[23/12/2010] News

La sostenibilità diventerà la protagonista centrale delle politiche economiche dell'immediato futuro

ROMA. Nonostante la gravissima crisi finanziaria ed economica che attanaglia le nostre società dal 2008, la crescita economica continua a procedere, a spese dei sistemi ecologici che costituiscono la base della nostra stessa sopravvivenza.

Abbiamo più volte analizzato, nelle pagine di questa rubrica, la crisi economico finanziaria attuale, cercando sempre di contestualizzarla e collocarla correttamente rispetto al gravissimo e crescente deficit ecologico che i nostri sistemi sociali stanno pericolosamente aggravando nei confronti dei sistemi naturali che ci "supportano e sopportano".

I dati che provengono dai  "World Economic Outlook"  del Fondo Monetario Internazionale (vedasi www.imf.org ) e da quelli di studiosi come Angus Maddison (il noto economista britannico scomparso nell'aprile di quest'anno, professore all'Università di Groningen ed autore, tra le altre opere, nel 2001, del volume pubblicato dall'OCSE, "The World Economy: A Millennial Perspective", vedasi il suo sito  http://www.ggdc.net/MADDISON/oriindex.htm ), ci dicono che oggi il prodotto globale lordo delle varie nazioni del mondo, ha sorpassato i 70.000 miliardi di dollari.

Se analizziamo le serie storiche del prodotto lordo globale (riportate, ricavandole dai database dell'OCSE e del Fondo Monetario Internazionale, dal Worldwatch Institute nel suo "Vital Signs 2003", pubblicato da Norton) possiamo osservare che nel 1950 questo veniva calcolato in 6.700 miliardi di dollari, nel 1960 in 10.700 miliardi di dollari, nel 1970 in 17.500, nel 1980 in 25.300, nel 1990 in 34.200 e nel 2000 in 46.000 miliardi di dollari.

La formula tradizionale per raggiungere prosperità e benessere si è sempre basata sul perseguimento della crescita economica, partendo dall'assunto che maggiori redditi portano ad un maggiore benessere e quindi alla prosperità di tutti. Gli effetti negativi e pesanti del mito della crescita economica, dal punto di vista sociale ed ambientale sono stati ampiamente approfonditi, analizzati ed indagati ed oggi diventa veramente difficile dare torto ai grandi pionieri dell'economia ecologica e della scienza della sostenibilità (penso tra i tanti a Nicholas Georgescu-Roegen,  Kenneth Boulding ed Herman Daly) ed alle grandi figure intellettuali come Aurelio Peccei che concepì il Club di Roma ed avviò il suo primo straordinario rapporto pubblicato nel 1972 e realizzato dal System Dynamics Group del prestigioso Massachussets Institute of Technology (MIT) dal titolo "The Limits to Growth" (I limiti alla crescita, tradotti nell'edizione italiana, edita da Mondadori nello stesso anno, "I limiti dello sviluppo").

Non a caso, ora, si è riaperto un ampio ed approfondito dibattito su come impostare una nuova economia per le nostre società. La formula della crescita è oggi messa, giustamente, in seria discussione e in forte dubbio. Chi ha un minimo di consapevolezza dei gravissimi problemi relativi alle capacità di rigenerazione dei sistemi naturali rispetto alle risorse da noi utilizzate ed alle capacità di ricezione, sempre da parte dei sistemi naturali del pianeta, degli scarti del nostro metabolismo sociale (i rifiuti e gli inquinamenti di tutti i tipi), sa bene che è impossibile andare avanti su questa strada. Il mondo attualmente è governato in una maniera che non è già oggi più sostenibile e lo sarà sempre di meno in futuro, se manteniamo i trend di crescita, come ci dicono chiaramente i risultati delle analisi scientifiche della grande ed autorevolissima partnership dell'Earth System Science, più volte richiamata nelle pagine di questa rubrica (vedasi il sito www.essp.org) .

