Pil e occupazione, l’Italia galleggia sull’alta marea

Le rilevazioni dell’Istat si trasformano in propaganda: pro e contro. Ma la rotta qual è?

[2 Settembre 2015]

L’alta marea finisce col sollevare tutte le barche, ma se gli yacht non fanno che navigare meglio le imbarcazioni più piccole potrebbero anche finire alla deriva. E purtroppo per l’Italia, nonostante la martellante propaganda del governo Renzi sui dati del lavoro, le acque della Penisola sono ancora punteggiate da un innumerevole quantità di gusci noce in balia della corrente.

Le rilevazioni trimestrali dell’Istat sull’occupazione mostrano che «nel secondo trimestre 2015 – ininterrotta da cinque trimestri – continua la crescita degli occupati, stimata a +180 mila unità (0,8% in un anno). L’incremento dell’occupazione interessa sia gli stranieri (+50 mila unità) sia, soprattutto, gli italiani (+130 mila unità). Dopo quattordici trimestri di crescita e il calo nel primo trimestre del 2015, nel secondo trimestre il tasso di disoccupazione si attesta al 12,1% (-0,1 punti su base annua)».

Numeri, quelli diffusi dall’Istituto nazionale di statistica, che per una volta sono congeniali alla comunicazione dell’esecutivo. Cresce il Pil, crescono gli occupati, meno disoccupazione. Le riforme servono – ha twittato subitaneamente il premier Matteo Renzi – Ci sono 235mila posti di lavoro in più tra luglio 14 e luglio 15. Grazie al Jobs Act. Ma io voglio fare ancora di più».

Poco importa che questi posti di lavoro siano pressoché esclusivamente circoscritti alla fascia d’età degli ultracinquantenni (+5,8%), cui si contrappone un calo degli occupati 15-34enni e 35-49enni (-2,2% e -1,1%, rispettivamente), con una probabilità che questo trend sia da attribuire al Jobs Act davvero infima. Idem per i numeri che mostrano come a crescere siano ancora part-time (+1%), i contratti a tempo determinato (+3,3%) più di quelli a tempo indeterminato (+0,7%). Non interessa neanche che osservando i dati destagionalizzati, la disoccupazione nel secondo semestre 2015 invece che diminuita sia aumentata dello 0,1% (ora al 12,4%), e quella giovanile dello 0,3% (al 42,2%). Figurarsi per l’analisi dell’andamento del Pil, che è aumentato  è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, una performance in linea con il resto dell’eurozona. L’alta marea alza tutte le barche, e questo per i noti fattori esogeni: l’euro debole, il sostegno della Bce e i prezzi del petrolio ai minimi.

È dunque nell’ordine delle cose che l’esecutivo rivendichi come suoi successi i numeri (parzialmente) positivi su Pil e occupazione, come lo è che quegli organi d’informazione attaccati al proprio ruolo di cani da guardia del potere – oggi tra i migliori esempi spiccano Marta Fana su Il Manifesto e Francesco Seghezzi su Formiche – filtrino i numeri dell’Istat, rileggendone il messaggio.

Le variazioni nel mercato del lavoro, testimonianze di una ripresa quanto mai flebile, sono tanto ridotte (180mila occupati in più su un bacino di inattivi che sfiora i 14 milioni di persone) da essere facilmente ribaltabile a seconda del punto di vista dal quale si osservano. Ma questo gioco della politica-marketing non rende un buon servizio al Paese: né dal punto di vista di una corretta informazione, né da quello delle prospettive di sviluppo.

Ne è l’ennesima testimonianza l’annuncio gridato oggi dal premier Renzi: «Il 16 dicembre ci sarà il funerale delle tasse sulla casa». Intervistato da RTL 102.5, il presidente del Consiglio ha rafforzato l’intenzione di abolire Imu e Tasi, promettendo che le rate di fine anno saranno le ultime. Una risposta all’Europa, che dal canto suo continua a chiedere l’opposto, ovvero che le tasse diminuiscano su lavoro e capitale, per aumentare su patrimoni e consumi. In questa logica rientrano anche le cosiddette tasse verdi, che penalizzano il consumo di risorse naturali per consentire a un’economia più sostenibile di crescere. Tutto ciò continua ad essere completamente estraneo alla logica di governo: si esaltano i dati economici quando sono positivi, si minimizzano quando negativi. Questo è dunque il momento di godere dell’alta marea. Il dibattito sul dove indirizzare la barca – ovvero, auspicabilmente, verso lidi più sostenibili – pare troppo lungo e defatigante per diventare oggetto d’interesse politico.