Quali sono le difficoltà e le sfide per i Maya di oggi nel sud del Belize?

Il problema scottante dei Maya: passare dal “taglia e brucia” a un’agricoltura sostenibile

I Maya del Centro America continuano con la tradizione ormai insostenibile dell’uso del fuoco in agricoltura: si accorgono che il clima cambia ma non sanno come cambiare

[21 Giugno 2019]

BELIZE. Deforestazione, una parola che nasconde molte realtà. Una parola per definire il taglio eccessivo di foreste che contribuisce al cambiamento climatico. Una parola che semplifica come un’etichetta la realtà complessa delle cause che portano a tagliare o bruciare foreste, soprattutto ai Tropici.

Una di queste è la tipica foto del libro di geografia che mostra un contadino mentre dà fuoco alla giungla, e spiega che sta coltivando col metodo del ‘taglia e brucia’. Questa pratica è tanto frequente quanto antica, per esempio nel sud del Belize dove molti contadini Maya usano il fuoco da generazioni per un’agricoltura di sussistenza. Si brucia una parte di foresta per liberarla dagli alberi e fertilizzare il suolo con le ceneri; si coltiva per 1-2 anni e poi si lascia il campo alla foresta che lentamente ritorna, mentre il contadino brucia un’altra parte di giungla. Il ciclo continua finché il contadino ritorna col fuoco sullo stesso campo 20-25 anni dopo. Questo metodo è diffuso in molti Paesi tropicali ed è anche visto come un tipo di agricoltura organica perché non usa erbicidi, pesticidi o fertilizzanti chimici.

Nel caso del Belize gli stessi contadini Maya stanno entrando nel mercato per uscire dalla condizione di sussistenza e guadagnare abbastanza da mandare ad esempio i figli a scuola, quando in passato il lavoro nei campi era la materia insegnata, e i padri erano i maestri. Il contadino cerca quindi di produrre più di quanto consumi per venderlo, e così lavora più terra; l’agricoltura di mercato combinata alla crescita demografica, alla nascita di aree protette e spesso a una proprietà comunitaria del suolo tende a bloccare il contadino sullo stesso campo lasciando alla memoria dei padri gli anni che passavano prima di tornare a bruciare lo stesso campo.

Il problema? Bruciando lo stesso campo non più dopo vent’anni ma una volta all’anno, il suolo non ha tempo di rigenerarsi. Il ritmo è insostenibile: le foreste lasciano spazio a pianure incolte punteggiate da palme mentre le colonne di fumo marrone continuano a salire insieme all’anidride carbonica. Alcuni contadini si accorgono che la produzione cala mentre stagioni ogni anno più secche, più calde e più lunghe si abbattono sui campi.

Molti Maya continuano a seguire gli insegnamenti dei padri e appiccano il fuoco alla giovanissima foresta. Le nuove condizioni climatiche però rendono questi incendi sempre più aggressivi: spesso sfuggono al controllo e inghiottono i raccolti del vicino o addirittura abitazioni, rendendo certi contadini più poveri di prima.

Ora, quando le condizioni ambientali cambiano, animali e piante in natura vanno in contro a tre possibili destini: c’è chi si estingue, chi emigra e chi si adatta. Tralasciando il problema del fuoco per piante e animali selvatici, questi contadini si stanno scontrando con un clima che sta cambiando: capiscono di dover fare diversamente ma non sanno come fare. Alcuni cambiano lavoro o ne cercano un secondo continuando col fuoco, altri ricorrono ai fertilizzanti chimici, mentre molti continuano come sempre.

Dalle ceneri di questa tradizione però possono nascere opportunità per ridiscutere il paradigma di ‘agri-cultura’ dei Maya come per altre popolazioni dei Tropici. Ad esempio, il sistema agroforestale combina alberi con colture/allevamento, rendendo più facile l’adattamento al cambiamento climatico e permettendo di coltivare in foresta. Il sistema agroforestale ha infatti attirato molta attenzione per il suo potenziale di conservazione forestale e di agricoltura sullo stesso suolo, scoraggiando il taglio di foreste per estendere campi e pascoli.

Non si tratta di una novità per i Maya, ma di riscoprire tradizioni perdute durante la colonizzazione. Così alcuni contadini iniziano a piantare cacao in foresta e a combinare il mais con alberi che potano regolarmente per lasciar filtrare il sole, mentre fertilizzano il suolo con le loro foglie.

Il cambiamento c’è ma prosegue lento per diversi motivi: difficoltà nell’accedere al mercato, nel reperire semi di alberi, nell’attendere che gli alberi inizino a produrre, nel rispettare le regole di una proprietà del suolo comunitaria e nell’imparare a coltivare senza l’uso del fuoco.

Le iniziative di alcune Ong locali sono dirette a promuovere proprio il modello agroforestale, come sarà anche la futura politica nazionale agroforestale che il ministero dell’Ambiente sta preparando. L’urgenza di creare una ‘nuova tradizione’ di agricoltura sostenibile è una sfida accettata da un numero leggermente crescente di contadini Maya. Occorrono però un governo che ascolti i bisogni delle popolazioni indigene, Ong che ottengano la fiducia delle comunità locali con il loro diretto coinvolgimento e contadini che accettino nuove tradizioni più sostenibili, senza dimenticare quelle passate.

La partita è tuttora aperta e anche in questo caso non si tratta di un cambiamento climatico ma di un cambiamento di stile di vita. Ecco quindi che il contadino nella foto che dà fuoco alla foresta non lo fa per ‘deforestare’ ma per sopravvivere, perché spesso non conosce alternative e perché, come molti mi hanno detto, “mio padre ha sempre fatto così”.

di Giacomo Pontara per greenreport.it