[25/01/2011] News toscana

Sentenza del Tar contro Montescudaio: il curatore fallimentare non ha l'obbligo di presentare un piano di bonifica

LIVORNO. Anche a Montescudaio, come purtroppo nel resto d'Italia, i residui di materiali combusti (in questo a caso residui dell'incendio di un capannone) pongono dei problemi.

Lo dimostra la sentenza del Tribunale amministrativo della Toscana (Tar) con la quale dà ragione al curatore fallimentare e torto al Comune di Montescudaio (Pi). Questa la storia: il Comune toscano, dopo aver riscontrato la presenza di materiale combusto depositato all'interno di un capannone incendiato già di proprietà della società fallita ordinò al curatore fallimentare di presentare un piano di bonifica per la rimozione di ogni residuo dei materiali combusti depositatisi a seguito dell'incendio del capannone.

Ma la curatela fallimentare non può essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti inquinati, per effetto del precedente comportamento commissivo od omissivo dell'impresa fallita. Perché anche se l'ordinanza impugnata è rivolta al fallimento per effetto dell'inottemperanza dell'impresa a precedenti provvedimenti la curatela fallimentare deve esser considerata estranea alla determinazione degli inconvenienti sanitari riscontrati nell'area interessata.

Dunque, non basta, a far scattare un obbligo in capo alla curatela, il riferimento alla disponibilità giuridica degli oggetti qualificati come rifiuti inquinanti: il potere di disporre dei beni fallimentari non comporta il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, volti alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica dei fattori inquinanti.

Fra l'altro, la disciplina del fallimento e della successione nei contratti dimostra che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito, (l'obbligo di mantenimento della cosa locata in buono stato riguarda i rapporti tra conduttore e locatore e non si riverbera, direttamente, sui doveri fissati da altre disposizioni, dirette ad altro scopo).

In linea di principio - e secondo una precedente sentenza del Tar Toscana - i rifiuti prodotti dall'imprenditore fallito non sono beni da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formano oggetto di apprensione da parte del curatore.

Comunque sia, l'ordine di smaltimento presuppone l'accertamento di una responsabilità a titolo quantomeno di colpa in capo all'autore dell'abbandono dei rifiuti, ma anche del proprietario o del titolare di altro diritto reale o personale sull'area interessata, che venga chiamato a rispondere in solido dell'illecito.

E quando non vi è alcun elemento che consenta di attribuire la corresponsabilità del comportamento illecito alla curatela dei fallimenti né della società operativa né della ditta proprietaria dell'area non è possibile ordinare a questi la rimozione dei rifiuti.

 

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