddisfi la legge sudafricana sull'accesso alle risorse». Una cosa è certa : senza la sorveglianza della Déclaration de Berne, i brevetti di Schwabe e Nestlé non sarebbero mai stati messi in discussione.

E' molto difficile provare il furto di una conoscenza tradizionale o di una risorsa biologica ed anche determinare quale sia il compenso dovuto alle comunità autoctone ed agli Stati che hanno subito questa rapina di un bene che fino ad allora era « gratuito » e spesso comunitario. «Le sociétà dei brevetti guardano infatti prioritariamente la novità di un prodotto o di un metodo - spiega l'associazione elvetica - e non il rispetto delle regole della Convention on biological diversity che pure hanno 17 annni. Infatti la biopirateria è un fenomeno largamente esteso. Quel che è più raro è poterla denunciare».

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