[31/08/2009] News

Green economy: istruzioni per l'uso

LIVORNO. Ha ragione David J. Rothkopf, blogger di Foreign policy, presidente e ad della Garten Rothkopf, società di consulenza di Washington specializzata in rischi globali, quando dice che la green economy non è la valle dell'Eden. Anche se con un'altra metafora - nessun pasto è gratis - qualcuno, greenreport compreso, lo aveva già assolutamente imposto nell'analisi del cambio di paradigma economico necessario, ma appunto non per questo indolore, per uscire dalla crisi economica-ecologica-sociale in corso. Specialmente se questo passaggio - strettissimo - non lo si fa attraverso una governance globale riconosciuta e rispettata capace di mediare e tenere insieme la sostenibilità ambientale con quella sociale ovvero disegni un nuovo paradigma economico e economico-finanziario.

La green economy su scala globale, infatti, significa certamente geopolitica - come dice Rothkopf - e ad ogni azione c'è reazione da calcolare e da valutare. Il battito d'ali della farfalla vale anche in economia ed è chiaro che passare da un mondo dove tutto o quasi ruota attorno al petrolio a uno dove progressivamente questo scompare rischia di innescare - o meglio innescherà e ha già innescato - guerre sanguinose con scenari apocalittici se lasciate al mercato sic et simpliciter. A partire dal gas...

Nell'articolo pubblicato dal Sole24Ore ieri, Rothkopf dice giustamente: «Il passaggio alle automobili elettriche, ad esempio, potrebbe scatenare una competizione per il litio (questione sollevata da tempo anche da greenport), un'altra risorsa naturale disponibile in quantità limitata e concentrata in alcune zone. Le quantità d'acqua necessarie per produrre certi tipi di energia alternativa potrebbero prosciugare alcune regioni, facendo crescere le possibilità di conflitti per il controllo delle risorse naturali. E con il crescere nel mondo del numero di centrali nucleari a emissioni zero, cresce anche il rischio che i terroristi possano mettere le mani su materiali atomici pericolosi, o che gli stati scelgano di lanciare programmi nucleari militari».

Non solo: «Le pluridecennali guerre per il petrolio potrebbero giungere a termine quando l'oro nero pronuncerà il suo lungo, lungo addio, ma ci aspettano conflitti, controversie e sorprese sgradite di diverso genere (compresa, forse, un'ultima ondata di guerre per il petrolio, mano a mano che alcune delle petrocrazie più fragili imboccheranno la via del declino). Se mai, provando a guardare in prospettiva, la sensazione è che l'instabilità prodotta da questa indispensabile transizione energetica su larga scala ci costringerà a fare i conti con forme di conflitto nuove».

Per questo aggiunge: «Abbandonare i vecchi e inquinanti combustibili fossili è la sola strada per contenere alcune delle minacce più importanti per la sicurezza a livello planetario, ma dobbiamo muoverci con cautela e non lasciarci trascinare dall'ottimismo. Riconoscendo il fatto che un mondo più verde non vorrà dire la fine dei problemi geopolitici, e preparandoci di conseguenza, possiamo trovare una strada per disinnescare le minacce odierne e contemporaneamente evitare, in gran parte, gli inconvenienti non voluti di un'innovazione di cui c'è una disperata necessità».

Senza voler fare i saputelli, perché non lo siamo e perché non ha senso, è chiaro che la nostra opposizione al nucleare nasce proprio per le motivazioni (non le sole peraltro) che Rothkopf sostiene essere mine sulla strada della green economy: «l'energia nucleare si porta dietro anche rischi reali e percepiti. Se si guarda alla storia, i rischi di incidenti nelle centrali sono veramente minimi, ma incombono due problemi molto concreti: uno è come smaltire il combustibile esausto, un dilemma ancora oggetto di acceso dibattito fra gli ambientalisti. E un altro è come garantire la sicurezza del combustibile in ogni fase del suo ciclo vitale, specialmente in paesi emergenti a corto di liquidità, che spesso sorgono in aree flagellate dall'instabilità, dove operano organizzazioni terroristiche con ambizioni nucleari». Così come quando parliamo di mobilità sostenibile non ci fermiamo certo al tipo di auto elettrica o ibrida o a idrogeno, quanto sul limitare l'uso stesso del mezzo preferendovi quando possibile, la bici, l'autobus, la tramvia, il treno ecc. Per non parlare del fatto che se greenreport esiste e può far sentire la sua voce lo deve ai pc e alla rete che sono consumatori di energia e di materia, quest'ultima (vedi in particolare il silicio) che arriva dai paesi in via di sviluppo che bene poco beneficiano di questo enorme business...

