Aiutiamoli a casa loro: come è stata rubata la terra agli africani per consegnarla alle multinazionali

La sporca eredità di un progetto di “sviluppo” della Banca Mondiale per garantire che le piantagioni africane finissero nelle mani dei miliardari europei

[23 Novembre 2020]

Perché i governi postcoloniali africani non hanno smantellato il modello sfruttatore ed estrattivo delle piantagioni coloniali e reso le terre ai loro popoli e incoraggiato una rinascita dei sistemi alimentari e agricoli locali diversificati dell’’Africa? Come spiega l’articolo del WRM Bulletin che pubblichiamo, un pezzo importante per risolvere il puzzle di questo mistero si trova negli archivi della Banca Mondiale.

 

Nell’ottobre 2020, un gruppo di 79 kenioti ha intentato una causa in un tribunale del Regno Unito contro una delle più grandi compagnie  di piantagioni del mondo, Camelia Plc. Affermano che l’impresa sia responsabile delle uccisioni, degli stupri e di altri abusi che i suoi agenti di sicurezza hanno commesso per anni ontro gli abitanti dei villaggi locali nella sua piantagione di 20.000 ettari, che produce avocado per i supermercati europei.

Tali abusi sono purtroppo moneta corrente nelle piantagioni industriali africane. E’ stato così fin da quando gli europei hanno introdotto le piantagioni di monocolture in Africa nei primi anni del XX secolo, utilizzando il lavoro forzato e la violenza per rubare le terre delle popolazioni. Le piantagioni di Camelia si inscrivono in questa continuità e  gli abusi subiti oggi dagli abitanti dei villaggi kenioti non sono così diversi da quelli subiti dalle generazioni v che li hanno preceduti.

Gli abusi e le ingiustizie sono alla base del modello della piantagione. La domanda che bisognerebbe porsi è perché delle piantagioni coloniali di questo tipo esistono ancora oggi in Africa?  Perché i governi postcoloniali dell’Africa non hanno smantellato questo modello di sfruttamento ed estrazione, restituito le terre alla loro gente e incoraggiato una rinascita dei sistemi alimentari e agricoli locali diversificati dell’Africa?

Un pezzo importante di questo puzzle si trova negli archivi della Banca Mondiale.
L’anno scorso, un’alleanza di organizzazioni africane, in collaborazione con GRAIN e WRM (World Rainforest Movement, ndt), ha realizzato un database  sulle piantagioni industriali di palma da olio in Africa. Grazie a questa ricerca, abbiamo scoperto che molte delle piantagioni di palma da olio, così come le piantagioni di gomma, attualmente in attività nell’Africa occidentale e centrale, sono state avviate o ripristinate attraverso progetti coordinati della Banca Mondiale attuati nella regione negli anni ’70 e ’80. L’obiettivo apparente di questi progetti era quello di sviluppare delle piantagioni di proprietà statale che potessero stimolare lo “sviluppo nazionale”. La Banca Mondiale ha non solo accordato degli ingenti prestiti ai governi partecipanti, ma ha anche fornito i consulenti che hanno elaborato i progetti nazionali di piantagioni e supervisionato la gestione di queste piantagioni.

In ciascun caso che abbiamo esaminato, abbiamo scoperto che i consulenti assunti dalla Banca Mondiale per questi progetti provenivano da una società chiamata SOCFINCO, filiale della Société Financière des Caoutchoucs (SOCFIN), una holding lussemburghese. La SOCFIN era una delle società di piantagioni di primo piano durante il periodo coloniale, con attività che si estendevano dal Congo fino al sud-est asiatico. Quando le potenze coloniali dovettero fare i bagagli negli anni ’60, la SOCFIN perse molte delle sue piantagioni, e fu allora che creò la sua filiale di consulenza, SOCFINCO.

Secondo i documenti che abbiamo ottenuto negli archivi della Banca mondiale, SOCFINCO è stata ingaggiata dalla Banca per supervisionare lo sviluppo e l’attuazione di progetti di piantagioni di palma da olio e gomma in diversi Paesi africani, tra i quali Camerun, Costa d’Avorio, Gabon, Guinea, Nigeria e São Tomé e Príncipe. SOCFINCO ha supervisionato l’elaborazione dei piani per programmi nazionali di piantagioni di palma da olio e gomma, ha aiutato a identificare le terre da convertire in piantagioni industriali, ed è stata pagata per gestire le piantagioni e, in alcuni casi, organizzare le vendite della gomma e dell’olio di palma da parte dello società di piantagioni pubbliche create nel quadro del programma.

