La siccità è arrivata nel Delta del Po, mentre in Sicilia mancano già 70 milioni di metri cubi d’acqua

Dall’Anbi un Piano nazionale per la manutenzione straordinaria e l’infrastrutturazione di opere idriche: investimenti da 11 miliardi di euro in grado di garantire circa 54.700 posti di lavoro

[14 Luglio 2020]

Nonostante l’estate sia ancora lunga, la siccità è già tornata a colpire l’Italia a macchia di leopardo, da nord a (soprattutto) sud. Come documenta l’ultimo osservatorio Anbi sulle risorse idriche, pubblicato oggi, in Puglia e Basilicata le scorte idriche nei bacini sono in costante diminuzione: indicativamente stanno calando di un milione e mezzo di metri cubi al giorno, segnando un deficit, rispetto al 2019, di oltre 60 milioni in Lucania e di oltre 70 milioni nella regione del Tavoliere. Crescente rischio desertificazione anche in Sicilia, i cui bacini contengono circa 70 milioni di metri cubi d’acqua in meno rispetto all’anno scorso. Ma i problemi non si fermano certo al sud.

«Le criticità più evidenti – indica Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale dei Consorzi di bonifica – si evidenziano nelle zone non beneficiate da recenti piogge, né dall’apporto irriguo del canale C.E.R. come alcune zone della provincia di Bologna, della Romagna e del Delta Po, ormai sulla soglia della siccità».

Nel Nord Italia, a fungere da calmiere, sono solo i grandi laghi, i cui livelli sono tutti in discesa e solo il Garda rimane superiore alla media del periodo. Nel Centro Italia, nonostante le cospicue piogge di giugno sull’Umbria (117 millimetri), il livello della diga Maroggia (3,90 milioni di metri cubi su una capacità di Mmc 5,80) resta inferiore a quello dei due anni precedenti. Analogo è il trend degli invasi marchigiani (attualmente trattengono circa 46 milioni di metri cubi su una capacità di oltre 65 milioni) ed anche del bacino del Bilancino, in Toscana, dove giugno è risultato più piovoso della media, soprattutto su Massa, Pisa e Livorno con precipitazioni addirittura raddoppiate (sul grossetano e sul fiorentino, però, è piovuto meno del solito). In Sardegna, infine, i bacini segnano un confortante 77,68% della capienza, ma era 80,27% un anno fa.

«A preoccupare – aggiunge Massimo Gargano, direttore generale di Anbi – sono soprattutto le repentine escursioni di portata, conseguenza della crescente sete dei territori e dell’estremizzazione degli eventi atmosferici con fenomeni più violenti, ma concentrati nel tempo e nello spazio. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, presentato da Anbi pochi giorni fa, è una risposta all’esigenza di incrementare la resilienza dei territori».

In realtà, formalmente il documento è intitolato Piano nazionale per la manutenzione straordinaria e l’infrastrutturazione di opere per la difesa idrogeologica e la raccolta delle acque, anche perché la pubblicazione del vero e proprio Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici spetta al Governo, che lo tiene però chiuso in un cassetto sotto forma di bozza ormai da tre anni. Ciò naturalmente nulla toglie all’importanza della proposta avanzata dall’Anbi.

Come documentano dai Consorzi di bonifica l’ammontare complessivo dell’investimento previsto dal Piano ammonta infatti a quasi 10.946 milioni di euro, in grado di garantire circa 54.700 posti di lavoro.

La gran parte del Piano è dedicato alle Opere di manutenzione straordinaria per la difesa idrogeologica: sono 3.658 per un investimento di oltre 8.400 milioni di euro ed un’occupazione stimata in circa 42.000 unità. Il maggior numero di progetti (2015) interessa il Nord (Piemonte Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna), seguito dal Centro (1.224) e dal Sud (419).

Il Sud Italia (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia) è però primo nella poco invidiabile classifica dei bacini da completare: sono 42, capaci di contenere 103.862.280 metri cubi d’acqua; per ultimarli servono oltre 565 milioni di euro con un’occupazione stimata in 2.826 unità. In tutto, le opere incomplete sono 66 (19 in Centro Italia e 5 al Nord), abbisognano di un investimento complessivo pari a circa 800 milioni di euro, con cui si garantiranno 4.000 posti di lavoro.