Earth overshoot day e Covid-19 evidenziano le sfide del sistema alimentare

Garantire l'accesso a una quantità sufficiente di cibo sano per tutti, in un mondo sempre più influenzato dai cambiamenti climatici e dalla scarsità di risorse, richiede un azione immediata

[22 Agosto 2020]

Il rallentamento dell’economia globale indotto dall’emergenza Covid-19 ha contribuito ad una riduzione dell’Impronta ecologica mondiale – la quale misura la domanda umana di risorse naturali e servizi ecosistemici – di quasi il 10% rispetto all’anno scorso. Di conseguenza, la Giornata del sovrasfruttamento della Terra cade quest’anno il 22 agosto (era il 29 luglio nel 2019). Entro quella data, l’umanità avrà utilizzato tante risorse naturali quante la Terra potrà produrre durante l’intero anno.

Tuttavia, questa riduzione dell’Impronta ecologica è arrivata in maniera inaspettata, determinata principalmente dalle misure che i governi nazionali hanno posto in atto per controllare la pandemia. Come tale, questa riduzione della pressione antropica non può essere confusa con il progresso verso la sostenibilità. Forzato da un disastro globale, il cambiamento che abbiamo vissuto è tutt’altro che il frutto di una transizione programmata. Al contempo, una tale riduzione dell’Impronta ecologica indica che cambiare è possibile, e sottolinea l’urgenza di agire ora per garantire un futuro in cui tutti possano prosperare nel rispetto dei limiti biofisici del nostro pianeta.

A partire dal cibo. Già oggi, circa la metà della biocapacità della Terra è occupata dalla produzione di cibo. Il modo in cui produciamo, distribuiamo e consumiamo il cibo determina circa il 70% dei prelievi di acqua dolce e causa il 37% delle emissioni globali di gas serra.

La pandemia Covid-19 ha messo in evidenza le fragilità del sistema alimentare globale, portando alla chiusura delle frontiere ed all’interruzione delle catene di approvvigionamento alimentare, aggravando così la malnutrizione e aumentando la perdita di cibo e lo spreco alimentare. Dalla fattoria alla forchetta allo smaltimento, è necessaria una radicale riprogettazione dei nostri sistemi alimentari per affrontare contemporaneamente i problemi del cambiamento climatico, della denutrizione e dell’obesità.

Il sistema alimentare esistente è estremamente energivoro: in media, utilizziamo 5,7 calorie di combustibile fossile per fornire una caloria di latticini o di carne (escludendo la cottura). Per il pane o per i cereali, usiamo circa 1 caloria. Inoltre, molti prodotti agricoli e mangimi per il bestiame viaggiano spesso per lunghe distanze prima di raggiungere i consumatori, poiché meno di un terzo della popolazione mondiale soddisfa la propria domanda di prodotti agricoli entro un raggio di 100 km.

Negli ultimi sei decenni, la crescente meccanizzazione delle pratiche agricole e la rivoluzione verde hanno permesso di tenere il passo con i fabbisogni alimentari di una popolazione in crescita, compromettendo però gli ecosistemi naturali andando ad incidere sulla crescita delle rese agricole: a fronte di un tasso di crescita annuale dell’1,7% nel periodo 1961-2007, si prevede che le rese delle principali colture agricole aumenteranno di appena lo 0,8% all’anno nel periodo 2007-2050. Nel frattempo, il valore nutritivo del cibo è diminuito: alimenti ricchi di calorie ma privi di apporto nutrizionale sono diventati il cibo più economico e più facilmente disponibile, alimentando così l’obesità e altre malattie non trasmissibili.

Le lunghe filiere che danno forma al sistema alimentare globale sono però piene di vulnerabilità. L’innalzamento del livello del mare indotto dal clima e l’aumento della temperatura in Vietnam – il secondo esportatore mondiale di riso – ad esempio, hanno portato a cattive stagioni di raccolto le quali hanno determinato a loro volta una riduzione della disponibilità di riso in molti paesi. Le restrizioni di viaggio per i lavoratori agricoli, spesso migranti, durante il periodo del raccolto possono far marcire i prodotti agricoli, come si è visto di recente nel Regno Unito e in Italia, con un impatto fortemente negativo sull’economia locale e sull’approvvigionamento alimentare. Nel rapporto tra partners di mercato, la dipendenza dalle risorse di altre nazioni diventa particolarmente problematica quando è aggravata da scambi commerciali compromessi o dalla chiusura delle frontiere – come nel caso di Covid-19 – che aumenta l’esposizione delle nazioni agli shock alimentari.

