[14/02/2011] News

Rivoluzioni arabe: l'89 dell'Occidente e la fine dell'Unione per il Mediterraneo

LIVORNO. Le migliaia di profughi (senza contare i naufraghi morti), che si infrangono come un'onda inarrestabile sulle isole più meridionali dell'Italia, sono probabilmente solo l'avanguardia dello tsunami umano e politico provocato dal crollo, in Tunisia ed Egitto, di un pezzo della "cortina di ferro" marittima costruita dall'Europa per cercare di tenere i poveri lontani dal nostro benessere.

Quello che sta accadendo, e che ancora più accadrà con l'effetto domino destinato a far cadere tutti i mattoni del "Muro di Berlino" arabo in Algeria, Marocco, Yemen, Giordania... somiglia tremendamente ad un '89 occidentale, con una differenza: se la Tunisia è la Polonia araba che per prima ha scardinato la cortina di ferro della falsa democrazia, il secondo regime dittatoriale a crollare è stato quello egiziano, quello della potenza egemone araba, quando crollò l'Urss i Paesi satelliti del Patto di Varsavia precedettero quella caduta, probabilmente più pacificamente di quello che sta succedendo e succederà nel sud del Mediterraneo.

La Storia non si ripete mai uguale, ma è chiaro che quello che accade a pochi centinaia di km dalle nostre coste è il crollo della "fascia difensiva" creata e armata dall'occidente, affidandosi a regimi autoritari che hanno vessato i loro popoli e torturato i loro oppositori. Per noi italiani è ormai ancora più chiaro che lo scellerato patto, prima sommessamente prodiano e poi entusiasticamente berlusconiano-leghista, con il più longevo e balzano di quei dittatori, Muammar Gheddafi, è diventato carta straccia e miliardi di euro buttati di fronte al cedimento dei baluardi egiziani e tunisino, due specie di nostre colonie economiche ai cui despoti fino all'ultimo il nostro governo non han fatto mancare parole di incoraggiamento e solidarietà.

Le porte verso l'Africa sub-sahariana sono spalancate ed i lager libici saranno aggirati passando da Paesi che ora hanno ben altro di cui occuparsi che fare i guardiani della miseria dei loro e degli altri popoli. Come per i nuovi governi che sostituirono quelli del Patto di Varsavia, per le nuove transizioni arabe e per i regimi che resistono ancora alle piazze arabe è solo un sollievo se migliaia di giovani arrabbiati e disperati cercano la via di fuga verso l'Occidente.

Però, se le carrette del mare e i gommoni stracarichi di albanesi che negli anni '90 sbarcavano sulle coste pugliesi ci ricordavano il fallimento delle diverse varianti del socialismo reale, i tunisini che arrivano a Lampedusa (probabilmente un miscuglio di complici del regime di Ben Ali in fuga e di chi approfitta del caos post-rivoluzionario per imbarcarsi verso l'Italia senza più controlli) sono l'avanguardia di una nuova ondata di giovani uomini arabi alla ricerca di una vita migliore di quella che le dittature e i loro complici italiani e francesi non hanno permesso nei loro Paesi.

La caduta della cortina di ferro orientale provocò un esodo che presto si trasformò in commercio di carne umana, soprattutto femminile, la disintegrazione/consunzione praticamente pacifica di quel modello vedeva nell'Occidente una illusoria speranza di rapida ricchezza e di democrazia; le rivoluzioni arabe segnano la vittoria della ribellione contro regimi dittatoriali sostenuti dall'Occidente democratico, che quindi non è il modello di riferimento per i giovani arabi istruiti e senza lavoro, che stanno confusamente cercando altre strade democratiche che non rinneghino l'islam.

La lezione della feroce imposizione del neoliberismo e in tutto l'ex impero sovietico è stata probabilmente appresa dai popoli arabi, che hanno già nella finanza islamica qualche anticorpo in più contro la shock economy che qualcuno, a Washington e Bruxelles, cercherà sicuramente di imporgli per farli uscire dalla crisi post-rivoluzionaria.

Ma l'Occidente non ha nei Paesi arabi le carte in regola che sembrava avere in Europa Orientale dopo 45 anni di guerra fredda anticomunista. La prima vittima della rivoluzione dei gelsomini tunisina è proprio una recente creazione di Nicolas Sarkozy e di Hosni Mubarak, che ne era co-presidente, l'Union pour la Méditerranée (Upm), nata come puntello per i regimi arabi e per la penetrazione economica dell'Ue (soprattutto della Francia) in Nord Africa.

