La difficile vita dei lavoratori migranti nelle aree rurali europee

Precari, sfruttati, malpagati e indispensabili per avere prodotti agricoli a basso costo, soprattutto in Italia e Spagna

[31 Luglio 2019]

Nelle aziende agricole dell’Unione europea ci sono sempre più lavoratori migranti coltivano a basso costo  alcuni dei nostri alimenti di base più comuni. Ma questi migranti che si spostano nelle aree rurali affrontano maggiori difficoltà rispetto alle persone che scelgono di migrare verso l’Ue per stabilirsi nelle città.

A confermare questi dati è il rapporto “Migration in EU Rural Areas” del Joint research centre della Commissione europea che  è anche la prima analisi statistica a livello  di Unione europea sui migranti che vivono nelle zone rurali e che comprende sia i lavoratori stagionali “mobili” dell’Ue che i migranti che provengono da Paesi extra-Ue.

Al Jrc sottolineano che «Mentre in media i migranti sono più presenti nelle aree urbane che in quelle rurali, la loro quota in alcuni villaggi e regioni rurali può essere molto più elevata che in una città. Fanno lavori essenziali in queste aree rurali, in particolare nelle aziende agricole che necessitano costantemente di lavoro temporaneo. Ad esempoi, la maggior parte delle fragole e dei pomodori che raggiungono la nostra tavola sono state coltivate grazie al lavoro dei migranti».

Ma il rapporto non si nasconde i problemi che pone lo sfruttamento di questa massa di operai poveri e malpagati. «Allo stesso tempo, la situazione è spesso difficile per la società ospitante e per i migranti, a causa della natura temporanea e spesso irregolare del loro lavoro, della lontananza del territorio e della mancanza di infrastrutture delle autorità locali rurali per sostenere l’integrazione dei migranti. I migranti rurali che provengono dall’esterno dell’Ue tendono ad essere maggiormente a rischio di povertà, rispetto ai migranti che vivono in città e alle persone nate nello stesso Paese in cui vivono e lavorano».

Quelli che secondo la propaganda della destra vetero e neo toglierebbero il lavoro agli italiani  sono in realtà sfruttati da imprenditori italiani ed europei, lo studio rileva che «Il 34% dei migranti che provengono da Paesi extra Ue e vivono in aree rurali sono a rischio di povertà. Il 17% è disoccupato, rispetto a un tasso di disoccupazione dell’8% per coloro che vivono nel Paese in cui sono nati nell’Ue».

Insomma, la precarietà fatta sistema per sfruttare meglio lavoratori senza diritti e tutele  ma che  stanno sempre più svolgendo lavori faticosi e temporanei che italiani ed europei non vogliono più fare, ma che ci permettono di comprare prodotti a basso costo in supermercati straboccanti di cibo. Il Jrc dice che «Tra il 2011 e il 2017, si è registrato un aumento dal 4,3% al 6,5% della quota di migranti nell’occupazione totale nel settore agricolo dell’Ue. Questa tendenza è guidata da Spagna, Italia e Danimarca, dove la percentuale di migranti impiegati in agricoltura è di alcuni punti percentuali superiore alla percentuale di migranti impiegati in tutti gli altri settori».

Come se questo non bastasse a fare a pezzi le teorie dei razzisti e degli xenofobi da tastiera, il rapporto (che razzisti e xenofobi si guarderanno bene dal leggere) fa notare che «I dati locali in Italia e Spagna mostrano anche un’associazione positiva tra la crescente percentuale di migranti nella popolazione e un’alta percentuale di lavoro temporaneo in agricoltura in specifici Comuni. I dati locali in Italia e Spagna mostrano anche che la migrazione si sta espandendo in aree in cui la popolazione di nativi sta diminuendo».

Gli autori dello studio –  Fabrizio Natale, Sona Kalantaryan, Marco Scipioni, Alfredo Alessandrini, Arianna Pasa –  concludono che «La presenza di migranti nelle aree rurali presenta sfide (come lontananza, isolamento, accesso limitato ai servizi) e opportunità (contrastando le tendenze allo spopolamento, fornendo forza lavoro) sia per i migranti che per le comunità ospitanti.  La precarietà e la vulnerabilità – insieme all’importante ruolo svolto dai migranti nel sostenere determinati tipi di agricoltura in specifiche regioni – significano che i migranti nelle aree rurali richiedono un’attenzione speciale nella progettazione delle politiche di integrazione. Fornendo nuove prove a livello di Ue, lo studio aumenta anche la consapevolezza in un momento critico dei negoziati e delle discussioni in corso sui fondi dell’Ue dedicati all’integrazione dei migranti».