[07/02/2011] News

Social Forum mondiale a Dakar: lotta al capitalismo o democrazia (o entrambe)?

LIVORNO. Ieri è cominciato a Dakar, la capitale del Senegal, l'undicesimo Forum sociale mondiale al quale parteciperanno circa 50.000 persone, compresi l'ex presidente del Brasile, Lula Ignacio Da Silva, quello del Venezuela Hugo Chavez, l'ex Capo di Stato del Mali Alpha Omar Konaré, il nuovo presidente della Guinea Alpha Condé, il presidente dell'Unione Africana Jean Ping e probabilmente anche le due dame del Partito socialista francese, Martine Aubry e Ségolène Royal, che si contenderanno la candidatura alle prossime presidenziali.

L'ambiente è stato subito scaldato dal presidente della Bolivia, Evo Morales, una delle icone del movimento no-global che ha detto: «Se vogliamo cambiare il mondo, bisogna cambiare il modello capitalista. E' il responsabile del cambiamento climatico». Secondo Morales, che in Bolivia per la prima volta si trova a far fronte ad un calo di popolarità ed a diffuse proteste sociali, «I popoli sono capaci di liberare il mondo dal sistema capitalista. Il capitalismo non fa più produrre, ma consumare. Siamo noi poveri che paghiamo la crisi del capitalismo. Se non vogliamo più pagare le conseguenze delle crisi del capitalismo, organizziamoci. I nemici dei nostri popoli sono il neo-capitalismo, il liberismo, l'imperialismo nord-americano».

Non la pensa come il presidente indio della Bolivia Joséphine Ouédraogo, segretaria esecutiva di Enda Tiers-Monde, una Ong con base a Dakar, ma presente anche in America Latina, Asia ed Europa, che promuove I diritti economici dei poveri e la salvaguardia dell'ambiente. In un'intervista all'agenzia Ips la Ouédraogo spiega: «Credo che della battaglia contro la crisi economica ed ecologica facciano parte le lotte condotte da molto tempo dalla organizzazioni di base dei popoli. Queste popolazioni, alla loro scala, esprimono le difficoltà che vivono e chiedono che le politiche si preoccupino di loro. Le Ong che vediamo alla testa dei movimenti sociali, le grandi associazioni internazionali e le reti danno dei punti di vista e fanno delle proposte. Quelle Ong sono le reti della lotta dei pescatori, degli agricoltori e di altri segmenti professionali. Permettono l'accesso di queste associazioni di base nelle arene in cui si prendono le decisioni. Quando si prende ad esempio quel che è successo alla conferenza dell'Organizzazione mondiale del commercio a Cancun, in Messico, la questione del cotone è stata relazionata non solo dagli Stati africani ed asiatici, ma anche dai coltivatori di cotone del Mali, del Burkina, ecc. Erano li per scambiare i loro punti di vista e sensibilizzare i decisori. Evidentemente, come in tutti I sistemi di leadership, di lotta e di espressione, ci sono anche delle associazioni che parlano per sé stesse e finiscono per allontanarsi dalla base».

La Ouédraogo pensa, un po' come sperava Gorbaciov con il socialismo sovietico, che il capitalismo possa essere riformato dal basso e che la società civile possa «far comprendere agli Stati ed alle istituzioni finanziarie internazionali che questi programmi di aggiustamento strutturale (Pas) non apportano delle soluzioni alla povertà né ai fallimenti delle politiche nazionali». Secondo lei è proprio grazie alla reazione delle Ong che la Banca mondiale ha fatto autocritica sui suoi Pas all'inizio del decennio scorso: «Ha riconosciuto che la ricerca assoluta degli equilibri macroeconomici e la politica della gestione di bilancio ortodossa non risolvono il problema della povertà».