Questo perché la green economy che sta dentro l'idea di una società più sostenibile ambientalmente e socialmente significa prima di tutto affrontare la complessità a partire dal fatto che non siamo di fronte ad una scienza esatta. Non è un caso se Gianfranco Bologna, uno dei massimi esperti della materia, cura per noi una rubrica dal titolo: ‘Verso la scienza della sostenibilità'. Così si può dire della green economy che non è una ricetta standard ma una materia a tratti magmatica che ha bisogno di studio e di pratica per migliorarne continuamente i risultati.

Il futuro, peraltro, sarà quello dove non si distinguerà più una green economy da un'economy tout court altrimenti significa che si è fallito in pieno la missione. La green economy ha una funzione possiamo dire didattica o propedeutica per un ritorno dell'economia alla sue origini di materia che tratta l'uso razionale delle risorse scarse e per questo fa scelte che non pregiudichino la riproducibilità delle risorse stesse. Una società sostenibile è quella dove non c'è neppure bisogno di un ministero dell'ambiente perché tutti i ministeri agiscono ‘sostenibilmente'; dove non ci sono prodotti ecosostenibili distinguibili da quelli insostenibili; dove il risparmio di energia e di materia non è una buona pratica, ma universalmente riconosciuta come la base di tutte le scelte imposto come l'obbligo dell'istruzione.

Nessuna utopia, nessun volo di fantasia, anzi, noi ottimisti lo siamo sempre stati poco. E l'assenza dal dibattito sulla crisi della necessità di una riconversione ecologica dell'economia - prima dell'elezione di Obama - ci inquietava assai. Oggi lo scenario, da questo punto di vista, è cambiato. Il tema è sui tavoli, non solo la questione climatica, ma la sostenibilità in generale. Certo, è ancora in larga parte una materia a sé, ma qualcosa sta mutando. In fondo si tratta - per fare un esempio in tutti i sensi terra-terra - di riaggiornare una tradizione che, se si è attenti, già risiedeva nella cultura contadina di tutto il mondo. La rotazione delle colture in agricoltura che cos'è se non una pratica sostenibile? Da tempo l'uomo sa e sapeva che non può abusare delle risorse del pianeta. Che deve dare il tempo al pianeta di rigenerare le proprio risorse. Ad un certo punto, però, la cultura economica dominante gli ha fatto credere invece che fosse vero il contrario. Che potesse usare tutto e subito, rimandando al mittente (sotto forma di rifiuto) quello che aveva prima masticato, poi consumato, ultimamente soltanto acquistato.

La crisi ci ha riportato tutti con i piedi, scusate l'ennesimo giro di parole, per terra, dandoci però la possibilità di cambiare rotta. La green economy non è una ricetta già preparata, è ancora un progetto in fieri dove ogni azione deve essere valutata secondo il criterio direttore della sostenibilità. Al fianco di essa ben vengano tutte le iniziative che partono dal sé, ma sia chiaro che queste da sé appunto non bastano e che soprattutto tutto il mondo non è l'occidente. Qui si possono fare scelte che altrove non si possono fare, qui si ha la pancia piena e altrove c'è quella vuota. Quello attuale è il modello economico insostenibile ed è quello che  va cambiato e non riproposto all'infinito come qualcuno vorrebbe. In questa transizione, ribadiamo, nessun pasto è gratis, l'impatto zero non esiste, e quindi faremo sempre i conti con le risorse scarse scegliendo comparativamente gli impatti minori.

L'esempio di Rothkopf, che si sarà capito non è un bieco ambientalista, sui combustibili è calzante: «Per ironia della sorte, la caccia alle energie alternative per sostituire il petrolio potrebbe aggravare enormemente il problema dell'acqua. Alcuni biocombustibili richiedono grandi quantità d'acqua, anche i più efficienti, quelli ricavati dalla canna da zucchero (a differenza del colosso dell'etanolo, il Brasile, con le sue abbondantissime precipitazioni, la maggior parte dei produttori di canna da zucchero deve irrigare i campi). Anche le varie tecnologie considerate essenziali per un impiego "pulito" del carbone sono avide di acqua, e le macchine elettriche ibride aumentano il consumo idrico perché sono alimentate ad elettricità e la maggior parte delle centrali elettriche usa l'acqua come liquido di raffreddamento».

L'alternativa è dunque far niente? Assolutamente no, ma intanto sapere che tutto il mondo è attaccato aiuta a fare scelte sostenibili non dettate ad esempio dal bello e il brutto, vedi il ridicolo dibattito sull'eolico, con un impegno da parte delle istituzioni tutte a smettere (è una provocazione) di fare i convegni sulla green economy o sulla sostenibilità o sulle energie rinnovabili per passare dalla ginnastica, anche in Toscana, alle azioni cogenti, anche queste scarse come le risorse, ma che invece potrebbero essere ‘rinnovabili' quasi all'infinito.

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