Il cibo plasma il nostro futuro. È un atto politico, come sostiene Wendell Berry. Come cittadini e consumatori, ogni pasto ci dà l’opportunità di plasmare sistemi alimentari resilienti: acquistare direttamente dagli agricoltori accorcia la catena di approvvigionamento a un solo grado di separazione tra produttore e consumatore, sostenendo la resilienza economica dei centri alimentari locali; la scelta di alimenti prodotti localmente e attraverso pratiche rigenerative (come quelle agroecologiche) contribuisce a decarbonizzare il sistema alimentare, migliorando al contempo gli ecosistemi naturali da cui dipendiamo; il consumo di alimenti prevalentemente non trasformati e di natura vegetale favorisce il ciclo a basso contenuto di carbonio e salutare tra l’uomo e la Terra.

Garantire che diete sane e sostenibili siano accessibili a tutti è possibile, anche se ciò richiederà secondo la Fao una qualche combinazione di reddito più elevato, assistenza nutrizionale e prezzi più bassi per circa 3 miliardi di persone. Infine, ma non meno importante, prevenire lo spreco di cibo è essenziale per ridurre la nostra impronta alimentare dato che dal campo alla cucina, più di un terzo del cibo viene perso o sprecato.

I governi sono ben consapevoli del fatto che, ad essere in gioco, sono sia la resilienza alimentare nazionale che la salute pubblica. L’Ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della sanità sta lavorando sulle linee guida nutrizionali per la salute e la sostenibilità per fornire alle nazioni le migliori pratiche per un solido processo decisionale. Grazie all’impegno dell’ex direttore generale della Fao José Grazianoda Silva, la lotta allo spreco alimentare è diventata prioritaria per molti governi: nel febbraio 2016, la Francia ha emanato la Legge Garot, volta a dimezzare lo spreco alimentare nazionale dirottando 5 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari dalle discariche entro il 2025. Non a caso la Francia mantiene la prima posizione del Food sustainability index del Barilla center for food and nutrition. L’Italia ha seguito l’esempio della Francia con una legge simile nell’agosto 2016. E l’Unione Europea ha recentemente emanato la strategia “Farm to Fork” per costruire un sistema alimentare resiliente, equo e sano che diventi lo standard globale di sostenibilità.

Dal punto di vista della produzione alimentare, il percorso verso la resilienza è stato accuratamente tracciato dall’International assessment of agricultural knowledge, science and technology for development (Iaastd). I 58 Paesi firmatari di questo studio hanno concordato con più di 400 scienziati mondiali che “Business as usual is not an option” e che l’agricoltura deve essere svincolata dal petrolio, mentre un aumento sostenibile dei rendimenti agricoli può essere trovato nelle pratiche agroecologiche, con la produzione agricola resa resiliente attraverso un fitto tessuto di piccolo aziende familiari. Sfortunatamente, e nonostante la difesa dell’agroecologia da parte di Olivier De Schutter, ex relatore speciale delle Nazioni unite sul diritto al cibo, solo un paio di Paesi hanno aggiornato le loro politiche agricole con mandati a favore di pratiche agroecologiche.

Mentre Covid-19 sta condizionando le comunità di tutto il mondo, la consapevolezza che l’accesso al cibo sano non può essere dato per scontato sta emergendo come una lezione essenziale. L’Earth overshoot day ribadisce il punto: possiamo spostare la data della Giornata del sovrasfruttamento della Terra di 32 giorni migliorando la resilienza e la sostenibilità del sistema alimentare. Il percorso è in bella vista: un sistema alimentare decarbonizzato, rigenerativo, a filiera corta, senza sprechi e basato sulla stagionalità, che permette di riempire i nostri piatti con cibi sani, coltivati in modo sostenibile, principalmente di origine vegetale e gustosi.

Ci vogliono senza dubbio politiche sagge. Ma nonostante ciò, uno degli strumenti più potenti per questa trasformazione può essere la forchetta che teniamo quotidianamente tra le nostre mani.

di Marta Antonelli, Alessandro Galli, Laetitia Mailhes e Mathis Wackernagel

Marta Antonelli è il responsabile della ricerca del Barilla center for food & nutrition. Alessandro Galli è il direttore del Programma mediterraneo-Mena del Global footprint network. Laetitia Mailhes è il direttore delle Iniziative speciali del Global footprint network. Mathis Wackernagel è co-creatore dell’Impronta ecologica e presidente e co-fondatore del Global footprint network