Quantitative easing, quello di Draghi è un bazooka per pochi

Per l'Italia vale fino a 150 miliardi di euro, ma i 305 già arrivati dal 2011 al 2014 non sono bastati per uscire dalla crisi

[9 Marzo 2015]

Con l’avvio del quantitative easing della Bce, il bazooka di Draghi ha sparato stamattina il suo colpo definitivo. È il primo di un’impressionante raffica che prevede iniezioni di liquidità pari a circa 60 miliardi di euro al mese, e che dovrebbe vedere la sua fine non prima del settembre 2016. O almeno finché il livello dell’inflazione europea non sarà tornato attorno all’obiettivo del 2%, oggi molto lontano.

L’enorme liquidità generata dalla Bce servirà ad acquistare titoli di Stato (sul mercato secondario) e non solo, ma l’attenzione è tutta concentrata sulla prima categoria di titoli. Saranno le banche centrali nazionali a portare (auspicalmente) in porto questi acquisti, e sempre su di esse – e non sul bilancio Bce – ricadranno i rischi di potenziali default. Uno scenario al momento lontano, ma certo non trascurabile.

Le aspettative sul quantitative easing, nel giorno di lancio, sono però tutte concentrate sul breve-medio periodo, unite dal filo rosso di un’unica domanda: servirà a rilanciare la crescita in Europa? «L’unica funzione delle previsioni economiche è quella di far apparire rispettabile l’astrologia», soleva dire J. K. Galbraith, e la sua battuta è particolarmente valida in quest’occasione.

Le borse europee hanno al momento risposto tiepidamente all’allentamento quantitativo della Bce, ma l’indice Sentix, che fotografa il morale degli investitori e degli analisti della zona euro – riporta la Reuters – è salito a quota 18,6 a marzo, il massimo da agosto 2007, dal 12,4 del mese precedente». Quel che è certo è che la Fed americana sta portando avanti il suo Qe ormai da 8 anni, la Banca centrale del Giappone da 2, ed è ancora troppo presto per sbilanciarsi sull’esito finale della strategia imboccata oggi da Mario Draghi e la Banca centrale europea.

Chi c’ha provato con un focus sul nostro Paese, come la Cgia di Mestre, sottolinea che da qui al 2016 dei mille e passa miliardi di euro coi quali la Bce inonderà l’Europa, all’Italia potrà toccare una fetta compresa tra i 130 e i 150 miliardi di euro, ma che in ogni caso la sola contrazione dei prestiti negli ultimi 3 anni ha comportato per il Paese una riduzione nell’erogazione del credito «pari a 110 miliardi di euro».

Tra il 2011 e la fine del 2014, sottolinea la Cgia, le operazioni di rifinanziamento a lungo termine lanciate dalla Bce (tramite i programmi LTRO 1 e seguenti) hanno tra l’altro già «consentito al nostro Paese di ricevere 305 miliardi di prestiti (pari al 25% del totale erogato nell’area dell’euro)», ma non per questo l’Italia si è lasciata alle spalle la crisi economica, anzi. All’interno dei vincoli di mandato attualmente imposti alla Banca centrale europea, Mario Draghi si è mosso in modo intelligente, ma da solo non può ricoprire il ruolo di deus ex machina.

Tocca adesso alla politica europea, se ne ha la forza, riuscire a indirizzare l’onda lunga del quantitative easing, che se lasciata a sé stessa potrebbe finire per ingrossare soltanto le tasche di chi già naviga nell’oro. Tramite l’ottica romanzata dei suoi Diavoli, Guido Maria Brera – uno degli investitori italiani di maggior peso, con la sua società Kairos – descrive in modo incisivo il quantitative easing europeo come «una nevicata di cartamoneta che si poserà in modo disomogeneo. Chi ha già, avrà di più. Chi ha poco, avrà sempre meno. L’inganno d’ogni iniezione di liquidità, che aumenta a dismisura la leva finanziaria di quelli che possiedono, incidendo all’inverso su coloro che sono lontani dalla fonte miracolosa, dalla printing machine».

E l’Italia di questi cittadini ai margini è sempre più piena. Secondo l’ultimo rapporto Oxfam in merito, «oggi l’1% delle persone più ricche detiene più di quanto posseduto dal 60% della popolazione (36,6 milioni di persone); mentre dal 2008 a oggi, gli italiani che versano in povertà assoluta sono quasi raddoppiati fino ad arrivare a oltre 6 milioni, rappresentando quasi il 10% dell’intera popolazione». Una contingenza drammatica sulla quale il Qe di Draghi, lasciato libero di operare sui mercati, inciderà poco o niente. Come non riuscirà a modificare il trend degli investimenti, dirigendoli verso lidi più sostenibili. Si tratta di due facce della stessa medaglia: «A mano a mano che un sistema di avvicina ai suoi limiti ecologici – era possibile leggere nel Rapporto Brundtland già nel 1987 – le ineguaglianze non fanno che aumentare». E senza la volontà politica di incidere sul corso degli eventi, le possibilità che il quantitative easing riesca a cambiare volto all’Europa sono davvero ridotte al lumicino.