Si mette ormai in dubbio che la crescita economica sia ancora un obiettivo legittimo per i paesi ricchi, considerate le enormi disparità di reddito e benessere che continuano a persistere nel mondo e considerato, appunto, che l'economia globale deve fare i conti con i limiti imposti dalle risorse naturali e le capacità di sopportazione dei sistemi naturali che, come ci dimostra chiaramente la scienza, non sono affatto infinite. E' quindi venuto il tempo di valutare serenamente se i benefici della crescita perenne sono ancora superiori ai suoi costi e cercare di trovare, concretamente, nuove soluzioni per impostare nuovi modi di fare economia. 

E' anche il mondo economico che ormai è protagonista di questa riflessione, con tantissimi economisti anche di formazione classica che cominciano a mettere in discussione il mito della crescita. Se si riuscisse ad andare al di là delle profonde convinzioni ideologiche che hanno condotto all'iperliberismo degli ultimi decenni e inevitabilmente all'odierna spaventosa crisi finanziaria ed economica, si farebbe senza dubbio un'opera meritoria all'analisi ed alla reazione necessaria e ormai ineludibile, che deve aver luogo, rimettendo però in discussione le fondamenta degli impianti teorici che abbiamo costruito dalla Rivoluzione Industriale ad oggi.

Come ha scritto il noto economista britannico Tim Jackson, autore del bellissimo "Prosperity Without Growth" (del quale sto curando l'edizione italiana che sarà pubblicata da Edizioni Ambiente nei primi mesi del 2011): " Ormai la visione dominante della prosperità come paradiso economico in continua espansione si è disfatta. Forse funzionava meglio quando le economie erano più piccole e la popolazione mondiale meno numerosa. Comunque, se è mai stata corretta, ora non lo è più di sicuro.

Il cambiamento climatico, il degrado ecologico e lo spettro della scarsità delle risorse si sommano ai problemi causati dal crollo dei mercati finanziari e dalla recessione. I rimedi veloci per rimettere in piedi il sistema dopo la bancarotta non bastano: serve qualcosa di più. Serve, come punto di partenza fondamentale, una definizione coerente di prosperità che non faccia affidamento su assunti pre-impostati basati sulla crescita dei consumi."

Siamo veramente arrivati ad una situazione incredibile. Ho iniziato questa nota ricordando la crescita del prodotto globale lordo dal 1950 ad oggi e viviamo in un periodo in cui abbiamo analisi, database e statistiche praticamente su tutto. Ma, paradossalmente, nessuno sa con esattezza quanto si scambia sui particolari mercati  che abbiamo creato, quali quelli dei derivati e delle obbligazioni. Si fanno stime su quanti titoli siano in circolazione ma non si conoscono le entità dei soldi che sono mossi ogni giorno in questi mercati. Sappiamo che i derivati esistenti al mondo hanno un valore di oltre 450.000 miliardi di dollari e le obbligazioni di circa 80.000 miliardi. Siamo di fronte a cifre che fanno riflettere rispetto al prodotto globale lordo, che in pratica costituisce la somma dei PIL dei paesi di tutto il mondo (alcuni dati e stime si possono rintracciare sul sito della Bank for International Settlements www.bis.org ).

I derivati, le obbligazioni e le valute non vengono scambiati in borse sottoposte a specifici regolamenti e a regimi di chiara trasparenza (e, inoltre, gli scambi hanno luogo soprattutto via telefono).

L'intera economia mondiale necessita veramente di una profonda revisione che inevitabilmente condurrà ad un nuovo modo di impostare le politiche. La sostenibilità è destinata a diventare la protagonista centrale delle politiche economiche dell'immediato futuro. E il fattore tempo non gioca a nostro favore. Bisogna muoversi con rapidità e senso di urgenza. Le modalità con le quali imposteremo le nostre società oggi ci consentirà di o meno di evitare i gravi problemi che incombono sul nostro domani.

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