Da WeAll un policy paper con cinque punti-chiave e un cambio paradigma

Oltre il Pil, l’economia del benessere per superare l’era delle pandemie

Il nesso salute-ambiente è alla base non solo della salute planetaria, ma anche di quella economica

[24 Maggio 2021]

Con le vaccinazioni contro Covid-19 che finalmente avanzano, sebbene ancora al rilento, pian piano si sta facendo largo l’idea di tornare a breve alla normalità del pre-pandemia. Come mostra però plasticamente il Global health summit che si è appena concluso a Roma, proprio quella normalità era ed è il problema da superare – e in ogni caso non vi torneremo più.

La scelta è tra restare invischiati mani e piedi in quella che gli scienziati del Global health summit scientific expert panel chiamano ‘age of pandemics’, ovvero in un’era di pandemie, oppure prepararsi nell’unico modo possibile: «Per ridurre il rischio di future pandemie dobbiamo affrontare il legame tra crisi sanitarie, povertà, disuguaglianze strutturali e degrado ambientale – spiega Silvio Brusaferro, co-presidente del panel e presidente dell’Istituto superiore di sanità – La frequenza e la natura delle prossime pandemie dipendono fortemente dalla nostra capacità di adottare stili di vita sostenibili».

Più facile a dirsi che a farsi, ma una rotta da seguire almeno c’è: quella che l’Alleanza per l’economia del benessere (WeAll) ha delineato in un policy paper che si snoda tra cinque punti-chiave e un cambio paradigma.

Secondo l’Alleanza il mondo si sforza di affrontare le crisi ambientali e sanitarie globali, ma gran parte della nostra incapacità di rispondere efficacemente a entrambe le sfide deriva dai costi percepiti che tali azioni avrebbero sull’economia. Ma il paradosso è che, in definitiva, l’economia siamo noi: una trama costituta dalle nostre interazioni reciproche e da quelle che intessiamo con l’ambiente naturale. È solo grazie a quest’insieme di relazioni che riusciamo a produrre e distribuire le cose di cui abbiamo bisogno per una società sana e felice. Senza un ambiente sano e una società sana, dunque, non può esserci neanche un’economia sana.

Per questo WeAll propone – attingendo a numerosi esempi tratti da tutto il mondo – di lasciarci alle spalle l’approccio costi-benefici, che assegna a ogni aspetto della vita un valore monetario, e riconoscere che vi è bisogno di un nuovo approccio basato su co-benefici, che riconosca il valore intrinseco della nostra salute e di quella del pianeta come fondamenta di tutte le attività economiche.

In definitiva, significa inquadrare le politiche per uno sviluppo sostenibile in un’ottica win-win. Si pensi ad esempio alla crisi climatica in corso: adeguate politiche in risposta non soddisfano “solo” la necessità di mantenere in salute in pianeta, ma solo una condizione di base per migliorare anche la salute umana. Per arrivare a questa prospettiva basta riconoscere l’ovvio: al centro della salute planetaria c’è il nesso salute-ambiente.

Da qui le cinque priorità individuate nel policy paper: dare priorità al sistema sanitario, sia del punto di vista della prevenzione che della mitigazione; ripensare la produzione alimentare e il suo consumo; sviluppare sistemi energetici che promuovano il benessere; investire nella cooperazione sociale; puntare sull’eduzione e sulla formazione scolastica come architrave del benessere collettivo.

Il Global health summit può rappresentare la pietra miliare dalla quale ripartire per soddisfare il primo punto messo in evidenza dal policy paper, ma è chiaro che la strada da fare resti lunghissima. Anche per gli altri quattro punti.

Ad oggi infatti i sistemi alimentari prevalenti sono i maggiori fattori di superamento dei limiti planetari ecologici e sociali, nonché tra i principali responsabili dei gravissimi squilibri sanitari che coinvolgono la maggior parte delle persone nel mondo. La produzione di energia rappresenta invece il primo fattore di pressione sul clima, e al contempo – in particolare quella per il riscaldamento residenziale e commerciale – è tra i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico che miete in Europa oltre 400mila vittime l’anno.

La cooperazione sociale è invece minata alla base da crescenti disuguaglianze economiche – in termini sia di reddito, sia di ricchezza, sia intergenerazionali – mentre, per quanto riguarda l’educazione, basti notare che l’analfabetismo funzionale è forse la più grande emergenza d’Italia: più nel dettaglio il 70% dei residenti non ha il bagaglio culturale minimo “per svolgere in modo adeguato i compiti dell’età adulta”, e secondo l’indagine internazionale Ocse-Piaac in Italia le persone con competenze bassissime sono il 27,9%. Dato che nessuno fa peggio tra i Paesi osservati, non resta che guardare il bicchiere mezzo pieno: i margini di miglioramento sono incredibili, basterebbe sostenerli con politiche ed investimenti adeguati.

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