Il giornale economico di Algeri "Maghreb Emergent", mentre Mubarak raccoglieva il bottino per fuggire, scriveva che l'Ump è «Un vero simbolo per un progetto mediterraneo, è in stato di morte clinica». Dal 27 gennaio il segretario generale dell'Ump, il giordano Ahmad Massa'deh, si è dimesso dall'incarico che occupava da oltre un anno ed un laconico comunicato della sede dell''Union pour la Méditerranée a Basrcellona annunciava che Massa'deh «Lascia il suo posto perché le condizioni nelle quali ha accettato sono cambiate» e che proseguirà il suo sostegno «Per una cooperazione nel Mediterraneo basata su un equilibrio reale ed un orientamento chiaro», due cose che evidentemente non erano ben contemplate negli obiettivi di Sarkozy e di Silvio Berlusconi che ha aderito entusiasticamente all'Ump.

Le rivoluzioni dei gelsomini ed egiziana hanno defenestrato altri due entusiasti sostenitori dell'Ump: Zine El Abidine Ben Ali e il co-presidente Hosni Mubarak. La creatura che Sarkozy aveva imposto all'Ue è ormai paralizzata dalle rivolte del Medio Oriente contro i suoi complici neo-coloniali. Il giornale spagnolo El Païs non ha esitato a parlare, già prima della sanguinosa e caotica caduta di Mubarak, di «Naufragio mediterraneo di Sarkozy».

Ora non è solo vacante il posto di Mubarak, i ragazzi e le ragazze arabe hanno ucciso nella culla una creatura mai nata e che «Non ha più le ali - scrive El Pais - Il solo progetto pronto, quello delle risorse idriche non è mai stato oggetto di una discussione a causa del rifiuto israeliano di accettare la menzione dell'espressione "Territori occupati"».

Mentre a casa nostra Berlusconi e Frattini fanno finta di nulla e non ricordano di essere stati i padrini al battesimo dell'Ump, mentre da noi l'unica "egiziana" di cui discute la politica è Ruby, la marocchina falsa nipote di Mubarak, Sarkozy è in piena bufera politica e la campagna di Egitto non gli porterà certamente la gloria e gli onori che portò a Napoleone. Di fronte alle critiche dell'opposizione e degli immigrati arabi che popolano le periferie francesi, il portavoce del ministero degli esteri, Bernard Valero, commentando le dimissioni di Massa'deh non ha trovato di meglio che dire: «Tutti i governi e i popoli dell'Europa e del Mediterraneo hanno dato un nuovo slancio all'Union pour la Méditerranée. Più che mai, la Francia è convinta che deve esistere una volontà politica per superare le differenze al fine di costituire una casa comune sulle due rive del Mediterraneo», peccato che i giovani arabi ci accusino di tenere ben nascoste chiavi che aprono le porte di quella casa e di aver riempito le sue dispense con il gas il petrolio e le risorse svendute dai loro ingordi governi. Secondo El Pais, il ministro degli esteri francese, Michèle Alliot-Marie, è noto per i suo legami con il «Clan di cleptocrati che era al potere a Tunisi», lo stesso si può dire per molti politici ed imprenditori italiani.

L'Europa e l'Italia non sembrano preparate al crollo della sua cortina di ferro nelle acque del Mediterraneo, l'Ue non sembra avere (proprio come l'Urss ai bei tempi) un'alternativa rispetto all'egemonia paternalistica e neo-colonialista che esercitava sulla sponda sud del Mar Nostrum, le stesse parole della commissaria alle relazione estere dell'Ue, Catherine Ashton, non sono riuscite ad andare oltre al generico sostegno alla transizione democratica in Tunisia ed Egitto. «In realtà - scrive Maghreb Emergent - sia per la Tunisia e ancora di più per L'Egitto, L'Europa è al traino degli Stati Uniti». Ma, morta l'Ump e sepolta insieme al regime di Barak nella piazza El Tahrir, l'Ue dovrà dare risposte diverse, smetterla di «Sacrificare la democrazia in nome della loro paura della religione - dice Maghreb Emergent - La loro analisi è falsa ed è una cattiva politica (...) Gli europei devono finirla di avere solo il potere in carica come interlocutore. Devono anche smetterla di essere prudenti in materia di esigenza democratica».

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