[29/10/2010] News

Gli avvoltoi immobiliari dello tsunami e delle catastrofi, le lumache della ricostruzione

LIVORNO. Mentre in Indonesia si contano e si cercano ancora le vittime dello tsunami e dell'eruzione del vulcano Merapi, l'agenzia stampa umanitaria dell'Onu, Irin, mette in guardia contro un fenomeno ributtante che si innesca ormai dopo ogni grande catastrofe naturale. Non c'è solo la cricca italiana che brinda dopo il terremoto dell'Aquila, questo tipo di avvoltoi volteggia in tutto il mondo e fa il nido nelle grandi immobiliari e nelle imprese di costruzione più spregiudicate. «In Indonesia e Thailandia - spiega Irin - I promotori immobiliari non hanno perso tempo dopo lo tsunami del 2004, arraffando i terreni a coloro che erano stati trasferiti nei campi profughi per costruire sul posto delle residenze di lusso, riducendo ancor di più i mezzi di sussistenza dei poveri».

Simili accaparramenti di terreni si sono verificati anche nel ricco occidente, dopo l'uragano Katrina a New Orléans, o dopo il terribile terremoto di Haiti che sta stillando oggi il veleno del colera. Secondo un rapporto sulle catastrofi nel mondo del 2010 di Croce Rossa/Mezzaluna Rossa (Ifcr), gli avvoltoi immobiliari si sono posati anche sulle Filippine dopo le inondazioni e le frane che hanno colpito Manila ed altre città.

David Satterthwaite, dell' International Institute for Environment and Development (Iied) «questo accaparramento può produrre delle violenze dirette o delle misure legislative accuratamente orchestrate, come dopo Katrina». Infatti a New Orleans dopo il disastro è stata approvata una legge sulla pianificazione e la gestione urbana che modifica i modelli di proprietà nella città statunitense, organizzando così quello che su Irin Sara Pantuliano, a capo delle politiche umanitarie del britannico Overseas development institute (Odi), descrive come «Uno degli esempi più flagranti di catastrofe che ha accentuato l'ineguaglianza tra gli abitanti della città».

«Gli sfollati non dispongono ancora dei diritti di proprietà; non hanno perfino carta d'identità e documenti per provare loro diritti sulle terre, il che rende il compito difficile alle associazioni di aiuto all'alloggiamento e alle Ong che vogliono aiutarli», sottolinea il rapporto Ifcr e l'Asian coalition for housing rights conferma che «Se l'aiuto alle vittime delle catastrofi non impara rapidamente a lavorare con tutti coloro che non hanno titoli (di proprietà, ndr), con chi non è registrato, chi non ha documenti, questo può essere un modo per sostenere ed anche accentuare le ineguaglianze che esistevano prima della catastrofe».

Secondo l'Ifcr, nei Paesi a medio e basso reddito, milioni di cittadini devono sopportare livelli di rischio inaccettabili, che si stanno ampliando con la rapida urbanizzazione, la mediocre governance locale, la carenza di servizi, la rapida crescita demografica e l'aumento della violenza urbana.

La Pantuliano ammette: «Lo so, ribaltare l'equilibrio di potere a favore delle persone vulnerabili è un compito difficile, ma è una causa che le Ong dovrebbero sostenere con più convinzione. Troppo spesso, ci concentriamo sulla qualità del riparo che possiamo offrire, ma facciamo molto male a non uscire su questioni più delicate, come ribaltare l'equilibrio di potere nei casi di urgenza e come non esacerbare la vulnerabilità dei più sfortunati».

Un gruppo di ricercatori dell'Odi sta studiando gli impatti dello sfollamento forzato e dell'urbanizzazione in Sudan, Kenya, Afghanistan, Siria, Yémen, Striscia di Gaza, Somalia e probabilmente in Iraq e la Putiliano sottolinea che «Spesso i governi non tengono abbastanza conto delle implicazioni sociale dello spostamento forzato delle popolazioni. Un insediamento pianificato può isolare le comunità , può provocare tra la gente depressioni, un sentimento di isolamento e una più grande vulnerabilità... incitando i giovani a riunirsi in gang o a darsi alla prostituzione. Possono anche perdere il loro lavoro: a Manila, capitale delle filippine, delle comunità sfollate sono state allontanate dal centro della città, il che ha significato per migliaia di persone che l'accesso ai loro lavori in numerose imprese e negozi del centro è diventato  difficile».

