Rivoluzione rimandata al ministero dell’Ambiente, nel nuovo Governo rimane Sergio Costa

Non basta punire per tutelare, occorre creare occasioni di sviluppo in grado di convogliare le energie di cittadini e imprese nella strada verso la sostenibilità

[4 Settembre 2019]

Durante l’incontro con il presidente Mattarella concluso pochi minuti fa Giuseppe Conte ha sciolto la propria riserva: i componenti del nuovo Governo sostenuto da M5S, Pd e Leu (Articolo 1- Mdp) giureranno domattina al Quirinale, una squadra quasi del tutto rinnovata che è stata appena presentata dopo giorni di estenuanti trattative. Gli unici ministri che rimarranno al proprio posto sono Alfonso Bonafede (Giustizia) e Sergio Costa: rivoluzione rimandata al ministero dell’Ambiente, dunque.

Nelle ultime ore si era rincorsa con sempre maggior insistenza l’ipotesi di affidare la guida del dicastero a Rossella Muroni, ex presidente di Legambiente oggi apprezzata deputata Leu, ma le “prudenze” politiche hanno ancora una volta prevalso e per Liberi e uguali resta fuori l’area della sinistra rosso-verde ed è il già dirigente Pd Roberto Speranza il nuovo ministro, che andrà alla Salute (qui la lista completa dei ministri: http://bit.ly/2k2iynt). Senza nulla togliere a Speranza, il Pd e il M5S hanno davvero perso l’occasione di dare un segnale di rinnovamento e di aprire alle istanze ambientaliste più serie e moderne.

La speranza è che la discontinuità al ministero dell’Ambiente possa essere, se non nei nomi, nei contenuti. Dopo 14 mesi al Governo, il generale di brigata dei Carabinieri ed ex comandante regionale in Campania della Forestale Sergio Costa ha confermato in pieno le prime impressioni che accompagnarono il suo arrivo in politica, allora sintetizzate con efficacia dal decano dell’ambientalismo italiano Ermete Realacci: «Una persona estremamente competente, preparata nella lotta ai crimini ambientali, sulla Terra dei Fuochi. La sua materia la conosce fin troppo bene. Ma è proprio questo il problema. Fare il ministro dell’Ambiente vuol dire avere competenze a 360 gradi, è difficile pensare di affidare a un generale lo sviluppo della green economy. La lotta ai reati, alle ecomafie (e a dirlo è il primo firmatario della legge sugli Ecoreati, ndr), non può riassumere l’intera politica ambientale. La mia perplessità è proprio questa. Si rischia di restringere troppo il campo».

E così è stato. Per averne conferma oggettiva è sufficiente scorrere l’archivio news del ministero, dove la cronaca degli interventi dei Carabinieri Noe la fa ormai da padrona; lo stesso vale per le nomine di presidenti, commissari e direttori dei Parchi nazionali, dove abbondano uomini in divisa. Il loro è un lavoro quotidiano e prezioso, ma appunto ci sono già i Carabinieri a farlo. Da un ministro dell’Ambiente ci si aspetta qualcosa di più: non basta punire per tutelare, occorre creare occasioni di sviluppo in grado di convogliare le energie di cittadini e imprese nella strada verso la sostenibilità, mettendo in campo una politica industriale che sappia essere pragmatica oltre che ambiziosa.

Un esempio pratico? Economia circolare non è dichiarare il ministero dell’Ambiente #plasticfree togliendo le bottiglie di plastica dagli uffici o sostituendo «nei distributori di bevande calde dei bicchieri di plastica con quelli di carta, e delle paline di plastica per girare il caffè con quelle di legno», perché «ognuno deve fare la propria parte». La “parte” del ministero dell’Ambiente sarebbe ad esempio quella di approvare la normativa End of waste necessaria per trasformare i rifiuti in nuovi prodotti, ma in 14 mesi Costa ha approvato solo il decreto per il recupero dei pannolini a maggio 2019, mentre altri 16 attendono da anni nonostante le vigorose proteste delle imprese di settore, che sono arrivate a presagire una «sempre più vicina devastante crisi del sistema rifiuti in Italia».

Ecco, per dare gambe al progetto di quel Green new deal che – almeno in teoria – dovrebbe rappresentare la spina dorsale del nuovo Governo giallorosso potremmo ripartire da qui.