[27/12/2010] News

La Cites ha 35 anni e li dimostra tutti: va riformata e finanziata

LIVORNO. Secondo un nuovo studio, la Convention on international trade in endangered species of wild fauna and flora (Cites), che regolamenta il commercio delle specie viventi, a 35 anni dalla sua entrata in vigore «Rimane molto rilevante, ma il finanziamento resta un principio di limitazione della Convenzione, in particolare per rafforzare il controllo e la qualità dei dati commerciali». Il limiti della Cites sono infatti la mancanza di fondi certi e l'applicazione lassista delle leggi, che indeboliscono la lotta per proteggere le specie minacciate, così il commercio illegale fa aumentare il rischio di propagazione di malattie e di specie invasive, pericoli che riguardano anche l'agricoltura, l'allevamento, e la salute pubblica.

La Cites, alla quale aderiscono 175 Paesi, è la più importante iniziativa globale per monitorare e regolamentare il commercio internazionale di piante ed animali e riguarda circa 34.000 specie considerate a rischio.

Lo studio "Boosting cites", redatto da un team di scienziati della National university of Singapore e della Oxford Brookes università, è stato pubblicato su Science e contiene anche indicazioni su come potenziare l'efficacia della Cites ed è stato pubblicato a due mesi dalla Conferenza della parti della Convention on biological diversity di Nagoya dove è stato raggiunto un accordo sugli obiettivi internazionali di riduzione del tassi di perdita di biodiversità entro il 2020, riconoscendo il ruolo delle specie viventi e dei loro habitat nel fornire servizi ecosistemici essenziali per il genere umano e le sue economie.

Gli autori del rapporto (Jacob Phelps, Edward L. Webb, David Bickford, Vincent Nijman e Navjot S. Sodhi) fanno notare che, «Mentre dati biologici e commerciali credibili sono fondamentali per informare le decisioni e ottenere volontà e consenso politici tra le Parti della Cites, molte parti della Cites non riescono ad effettuare un controllo sistematico dl commercio internazionale della fauna selvatica».

Nijman, della Oxford Brookes university, sottolinea che «Il risultato netto è che l'analisi dei dati disponibili spesso non basta ancora a riconoscere le specie minacciate dal commercio e ad individuare imprecisioni e lacune del commercio». Secondo i ricercatori la raccolta dei dati sul commercio solo lungo le rotte commerciali più facilmente accessibili, come negli aeroporti, è problematica perché non riesce ad individuare il vero livello del commercio di specie selvatiche. Per affrontare queste ed altre questioni, "Boosting Cites" chiede «Un grado molto maggiore di coordinamento tra le Parti della Cites, comprese le iniziative già in corso per una maggiore condivisione dei dati e analisi, come il Wildlife enforcement monitoring system, e la prevista banca dati sul commercio illegale». Soluzioni che in gran parte però dipendono da
«Un maggiore impegno reciproco, attivo e duraturo delle Parti della Cites con partner esterni», un processo che sarà, come riconoscono gli stessi ricercatori, «Amministrativamente impegnativo, costoso e politicamente difficile».

Per farlo, per salvare davvero la biodiversità più a rischio a causa dell'ingordigia, del collezionismo, dalla medicina tradizionale che spesso è solo superstizione e della moda degli animali domestici esotici, ci vogliono più finanziamenti, il rapporto sottolinea che più della metà delle importazioni di animali segnalate negli Usa tra il 2000 e il 2006 sono state identificate solo per classe, mentre solo il 14% è stato identificato per specie. Inoltre, secondo lo studio mancano in genere verifiche interne ed esterne alla Cites, il cui Segretariato ha un bilancio annuo di soli 5,2 milioni di dollari. «Il Segretariato opera con magre donazioni delle Parti» e lo studio chiede che "Le Parti, in particolare per i Paesi importatori, aumentino fortemente i loro contributi» ed aggiunge che «La Cites dipende esclusivamente dagli inventari degli Stati, anche se gli incentivi per dare cifre truccate siano grandi e la maggior parte delle specie censite dalla Cites siano localizzate nelle zone tropicali dove la governance è sovente debole e la corruzione elevata»

Per Nijman, dopo 35 anni di Cites, «Solo attraverso l'aumento delle risorse è possibile far diventare la Convenzione proattiva, con un monitoraggio in tempo reale ed una regolamentazione che rafforzi gli scambi di informazioni e dati di qualità sul commercio di fauna selvatica. Questi miglioramenti sono vitali: una Convenzione rafforzata è essenziale per proteggere la biodiversità in pericolo».

Jacob Phelps sottolinea che «La raccolta di dati a tutti i livelli dipende dall'identificazione delle specie, che resta una grande sfida. Gli studi riguardanti il commercio delle specie di fauna e flora selvatiche sono clamorosamente poco numerosi e molto distanziati nel tempo. Per numerose specie, non solo le tigri o i rinoceronti, ma anche gli alberi, i primati e gli uccelli venduti come animali da compagnia o le piante medicinali, il commercio di fauna e flora selvatiche resta una minaccia importante»

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