Alfredo Stein, un esperto di pianificazione urbana del Global urban research centre dell'università di Manchester, fa l'esempio di Haiti, ma sembra di sentir parlare de L'Aquila: «I piani di ricostruzione per avviare le comunità verso "nuove città più sicure", ha provocato lo spostamento delle persone in campi lontani, fuori dalla capitale Port-au-Prince, dove loro non volevano abitare. Gli abitanti tentano senza sosta di ritornare nel centro per recuperare il loro territorio».

Per Satterthwaite «Le autorità locali spesso non riescono a rispondere rapidamente alle sfide del reinserimento a causa della rigidità dei regolamenti sulla proprietà delle terre, della mancanza di denaro per finanziae la rilocalizzazione, del tempo necessario per ottenere il permesso ufficiale delle autorità regionali o nazionali e del costo elevato dei materiali di costruzione. Dopo una catastrofe, può darsi che il governo nazionale decida di migliorare le norme di costruzione, come è stato il caso del Pakistan dopo il sisma del 2005, il che aumenta ancora il tempo per la ricostruzione». Spesso le meglio attrezzate per aiutare le comunità colpite sono le Ong locali.

Anche la Pantuliano dice che «In effetti le Ong internazionali non sanno sempre molto bene che ruolo svolgere nei re-insediamenti. Tuttavia, le agenzie internazionali possono anche loro giocare un ruolo importante. Non proponiamo che le Ong si implichino in riforme fondiarie, ma devono intervenire nei settori che rientrano chiaramente nel quadro del loro mandato di protezione, come documentare i diritti di proprietà o fare da patrocinanti per l'accesso a terreni provvisori o permanenti. Questo lavoro può includere la realizzazione di operazioni catastali, di attività di ricerca e di patrocinio e un'offerta di aiuto giuridico alle persone vulnerabili per evitare l'accaparramento delle terre. Pensiamo di farne un élemento più centrale del ruolo degli organismi umanitari ...le Ong nel post-tsunami si sono rese conto troppo tardi di questi problemi, malgrado le sollecitazioni delle associazioni locali le spingessero a mobilitarsi in questo senso.

Per Cassidy Johnson, un esperto di costruzioni e urbanizzazione nei Paesi in via di sviluppo dell'University College di Londra, individua due fattori in grado di aiutare gli sfollati a far riconoscere i loro diritti di proprietà: «La presenza di gruppi di azione comunitaria ben insediati, come le associazioni di abitanti delle bidonvilles, che ricostruiscono collettivamente e che hanno dei solidi legami con i governi locali permettano loro di difendere i loro diritti, e l'esistenza di progetti di risparmio collettivo degli abitanti, che assicuri loro dei fondi per ricostruire».

Un esempio viene dalle Filippine, dove la Homeless peoples federation ha aiutato diverse comunità a reinstallarsi dopo 5 catastrofi tra il 2000 e il 2008: i suoi 70.000 membri hanno risparmiato in maniera collettiva per ricostruire e si sono rapidamente organizzati in comitati di ricostruzione. Altre comunità sono state assistite dalla Croce Rossa/Mezzaluna Rossa e Pete Garatt, direttore della risposta alle catastrofi della Croce Rossa britannica, spiega che per i diritti fondiari «Il lavoro più efficace è fatto dai gruppi locali, lo abbiamo constatato nella Repubblica democratica del Congo, in Burundi e a Khartoum, perché le comunità pretendono subito attenzione a questi problemi». Ma qualche volta le comunità locali devono essere incoraggiate a prendere in mano i loro interessi che altri cercano di gestire e le terre delle quali si stanno appropriando la speculazione immobiliare. La Pantuliano racconta che «Dopo il terremoto del Gujarat nel 2001, le comunità sono riuscite a ri-occupare i loro vecchi terreni perchè si sono messe a ricostruire da sole degli alloggi permanenti, invece che aspettare le decisioni del governo. Non hanno lasciato al governo altra scelta che autorizzarli a rimanere sul posto».

E il rapporto Ifcr sottolinea: «Il concetto di andare avanti, l'idea di "ricostruire meglio" che è diventato il linguaggio standard dei governi dopo le emergenze , deve essere ridefinita. Piuttosto che limitarsi puramente a migliorare la qualità delle infrastrutture, bisognerebbe includere l'idea delle "terre per i senza terra e delle abitazioni per i senza riparo». La Pantuliano conclude: «Il "ricostruire in meglio" deve anche sottolineare che il re-insediamento, se deve aver luogo, deve essere fatto in luoghi adeguati».

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