Fine della spinta propulsiva del renzismo? Una Destra sempre più "destra" e il successo del M5S

Dai rottamatori ai riciclatori. Le elezioni regionali al tempo della scomparsa della Sinistra

Una questione democratica: può un Paese essere governato da una piccola minoranza?

[1 Giugno 2015]

I risultati delle elezioni regionali sembrano un puzzle insolubile, eppure mostrano alcune tendenze di fondo: 1) la spinta propulsiva del PD renziano – se mai c’è veramente stata –  sembra appannata e d’ora in poi sarà difficile richiamarsi al risultato delle Europee per giustificare l’esistenza di un governo non “santificato” da un voto popolare e che sta attuando un programma diverso da quello con il quale si era presentata la coalizione di centro-sinistra  2) La Sinistra-sinistra, salvo in Liguria, si barcamena intorno al 5%, non approfittando della crisi a sinistra del PD della quale sembra beneficiare più il Movimento 5 Stelle; 3) Il Centrodestra è sempre più a trazione leghista-fascista – anche in Liguria e nelle ex regioni rosse – e Forza Italia è ormai un cespuglio della Lega Nord e sta subendo lo stesso rapido declino senile del suo capo; 4) Grande è la confusione sotto il cielo, molto più grande di quello che credeva l’ex rottamatore e ora normalizzatore Renzi, ed è una confusione della quale si sta avvantaggiando a destra la politica xenofoba della Lega (a scapito di Forza Italia) e a sinistra un Movimento 5 Stelle che viene premiato anche per la sua linea meno urlata e più concreta, anche sulle tematiche ambientali, praticamente scomparse da una campagna elettorale regionale. Argomenti che invece – se davvero si voleva parlare di temi concreti – avrebbero dovuto essere tra gli argomenti dominanti.

Il PD può certamente consolarsi con un 5 a 2, ma che sembra essere stato realizzato a caro prezzo, con la vittoria netta di due candidati che si ritengono ancora di sinistra, Rossi ed Emiliano, con quella sofferta e condizionata da liste di dubbissima origine e composizione in Campania, con la quasi sconfitta in Umbria (che mette a nudo un sistema di potere già in crisi e che è stato artefice di proposte infrastrutturali distruttive per il cuore verde d’Italia); restano le Marche, dove il PD vince e si conferma anche per il voltafaccia inverecondo del suo ex presidente passato con gli alfaniani e per la presenza destabilizzante della Lega Nord alleata dei fascisti, che sfonda anche in Toscana.

Mentre scriviamo non si sa ancora se in Liguria scatterà il premio di maggioranza per il centrodestra, ma è chiaro (e non solo in Liguria) che per il PD – che credeva di essere ormai autosufficiente ed era pronto a trasformarsi in Partito della Nazione  –  si presenta il tema e la necessità delle alleanze dopo aver bruciato tutti i ponti a sinistra ed aver accompagnato con non poca arroganza alla porta diversi oppositori interni. Il modello potrebbe essere quello campano, ma lì c’è veramente poco di Centrosinistra, molto di Centro e parecchio di Destra e del solito, eterno ceto politico meridionale. Sembra che Renzi da rottamatore si sia trasformato in “riciclatore”, e che la promessa del nuovo abbia riesumato l’usato sicuro, ma non quello della ormai disastrata “ditta” di bersaniana memoria: quello fuoriuscito dagli scantinati della politica meridionale.

Il PD ha anche la necessità di rivedere le sue ormai tragicomiche primarie: quello che gli ha combinato – per calcolo o per fortuna – il Centrodestra in Liguria è uno scherzo clamoroso: prima frotte di elettori ed esponenti riconosciuti del Centrodestra hanno scelto la Paita, francamente la candidata più debole, meno presentabile e più politicamente spregiudicata e destrorsa, poi il Centrodestra a trazione leghista ha messo insieme una coalizione con il “moderato” Toti che l’ha battuta approfittando dell’annunciato successo del M5S e di una lista di Sinistra che ha dimostrato quanti rischi possa correre su quel lato la svolta arrogantemente moderata del PD.

Accusare la Sinistra-sinistra di aver fatto vincere la Destra è così abbastanza ridicolo, visto che ormai gran parte dell’elettorato di sinistra (molto del quale a votare non ci va neanche più) non considera più il PD un “partito di Sinistra”, cosa peraltro non così scandalosa come tentano di far credere la Serracchiani e company, visto che è ormai una bella fetta dello stesso “nuovo” elettorato del PD che non considera più il PD  di Sinistra e (nemmeno di Centrosinistra).

Per la Sinistra-sinistra queste elezioni confermano una crisi profonda che è di prospettiva, idee, comportamenti e personale politico. Ormai dovrebbe essere chiaro che non si possono fare 7 liste diverse (ma in realtà erano molte di più) con 7 strambi simboli diversi, e poi presentarsi a un mese dalle elezioni ad un elettorato confuso, con candidati spesso sconosciuti ma appoggiati dagli eterni volti che hanno portato la sinistra “radicale” a risultati infimi, mentre in Spagna e Grecia Podemos e Siryza conquistano città e governi. E’ chiaro che manca quello che invece è riuscito a costruire – nel bene e nel male – il Movimento 5 Stelle: un marchio politico riconoscibile con una politica visibile e un’opposizione netta.

La Sinistra o sarà nuova o non sarà, ma se non si parte da questa ennesima sconfitta. Se chi l’ha pervicacemente cercata e costruita in anni di politiche inefficaci e di mancato rapporto con i lavoratori e i movimenti sociali non si farà generosamente da parte, resterà solo uno sterile anti-renzismo di testimonianza che abbiamo visto fin troppo all’opera in queste elezioni e che  è esattamente quello che non deve e non può fare una Sinistra che ricomincia a parlare al suo popolo di delusi, migranti nel non voto o nel M5S.

Occorre un percorso politico comune, a cominciare da un simbolo comune che re-identifichi la Sinistra sulla scheda (non certo la falce e martello, ma “qualcosa di sinistra”, e non le cervellotiche scritte che nascondono la mancanza di progetto). Occorre che la Sinistra-sinistra la smetta di identificarsi per avversione al caudillo di turno e che chiarisca – se ce l’ha, perché i dubbi ci sono – quale sia la sua idea di alternativa, per una società più giusta, solidale e sostenibile. Se non si vuole fare semplice testimonianza si può partire anche dal 5%, altrimenti la prossima volta ne resteranno a casa e al mare molti di più.

Ma l’astensionismo pone a tutti una questione ineludibile: quale è la qualità della democrazia di un Paese nel quale, grazie a generosi premi di maggioranza, alla fine quella che governa è sempre un’infima minoranza, che in termini di elettori varia tra il 20 e il 15%. E’ possibile che in una democrazia si possa sempre (meno che in Veneto) governare contro la maggioranza degli elettori che sono andati a votare e nella totale indifferenza o repulsione di un altro 50% e più che non si è recato alle urne per disinteresse o repulsione?

E non si dica che negli altri Paesi occidentali era già così, perché significa che la nostra democrazia non solo è in crisi nera, ma non è più inclusiva, non stimola la partecipazione, il confronto di idee, che poi è quello che dovrebbe fare una democrazia. Se si tiene alla qualità della democrazia, occorrono correttivi ed idee, se invece ci si è rassegnati alla politica marketing va bene così, ma allora non ci lamentiamo se l’elettore partecipa sempre meno a stanchi saldi elettorali che vendono sempre la stessa merce con etichette diverse.

Anche questo della qualità della democrazia dovrebbe essere pane e companatico di una Sinistra vera, che però sembra aver perso i denti per poterlo masticare.