Quanto è sostenibile un Governo Draghi?

L’ennesimo fallimento della politica lascia di nuovo campo ai tecnici, che sono chiamati però a fare scelte per definizione non-neutrali

[3 Febbraio 2021]

La crisi di governo innescata da Matteo Renzi si è definitivamente consumata, e l’esito – almeno per il momento – è la convocazione al Quirinale di Mario Draghi con la prospettiva di un esecutivo tecnico: per definizione il fallimento della politica, a prescindere dalla competenza o meno dei sostituti.

Competenza peraltro elevata, nel caso in questione. Mario Draghi vanta una carriera professionale d’eccellenza culminata con la presidenza della Banca centrale europea e quell’ormai celeberrimo whatever it takes che, con le politiche monetarie conseguenti, salvò l’euro e la tenuta economica del Vecchio continente. Difficile immaginare un profilo italiano più rispettato nei consessi internazionali che contano, ma di per sé questo non basta a spianare la strada ad un Governo Draghi – e soprattutto al suo eventuale successo.

Per arrivare a formare un esecutivo – che potrebbe somigliare molto a quello dei “migliori” invocato da un redivivo Silvio Berlusconi –, l’ex presidente della Bce dovrà prima ottenere una fiducia in Parlamento, cosa che attualmente non appare scontata visti gli equilibri precari che attraversano le forze politiche.

Se lo scoglio verrà superato, arriverà l’ingrato compito di governare un’Italia in piena crisi economica (-8,8% del Pil nel 2020), dilaniata da disuguaglianze sociali crescenti e con sfide immani da affrontare sotto il profilo ambientale.

Apparentemente, la consapevolezza del momento storico che abbiamo tutti di fronte sembra pressoché unanime: «Non ci può essere un ritorno al business as usual, e nessuna pressione economica dovrebbe costringerci a compromettere la salute delle persone e quella del nostro pianeta», ha dichiarato stamani il commissario europeo all’Ambiente Virginijus Sinkevičius. E come aggiungono oggi leader globali della caratura di Antonio Guterres, Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Angela Merkel, Charles e Michel Macky Sall, «l’emergenza riguarda anche l’ambiente […] La pandemia ha causato la peggiore crisi economica globale dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il ritorno a un’economia globale forte e stabile è una priorità assoluta. Di fatto, l’attuale crisi sta minacciando di annullare i progressi realizzati nell’arco di due decenni per combattere la povertà e la disparità di genere. Le disuguaglianze stanno mettendo in pericolo le nostre democrazie minando la coesione sociale».

Sul punto economico e quello ambientale, le posizioni espresse da Draghi all’ultimo meeting di Rimini sembrano coerenti con questa lettura: «La protezione dell’ambiente – ha sottolineato – è considerata dal 75% delle persone nei 16 maggiori Paesi al primo posto nella risposta dei governi a quello che è il più grande disastro sanitario dei nostri tempi».

Probabilmente, quindi, il “governo dei tecnici” di Draghi sosterrà alla Conferenza delle parti Unfccc di Glasgow tutte le politiche climatiche ed energetiche dell’Ue e andrà alla Conferenza delle parti della Convention on biological diversity in Cina a difendere l’obiettivo del 30% di aree terrestri e marine protette. Ma, come dimostrano la storia e la cronaca dei nostri governi, l’Italia poi fatica molto ad attuare gli impegni presi in campo ambientale.

Per quanto riguarda invece l’indispensabile attenzione che dovrà essere dedicata (anche) alla sostenibilità sociale, che insieme a quella ambientale e a quella economica costituisce l’imprescindibile perno di ogni politica di sviluppo sostenibile, lo spettro dell’ultimo Governo tecnico italiano – quello guidato dall’autorevole Mario Monti – strozza gli entusiasmi sul nascere.

Vero è che c’è una differenza sostanziale tra il Governo Monti e il possibile Governo Draghi: il primo nacque sotto il segno dell’austerity, mentre il secondo avrebbe come principale compito quello di spendere (bene) oltre 200 miliardi di euro di risorse europee per il post-Covid.

Come andranno le cose è impossibile immaginarlo adesso, ma di sicuro le prossime elezioni si terranno sulle macerie di una politica che era già terremotata, e che ieri ha perso l’ennesima occasione per tessere almeno un filo di fiducia con l’elettorato. Non la premessa migliore per costruire uno sviluppo sostenibile a lungo termine.