Il Social Forum Mondiale di Dakar dovrebbe fare il bilancio di cosa è accaduto all'economia e prospettare soluzioni che tengano conto della crisi ecologica planetaria, magari partendo dai passi avanti fatti in alcuni settori come quello dell'educazione e in alcuni Paesi come il Botswana portato ad esempio in Africa. «E' un Paese interessante perché ha avuto successo - spiega la Ouédraogo - Secondo gli indicatori economici e sociali universali, questo Paese ha fatto dei passi avanti straordinari. Ha una governance democratica e trasparente che molti altri Stati africani non hanno. Il Botswana ha un sistema democratico rappresentativo, questo vuol dire che le popolazioni delegano il loro potere a delle persone che esse stesse, a livello delle loro collettività, designano perché hanno fiducia in loro. In Botswana, le popolazioni delegano delle persone che rappresentano una regione, una zone o una categoria di persone là dove si decidono "i grandi cantieri" dello Stato. C'è un controllo della governance e delle decisioni... Ci sono Paesi più ricchi che b non sono riusciti a fare quel che il Botswana ha fatto. I botswanesi sono arrivati a definire il modo di governare che vogliono per il loro Paese. Hanno dei risultati straordinari nell'eradicazione dell'Aids, per esempio. Si aveva una situazione drammatica in quel Paese a causa dell'Aids; era veramente terribile fino a 15 o 20 anni fa. Il Paese ha registrato anche dei progressi sociali nella lotta contro la povertà».

La segretaria di Enda Tiers-Monde crede nell'interscambio dio esperienze e buone pratiche ma non in una governance mondiale economica «Perché il mondo è governato dalle grandi potenze economiche, militari, ecc. Sono loro che pilotano la gestione delle grandi risorse del mondo e decidono di una guerra o di un'altra, secondo i loro interessi. Co questa governante che abbiamo, possiamo cambiarla? Non lo so». La speranza sta nell'inizio del cambiamento dei discorsi del leader mondiali alle conferenze mondiali e regionali su economia, ambiente, lotta alla povertà, salute ed altri temi sociali: «Parlano di trasparenza, di moralizzazione del capitalismo, di neo-governance. I loro discorsi cominciano a cambiare perché ascoltano le società civili».

Ma le rivolte tunisine ed egiziane e quelle meno conosciute un po' in tutto il mondo in via di sviluppo non dimostrano che la lotta dei movimenti no-global è anche una lotta che si incrocia con quella contro una governance mondiale capitalista? Secondo Ouédraogo «Questo dipende di quale lotta si parla. Se è la lotta contro il sistema ultraliberista e capitalista, è una lotta dura. Perché il sistema ultraliberista e capitalista non è uno Stato d'animo. E' un sistema potente, che ha molto denaro, ha degli obiettivi molto chiari e cerca profitto e ricchezza ad ogni costo, sia su scala nazionale che sul piano internazionale. Lasciar fare delle guerre per questo è ingannare i diritti dei popoli. Può darsi che ci siano da condurre dei tipi di lotta diversi perche non ci siano sistemi ultraliberisti. Ci sono altri sistemi altrettanto inumani ed ingiusti, che colpiscono altrettanta gente. Ci sono altri sistemi economici, culturali e di gestione della società che ingannano e colpiscono I diritti delle società. Non possiamo mettere tutto sulle spalle del sistema capitalista».

Visto da Dakar il pensiero unico liberista è qualcosa di diverso, e più frammentato e sfaccettato, che si riflette nei tragici regimi autoritari "statalisti-liberisti" africani ed asiatici, ben lontano dal socialismo andino di Morales, ma rimane intatta la domanda: come può il movimento per una nuova e diversa globalizzazione modificare radicalmente l'ordine (o il disordine) liberista che governa il mondo?

Secondo Ouédraogo «Il problema non si pone in questi termini. Si tratta di fare in modo che in ogni Paese lo Stato non accetti più in maniera incondizionata tutte le convenzioni che gli vengono proposte per aprire la porta a degli investitori privati che prenderanno delle parti di territorio per sfruttare delle risorse minerarie, petrolifere o agricole. Tutto ciò può essere messo a nudo durante il Social forum di Dakar. Si tratta anche di fare in modo che i nostri governanti non abbiano più il diritto di barattare le nostre risorse naturali e i nostri beni pubblici con degli investitori privati e con delle multinazionale in cambio dei viluppi di corruzione. Che la smettano di vendere intere parti del nostro patrimonio... Non c'è bisogno di abbattere il sistema internazionale ultraliberista. Bisogna condurre la lotta là dove c'è. E' con questo che arriveremo a rendere il mondo vivibile. Bisogna che i contadini si organizzino per andare a chiedere conto ai poteri pubblici... E' così che andremo avanti».

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