Attraverso questi progetti, la SOCFIN ha ricevuto dei lucrosi onorari di gestione ma, soprattutto, i progetti hanno posizionato l’azienda in modo da poter prendere sia il controllo del commercio delle esportazioni di prodotti agricoli provenienti dall’Africa, sia, alla fine, anche per riprendere il controllo delle piantagioni. Per SOCFIN è stato un colpo formidabile. Dato che i progetti della Banca Mondiale erano gestiti attraverso società parastatali (vale a dire delle società detenute o controllate in tutto o in parte dal governo), le comunità locali potevano essere espropriate dalle loro terre in nome dello “sviluppo nazionale”, cosa che sarebbe stato molto più difficile per un’impresa straniera come SOCFIN. In effetti, una condizione per i prestiti della Banca mondiale era che i governi ottenessero delle terre per i progetti, cosa resa più facile dal fatto che la maggior parte dei progetti venivano attuati da regimi militari.

I progetti della Banca Mondiale hanno anche permesso a SOCFIN di evitare i costi di realizzazione delle piantagioni e delle strutture loro associate. Nel quadro dei progetti, i governi africani hanno pagato il conto, tramite dei prestiti della Banca mondiale e di altre banche di sviluppo.

Le imprese parastatali create dalla Banca mondiale non ci hanno messo molto a indebitarsi. Ovviamente, la Banca ha incolpato i governi per la loro cattiva gestione e ha chiesto la privatizzazione delle piantagioni come soluzione, anche se erano gestite dai ben pagati manager della SOCFINCO e altri consulenti stranieri.

Nel processo di privatizzazione che è seguito, SOCFIN e SIAT (Société d’Investissement pour l’Agriculture Tropicale, ndt), una società belga fondata da un consulente SOCFINCO, hanno rilevato molte delle pregiate piantagioni. Oggi, queste due società controllano un quarto di tutte le grandi piantagioni di palma da olio in Africa e sono anche degli  importanti protagonisti nel settore della gomma.

La Nigeria è un buon esempio di come ha funzionato questo schema. Tra il 1974 e la fine degli anni ’80, SOCFINCO ha elaborato piani generali per almeno 7 progetti di palma da olio sostenuti dalla Banca mondiale in 5 diversi Stati della Nigeria. Ogni progetto prevedeva la creazione di una società parastatale che avrebbe dovuto prendere in carico le piantagioni dello Stato esistenti e avrebbe sviluppato nuove piantagioni e impianti di produzione di olio di palma, nonché progetti di crescita eccessiva su larga scala. A supervisionare tutto il lavoro di SOCFINCO in Nigeria c’era Pierre Vandebeeck, che in seguito avrebbe fondato la società SIAT e supervisionato l’insieme del lavoro di  SOCFINCO in Nigeria.

Tutti i progetti della Banca Mondiale in Nigeria hanno generato conflitti fondiari duraturi con le comunità locali, come la comunità Oghareki nello Stato del Delta o gli abitanti dei villaggi di Egbeda nel Rivers State. Dopo aver espropriato numerose comunità dalle loro terre e aver fatto subire enormi perdite al governo nigeriano, le società parastatali furono quindi privatizzate. I più preziosi assets delle piantagioni alla fine finirono nelle mani della SOCFIN o della società SIAT di Vandebeeck.

SIAT ha rilevato le piantagioni nello Stato di Bendel attraverso la sua controllata Presco e poi, nel 2011, ha acquisito la compagnia dell’olio di palma del Rivers State, Risonpalm, attraverso la sua compagnia SIAT Nigeria Limited. Tra il tra il 1978-1983, nel quadro del progetto della Banca Mondiale, Vandebeek è stato il direttore delle piantagioni di SOCFINCO per Risonpalm.
SOCFIN, per parte sua, ha rilevato le piantagioni di palma da olio nell’area di Okomu, sviluppate anche nell’ambito di un progetto della Banca mondiale. Era stata SOCFINCO a identificare per prima quest’area per lo sviluppo di piantagioni come parte dello studio di valutazione che era stata incaricata di intraprendere nel 1974. La Okomu Oil Palm Company Plc. (OOPC) è stata successivamente fondata come impresa parastatale nel 1976 e 15.580 ettari di terreno all’interno della Okomu Forest Reserve  nell’Edo State sono stati tolti dalla Riserva e sottratti alle comunità locali per far posto alle piantagioni di palma da olio. La compagnia ha assunto SOCFINCO come agente di gestione per supervisionare le sue attività dal 1976 al 1990. I rapporti variano, ma a un certo punto tra il 1986 e il 1990, la OOPC è stata poi ceduta alla filiale di SOCFIN Indufina Luxembourg.
Questa sordida storia spiega perché così tante filiali di SOCFIN e SIAT in Africa portano ancora nomi che suonano come nazionali, come SOCAPALM in Camerun o Ghana Oil Palm Development Company. Spiega anche perché queste società sono così ben progettate per estrarre dei profitti che finiscono nelle mani dei loro proprietari, così come il ruolo cruciale della Banca Mondiale per facilitare questo processo di ricerca del profitto delle corporation in nome dello “sviluppo nazionale”. Le due famiglie francese e belga che controllano SOCFIN hanno intascato circa 30 milioni di euro da SOCFIN solo nel 2019!

 

Fonte: WRM Bulletin, Issue 252

World Rainforest Movement

GRAIN