[08/11/2010] News

L'impatto zero della "green economy" è un'utopia che non deve trarre in inganno

LIVORNO. Quante lezioni di economia (ecologica) arrivano dal caso "terre rare"! La battaglia che si è accesa attorno all'approvvigionamento di questi metalli - di cui greenreport ha già dato più volte conto - è paradigmatico di molte cose, a partire dalla complessità intesa come approccio necessario quando si affrontano le questioni cosiddette "ambientali" e che chiude (o almeno dovrebbe), ogni giaculatoria relativa a quando doversi occupare dell'ambiente stesso, dopo la crisi secondo i più, unitamente ad essa, secondo gli altri noi compresi.

Non c'è dubbio, infatti, che anche attraverso queste "terre rare" passi l'economia (ecologica), in quanto vitali per la realizzazioni di energie alternative a partire dai pannelli fotovoltaici ma non solo. Il punto però è che la loro estrazione è causa di inquinamenti ambientali non da poco se è vero, ed è difficile dubitarne vista la fonte, che gli Usa fino al 2003 li producevano, ma che fu "l'amministrazione Bush" che "ne decretò la fine della produzione perché inquinavano", come ha rilevato il premio Nobel Paul Krugman in un'intervista pubblicata da Affari & Finanza il primo novembre. Ma lo stesso Krugman ha aggiunto che questo problema "i cinesi non se lo pongono", cosa che però non risulta così vera.

Almeno stando al Sole24Ore di sabato che riporta, assieme all'appello degli industriali al G-20 proprio sul libero accesso alle "terre rare", le affermazioni di ministro cinese del Commercio, Chen Deming, secondo il quale a frenare la produzione negli ultimi anni - ricordiamo che oltre il 90% di questi metalli viene prodotto proprio in Cina "sono state esclusivamente preoccupazioni di ordine ambientale". Che poi questo fatto sia stato utilizzato in modo strumentale anche per far aumentare il loro valore, non cambia la sostanza: per far funzionare la green economy, o meglio la green energy, il rischio di contemporaneamente inquinare è alto, se non altissimo. Pensate al rapporto di Bush con l'ecologia e che razza di situazione negli Usa ci deve essere stata, a livello di inquinamento, se ne ha lui stesso decretato la fine della produzione.

Questo cosa ci insegna? Che la green economy non esiste (vedi altro articolo, link a fondo pagina)? Che è meglio lasciar perdere? Niente affatto, ci conferma una legge a noi, senza falsa modestia, già nota: l'impatto zero non esiste. Bisogna dunque ridurlo al minimo. E in questo senso, lo abbiamo già detto ma lo confermiamo, la comunicazione della Commissione Ue sull'approvvigionamento delle materie prime - prevista per fine anno - ha un'importanza capitale.

Sul Sole24Ore di oggi ancora una volta si spiega che «garantire condizioni di parità tra gli operatori per l'accesso alle risorse primarie provenienti da fonti situate sul territorio dell'Unione, a promuovere l'accesso sostenibile e a ridurre il consumo di materie prime primarie, stimolando un impiego efficiente delle risorse e promuovendone il riciclo».

E dopo la prima apertura della Russia a inserire le materie prime tra i 14 tavoli di dialogo del partenariato con la Ue, Bruxelles cerca anche un'altra sponda. «Nel piano d'azione Africa-Ue che verrà firmato a Tripoli prima della fine dell'anno - sottolinea Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione con delega all'Industria - un capitolo verrà dedicato alle materie prime: ci sarà una valutazione del fabbisogno europeo e delle potenzialità africane e si porranno le basi per accordi tecnici e collaborazioni sulle reti di infrastrutture vicine ai giacimenti».

Energia e materia, quindi cuore, polmoni, stomaco e intestino dell'economia (ecologica) nei confronti della quale, ripartiamo dall'inizio per concludere, un approccio non complesso porta ad errori e complicazioni ulteriori dentro una materia che a questi si presta, in quanto ancora poco studiata, e ancor meno agita. Il percorso della Commissione Ue vedremo a quali risultati porterà, ma ha l'approccio giusto.

Ultimo esempio contrario, invece, arriva ancora dalla cronaca politica italiana con la notizia che la tanto decantata - e da un po' dimenticata - Robin Tax del ministro Tremonti, che avrebbe dovuto «colpire gli extra-profitti delle aziende attive nei settori petroliferi e gas» al contrario (dice sempre il Sole24Ore), «ha finito per coinvolgere anche le aziende operanti nel settore delle fonti rinnovabili».

«Sono infatti soggette all'applicazione dell'addizionale Ires - prosegue l'articolo - le imprese che producono energia elettrica da fonti idroelettriche, geotermiche e da rifiuti (escluse le bio-masse). Inoltre, sono comunque soggette alla Robin Tax le aziende che commercializzano, senza produrle, energie rinnovabili di qualsiasi tipo, se superano il limite minimo della soglia dei ricavi di 25 milioni di euro». Aggiungere altro appare superfluo.

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