[04/01/2011] News

Lotta di classe ai tempi della globalizzazione: chi vince e chi perde?

LIVORNO. Prima della globalizzazione stabilire chi era lo sfruttato e chi lo sfruttatore nella perenne lotta di classe era molto più semplice. Oggi, se si prende come esempio gli operai, la cosa si fa molto, ma molto più complicata. Luciano Gallino su Repubblica sostiene, con ragione, facendo riferimento al caso della fabbrica Eaton di Massa, che siamo di fronte a un sistema economico distorto "che separa il lavoro dalla persona". Tanto che "rischiamo di minare le radici della democrazia". «Democrazia - aggiunge - è la possibilità di avere voce nelle decisioni che toccano la propria vita. La Eaton, ricorda, produceva componenti avanzati per motori d´auto, venduti ai maggiori costruttori europei, con buoni margini di utile. Ma è successo che nell´Ohio, sede dell´azienda madre, qualcuno ha fatto due calcoli e ha scoperto che in Polonia si possono produrre gli stessi componenti a un costo inferiore. Si sa, laggiù costa tutto meno: il lavoro, i terreni, i servizi. Quindi il management ha deciso di chiudere lo stabilimento di Massa e spostare la produzione in quel paese. Gli azionisti apprezzeranno».

Gallino poi spiega: «È un´azione di chiara razionalità economica, si dirà. Che c´entra la democrazia? La risposta sta in quelle centinaia di lavoratori che occupano la loro fabbrica senza macchine perché sono state spedite all´estero, che fanno lo sciopero della fame, bloccano per qualche ora l´autostrada. Democrazia è la possibilità di avere voce nelle decisioni che toccano la propria vita, partecipare in qualche misura ad esse, poter discutere del proprio destino; magari per accettarlo, alla fine, anche se ingrato».
Tutto giusto ed è evidente che stiamo dalla parte dei lavoratori, ma c'è un buco nel ragionamento che se ci si mette la testa dentro diventa una voragine. Se lo stesso prodotto si fa identico da una parte e dall'altra del mondo, la moneta di scambio è solo il costo del lavoratore. Più si abbassa il costo del lavoratore, più si abbassa la qualità della vita del lavoratore stesso, ma - ecco il punto - si riducono i costi del prodotto stesso. Il lavoratore della Eaton - per restare nell'esempio - poniamo che comunichi da dentro la fabbrica dove sta facendo con diritto valere le sue ragioni con un telefonino cellulare. Magari non avrà l'iPhone, ma un cellulare da 70-80 euro. Se uno ha idea di che tecnologia e da che cosa sia composto un telefonino sia a livello di software, sia a livello di hardware, si domanderà come diavolo faccia a costare così poco e si renderà subito conto che lo stesso sfruttato e umiliato lavoratore della Eaton a sua volta - e suo malgrado - è sfruttatore di uno o più lavoratori dall'altra parte del mondo.

Il termine "sfruttatore" è forte, forse troppo, ma di fatto è così. La Cina produce la gran parte delle tecnologie del mondo, ma da tempo anche libri per bambini, giocattoli, vestiti, tutto a basso costo per il consumatore, ma a che prezzo per i lavoratori cinesi? Altissimo. E anche per l'ambiente. Quelli che prima sembravano casi eclatanti, i palloni da calcio delle multinazionali prodotti da bambini, lo sfruttamento dei lavoratori della Coca Cola in Sudamerica, ora si sono moltiplicati. Questo ha permesso - paradosso dei paradossi, ma anche no - di far correre l'economia cinese che a sua volta ha tolto dalla povertà assoluta milioni di cinesi stessi. Ma fino a quando è possibile spingere l'economia in questa direzione? Molto poco, almeno dal punto di vista ambientale visti i costi dell'inquinamento che questo modello produce (leggi pezzo di Pietro Greco oggi apertura del nostro giornale link in fondo), ma anche dal punto di vista sociale.

Questo modello di sviluppo ha portato certamente anche dei benefici, non siamo così disfattisti, ma ora (anzi da un bel po') ha finito la sua spinta ed ha picchiato fortissimo contro un muro. E tra i disastri ha provocato quello di mettere i lavoratori in competizione tra di loro tanto che loro malgrado sono tutti vittime e in parte responsabili della situazione attuale, con governi e partiti ancora troppo distanti e troppo poco attenti a questo che è il cuore dei problemi dell'economia mondiale, e con i manager e gli speculatori che se la ridono perché loro sono "troppo grandi per fallire" mentre gli altri sono "troppo piccoli per sopravvivere"...

La lotta di classe in sostanza esiste ancora: il fatto è che ha avuto dei vincitori (non i lavoratori) e che tra questi ci sono  l'imprenditoria e la finanza di rapina che ci hanno portato all'attuale crisi sistemica. Ci sono poi due cose "singolari": che il principale alleato di chi ha vinto la lotta di classe sia un regime nazional-comunista (la Cina) che quella guerra avrebbe dovuta superarela in avanti, trasformando il feudalesimo cinese in una società giusta e non nella fabbrica-mondo senza diritti e con un po' di yan in più in tasca; e che i lavoratori (occidentali) sono stati trasformati in consumatori, convinti di avere gli stessi desideri dei "padroni" e che per soddisfarli al minimo livello  sono disposti a rinunciare a conquiste e diritti, essendo i valori spesso estinti come dinosauri, fossili finiti sotto il crollo del muro di Berlino, abbandonati dalla ritirata suicida della socialdemocrazia. Ritorna il lavoro merce che vuol dire mercificazione dei diritti e dell'ambiente, magari con un'algida green economy che non significherà giustizia sociale ma ultima trincea dell'economia capitalistica e del "socialismo di mercato" per salvare il salvabile. Che i responsabili di tutto questo diano ancora lezioni dalle loro cattedre ed innalzino nuovi muri per fermare le persone e far girare le merci è un'altra contraddizione di un neoliberismo che sembra (visto da qui) non avere più antagonisti nel vuoto pneumatico che è riuscito a creare con quella che Naomy Klein chiama la Shock economy e che, anche la Fiat, sta applicando all'Italia.

Resta una domanda, anzi due? Dove si fermerà la corsa indietro dei diritti dei lavoratori? E quando la risuscitata classe operaia, i precari, la classe media impoverita avranno stipendi e diritti "cinesi" o "polacchi", chi comprerà le merci dell'iperconsumismo di massa ad obsolescenza programmata?

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