[05/11/2010] News

Affrontiamo con serietà i negoziati sul clima

Ho passato l'intero mese di agosto a Mosca. Coloro che si sono trovati nella capitale russa in quel periodo non dimenticheranno mai la quantità di fumo presente anche nelle regioni limitrofe e proveniente dagli incendi che hanno soffocato la città per settimane.
Mosca sembrava immersa in una realtà alternativa. Persone, piante, animali - tutto portava l'impronta della sofferenza, della frustrazione e della paura.

Fino a poco tempo fa, molte persone in Russia, inclusi i membri dell'elite politica, parlavano in termini scettici del riscaldamento globale, con sdegno verso i dati scientifici. Oggi il loro numero si è ridotto.

Certamente di anomalie climatiche se ne sono verificate diverse quest'anno. Colate di fango in Cina, siccità senza precedenti in Australia, inondazioni in Pakistan e in Europa Centrale; la lista va avanti. Il 2010 potrebbe essere l'anno più caldo che si sia mai registrato. La notizia di un enorme pezzo di ghiaccio, grande due volte le dimensioni di Parigi, che si sta staccando da un ghiacciaio in Groenlandia è giunta in Agosto come simbolo minaccioso del riscaldamento globale.

Ancora, paradossalmente, nonostante il crescente e chiaro pericolo rappresentato dal cambiamento climatico, il ritmo delle negoziazioni e delle azioni per contrastarlo ha subito un rallentamento. La società, nel frattempo, è delusa dall'incapacità dei governi di affrontare il problema in maniera efficace. Ciò potrebbe avvicinarci pericolosamente al disimpegno pubblico e all'apatia.

Che cos'è accaduto? Perché tutte queste ricadute nell'anno che ha seguito la tanto attesa Conferenza sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite a Copenaghen?

Le ragioni risiedono nel fallimento della leadership politica e nella mancanza di volontà di coloro che si sono piegati ai poteri forti, così come nell'incapacità dei governi di raggiungere dei compromessi tra gli interessi spesso divergenti degli attori politici ed economici.

La conferenza di Copenaghen non è stata all'altezza delle aspettative. La considerevole divisione tra nazioni sviluppate e nazioni in via di sviluppo ha ostacolato il principale e ambizioso obiettivo di un accordo climatico globale.

Invece di analizzare le ragioni che sono alla radice di questo fallimento in tutta la loro complessità e incoraggiare la ricerca di soluzioni realistiche e costruttive, i media si sono affrettati a definire la conferenza un completo fallimento.

Il "Climategate", uno scandalo ben architettato che ha riportato fuori contesto le citazioni prese da e-mail di scienziati del clima e una campagna per screditare il Pannel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici hanno a loro volta contribuito a fuorviare l'opinione pubblica.

Le lobby aziendali che organizzano campagne negazioniste del cambiamento climatico sono generosamente finanziate mentre la spesa che supporta queste azioni è di sette a uno. Tra i risultati, l'Agenzia Internazionale per l'Energia stima che 500 miliardi di dollari all'anno di finanziamenti vanno al settore fossile dell'industria energetica. In verità, il Gruppo economico dei 20 ha annunciato recentemente l'eliminazione graduale di questi finanziamenti - ma "a medio termine."

Tutti sembrano comprendere che il problema del clima non può essere ignorato. Le negoziazioni su come combattere il cambiamento climatico continuano. Dopo l'ultimo ciclo di incontri in Cina, il processo delle Nazioni Unite proseguirà a Cancan, in Messico, tra poche settimane. Tuttavia, i partecipanti sembrano più preoccupati  per il calo delle aspettative sul raggiungimento di risultati tangibili. Politici ed esperti si sono fermati alle questioni tecniche e si vocifera che vogliano accontentarsi di un minimo denominatore comune o anche di riformattare il processo, con la speranza che la comunità finanziaria possa saltar fuori con qualche soluzione tecnocratica al cambiamento climatico.

Questa non è la strada per andare avanti. Sebbene il business - con la sua capacità di adattare le nuove tecnologie traendone profitto - potrebbe di certo giocare un ruolo cardine nella transizione a un'economia low carbon, sarebbe ingenuo aspettarsi che si metta alla guida del processo stesso.

La comunità finanziaria cercherà sempre il proprio interesse e i profitti a breve termine. Quanto alla teoria secondo la quale il "libero mercato" risolverà ogni problema, pochi la ritengono convincente dopo che i suoi sostenitori hanno portato l'economia mondiale sull'orlo del disastro.

Allo stesso modo sono inaccettabili le teorie secondo cui la lotta al caos climatico andrebbe lasciata soprattutto alle nazioni più "avanzate". Questo non solo contravverrebbe al ruolo delle Nazioni Unite, ma rischierebbe di ingrandire il gap tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo.

Chiaramente, nel momento in cui la Cina accresce il proprio potere economico deve farsi carico di una responsabilità maggiore verso l'ambiente. Dobbiamo persuaderli che è nel loro interesse farlo. Per di più, abbiamo bisogno di un forte e significativo sforzo nel creare incentivi affinchè adottino tecnologie energicamente efficienti e alimentate con energia di fonte alternativa, così come nell'incoraggiare coloro che sono pronti a trasferire tali tecnologie ai paesi emergenti. Gli accordi su tutti questi temi possono essere raggiunti solo con fatica, nel contesto di un processo multilaterale sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Cancun offre un'altra possibilità di rinvigorire il processo.

Nonostante il fatto che il 2010 è stato per lo più un anno deludente per coloro che chiedono un'azione urgente per salvare il nostro pianeta, non possiamo lasciarci andare a ipotesi di fallimento o pessimismo. C'è un numero sufficiente di persone all'interno della società civile che non si arrende con disfattismo e che è pronta ad agire per fare in modo che i governi ci ascoltino. L'istinto globale di auto-conservazione deve spingere i leader mondiali a riprendere seriamente le negoziazioni con obiettivi ambiziosi.

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