[07/12/2010] News

Le malattie infettive e l’effetto boomerang della perdita di biodiversità

NAPOLI. C'è un'evidente correlazione tra la biodiversità e la diffusione delle malattie infettive tra gli uomini. È una correlazione che, in linea di principio, può essere sia positiva che negativa. La perdita di biodiversità può uccidere infatti gli agenti infettivi e, soprattutto, i loro vettori, rendendo più difficile la trasmissione delle malattie agli uomini. Ma può agire anche al contrario, la perdita di biodiversità può creare spazi ecologici nuovi agli agenti patogeni e favorire lo sviluppo di malattie.

I due scenari principali (ma non unici) del rapporto tra biodiversità e salute umana non sono alternativi. Possono verificarsi entrambi, nel medesimo tempo. Ma non sono neppure simmetrici. Uno può essere prevalente sull'altro. Ed è quanto sta accadendo, secondo Felicia Keesing del Dipartimento di biologia del Bard College di Annandale (New York) e un gruppo di suoi collaboratori, che hanno pubblicato nei giorni scorsi su Nature il report sugli Impatti della biodiversità sull'emergenza e la trasmissione di malattie infettive. I ricercatori hanno effettuato quella che nel gergo della comunicazione scientifica si chiama una review, ovvero hanno esaminato tutto quello che sull'argomento è stato prodotto dalla comunità scientifica negli ultimi cinque anni. Hanno preso in considerazione 12 diverse malattie - da quella causata dal Virus del Nilo Occidentale alla malattia di Lyme - studiate in diversi ecosistemi. Tutte queste 12 malattie in ogni ecosistema sembra avere non solo un'incidenza crescente, ma anche correlata con la diminuzione delle specie viventi.

Prendiamo il caso del Virus del Nilo Occidentale. Negli Stati Uniti l'agente infettivo è più aggressivo lì dove è minore la biodiversità degli uccelli. Mentre risulta maggiore dove la biodiversità dei volatili è più ricca. È evidente che il virus è trasmesso solo da alcune specie di uccelli. Lì dove c'è maggiore biodiversità gli uccelli che fungono da vettori del virus sono più contenuti e, quindi, hanno una minore probabilità di trasferire il virus agli uomini.

Allo stesso modo almeno tre diverse ricerche mostrano che la diminuzione delle specie di piccoli mammiferi in alcune aree genera una maggiore diffusione dell'hantavirus tra gli altri animali. E, di conseguenza, determina una probabilità maggiore che il virus venga trasmesso agli uomini, causando un'infezione ai polmoni che può portare anche alla morte.

Conclusione, ancorché provvisoria: la perdita di biodiversità in atto sta favorendo la diffusione di molte malattie infettive. Si sta rivelando un danno diretto per la salute umana. In realtà la diffusione delle malattie infettive sta interessando anche gli animali non umani e le piante, cosicché potremmo affermare che l'erosione della biodiversità si rivela un danno diretto anche per la gran parte delle specie che sopravvivono.

Naturalmente il rapporto tra biodiversità e malattie infettive è più complesso. Nei cosiddetti hot spot, per esempio, ovvero negli ecosistemi dove il tasso di biodiversità è massimo è maggiore la possibilità che emergano nuove malattie o che si diffondano malattie finora sconosciute. Ciò è sempre avvenuto, per la verità. Ma oggi l'irruzione degli uomini in questi hot spot della biodiversità è sempre più frequente. Di conseguenza è sempre più probabile che si diffondano agenti patogeni nuovi o agenti patogeni che finora non avevano incontrato gli umani.

In definitiva, lo studio di Felicia Keesing e dei suoi collaboratori corrobora l'ipotesi che il ritorno inatteso del Quarto Cavaliere dell'Apocalisse, ovvero delle malattie infettive, registrato negli ultimi lustri sia un boomerang: un effetto sull'uomo del rapido cambiamento degli ecosistemi causata dall'uomo.

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